15 Settembre, 2002
Agricoltura: chi tocca le quote latte muore?! (di Enrico Fogliazza)
Il fallimento di una politica agricola impostata 50 anni fa - D'altra parte l'Europa non potrà proseguire in eterno a mantenere le quote di protezione nei confronti della nostra agricoltura
E' questo il senso dell'appello pubblicato dopo l'Assemblea della Libera Agricoltori tenuta al Teatro Ponchielli di Cremona con il Ministro Lo Castro.
Sul problema latte siamo in una stretta molto pesante. L'argomento è di interesse generale perché coinvolge uno dei settori più importanti dell'economia. Non è solo un problema settoriale, non interessa solo la zootecnia, ma la vita economica del Paese nel suo insieme.
Dichiarazioni di massimi responsabili del settore testimoniano anche di una certa sfiducia. Il problema é essenzialmente di carattere politico e culturale ed é su questo piano che va posto con la dovuta attenzione.
Viene al pettine uno dei nodi fondamentali della nostra storia economica. Per potersi riprendere dalle situazioni di difficoltà, andrebbe maturata dai protagonisti una forte analisi autocritica sulle politiche a lungo perseguite negli anni scorsi.
Ad esempio, andrebbe sottolineato l'errore di fondo commesso, quando venne assunta una politica sindacale e del personale in agricoltura che si é dimostrata assolutamente miope. L'obiettivo perseguito in questi anni - infatti - é stato di scaricare sulla parte del lavoro dipendente le responsabilità dei costi. Asserendo che le aziende non potevano sopportare aumenti salariali, aumenti di mano d'opera ed aumenti di oneri assistenziali e previdenziali.
Sulla base di questa linea si é arrivati al taglio, certo progressivo, ma netto e completo, di manodopera locale professionalmente capace, al quale taglio solo recentemente viene messo ripiego con l'impiego di addetti provenienti per lo più da India, Pakistan e paesi del lontano oriente.
Insomma, con assoluta incapacità programmatoria si é messa in campo un'azione di resistenza nei confronti dei mercati che andavano aprendosi, solo scommettendo sull'abbattimento dei costi docuti al lavoro dipendente.
Ora é sotto gli occhi di tutti quanto quella politica abbia pagato male. I tagli ci sono stati. Le campagne si sono spopolate. Abbiamo intasato le città e le aree metropolitane. Con il risultato che l'abnorme densità abitativa provoca problemi a non finire (dal traffico esasperato alla criminalità fino, a ben vedere, anche alla carente natalità ed alla crisi della vita di coppia). Ma nonostante la compressione sul lato dei "costi del lavoro dipendente" sia oramai arrivata al limite (di più proprio non si può fare), le nostre aziende agricole e l'intera economia legata ai prodotti della terra continuano a vedere nero nel proprio futuro.
D'altra parte l'Europa non potrà proseguire in eterno a mantenere le quote di protezione nei confronti della nostra agricoltura.
L'Europa é nata su principi che devono valere per tutti i Paesi membri, e non può fare diversamente se vuole rimanere se stessa. "Libera circolazione dei capitali, delle merci e degli uomini": questo é il principio. Il nostro latte é sfuggito da questo principio in questi anni, ma non potrà sfuggire ancora per tanto tempo. Tanto più che l'Europa aveva concesso un periodo transitorio - se non erro dal 1958 al 1973 - per permettere ai Paesi membri di operare tutte quelle politiche di riforma che permettessero loro di giungere in posizioni di parità ai nastri di partenza, per dirla in gergo sportivo.
Ed invece per giungere alla pari ai nastri di partenza, dopo 50 anni, le nostre imprese agricole hanno ancora bisogno di essere aiutate, malgrado i salari siano ridotti al minimo possibile e così anche i contributi assistenziali e previdenziali; malgrado per le altre spese (dalle macchine ai concimi, dalle sementi ai mangimi) siano ancora e sempre in vigore contributi di vario tipo che provengono dalle finanze pubbliche (dalle Province, dalle Regioni e dalla Comunità Europea). Ebbene, malgrado ciò le imprese agricole padane non sono ancora competitive !
Certo, non vi é chi non veda un profondo fallimento - culturale prima ancora che colturale - della classe dirigente che all'agricoltura fa riferimento.
Ma questa constatazione, pur vera, non può risultare soddisfacente, proprio perché il problema non é di carattere settoriale, ma é davvero di carattere generale.
Se a Cremona e in valle padana "salta" la zootecnia, cosa potranno mai fare le latterie, i macelli, il commercio collegato, le industrie dei mangimi, concimi, e delle macchine che producono beni per l'agricoltura?
La stessa nostra cultura ne soffrirebbe.
Non si potrebbe trovare un proverbio più adatto: é inutile piangere sul latte versato! Occorre che l'intera società padana si faccia carico della gravità del problema. Non per escogitare ancora e sempre altre forme artificiali di sovvenzionamento, ma per vedere di aggredire il problema da altri versanti, più moderni ed avanzati.
Comuni, Province, Regioni, Associazioni di produttori, la proprietà fondiara con beni affittati (la cui esistenza, quella sì!, continua a pesare fortemente sull'intero comparto), i sindacati, le scuole, la cultura, le associazioni dei consumatori, dei commercianti e degli artigiani: tutti devono unirsi per indicare una strada che miri alla salvezza della nostra zootecnia.
Per ora sarebbero sufficienti - se fatte con celerità e senza ulteriori tempi morti - due misure che mi permetto di suggerire:
a) Mettere intorno ad uno stesso tavolo tutte le Regioni padane (Piemonte, Emilia, Lombardia e Veneto) ed insieme a loro tutte le Province della Padania irrigua, le quali - in piena collaborazione con il governo nazionale - siano indotte ad un serio ed efficace lavoro comune, di analisi del problema e di individuazione delle possibili soluzioni. Le misure sarebbe numerose da elencare: dalla necessità di mettersi insieme sul piano della produzione, a quella di unire le forze sul versante della commercializzazione, del marketing e dell'aggressione dei mercati con nostri prodotti di qualità, alcuni dei quali sono assolutamente unici.
b) Chiedere un impegno eccezionale e straordinario alla grande proprietà terriera, al fine di indurre una calmierazione dei costi degli affitti in agricoltura, nella considerazione che la rendita agricola, se per tanti anni ha potuto ottenere certi risultati di carattere economico e finanziario, oggi potrebbe essere indotta ad un proprio ridimensionamento, come concreto contributo non solo per salvare un intero comparto economico produttivo, ma nel più complessivo interesse del Paese.
On. Enrico Fogliazza
 
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