15 Settembre, 2002
Emilio Zanoni, sindaco socialista a Cremona dal 1970 al 1980
Nasce a Cremona il 25 settembre 1914. Nell’immediato dopoguerra è co-direttore del quotidiano del CLN “Fronte Democratico”.
Emilio Zanoni nasce a Cremona il 25 settembre 1914.
Si laurea in Giurisprudenza all'Universita'
di Pavia nel 1938.Nel 1942 aderisce al Partito
Socialista, allora clandestino, quindi dopo
il 25 luglio 1943 è tra i riorganizzatori
della Federazione Socialista a Cremona e
la rappresenterà dopo l'8 settembre nel CLN
provinciale. Nell’immediato dopoguerra è
co-direttore del quotidiano del CLN “Fronte
Democratico”.
Prima nel 1948 e poi dal 1964 al 1970 è segretario
provinciale del PSI. All’inizio degli anni
’50 è Presidente della Federcoop cremonese.
Nel 1951 è eletto nel Consiglio Comunale
di Cremona.
Dal 1957 al 1958 è assessore alle finanze
nella Giunta del Sindaco Arnaldo Feraboli.
Dal 1958 al 1963 è Senatore della Repubblica.
Dal 27 luglio 1970 alla metà del 1980 è Sindaco
di Cremona.
Muore a Ponte di Legno (BS) il 15 agosto
1995.
EMILIO ZANONI SINDACO DI CREMONA 1970 – 1980
(di Giuseppe Azzoni)
Questa ricerca sulla figura e l'opera del
Sindaco Emilio Zanoni si basa essenzialmente sui verbali del Consiglio
Comunale di Cremona del periodo 1970 - 80.
Si ritiene questa scelta delle fonti la più
propria e valida per mettere a fuoco la personalità
e l'impegno di Emilio Zanoni in quanto Sindaco. All'epoca pressochè tutte
le deliberazioni comunali erano di competenza
del Consiglio ed i verbali consiliari di
Cremona riportano la integrale trascrizione
delle registrazione magnetofoniche dei lavori.
Insomma si ha un quadro molto ampio di tutta
l’attività del Comune. Si auspica che, con
le informazioni sul Sindaco Zanoni e sui
lavori del Consiglio, queste note possano
anche indurre utili riflessioni sulla importanza
della istituzione locale, su quel Comune
che, in particolare nel nostro Paese, tanto
ha storicamente rappresentato e tanto tuttora
rappresenta per la vita dei cittadini e per
lo sviluppo della comunità.
I verbali consultati sono depositati presso
l'Archivio di Stato, che ringrazio per la
cortesia e la diligenza nel metterli a disposizione,
così come ringrazio l’Ufficio del Consiglio del Comune di Cremona per la
ulteriore documentazione ivi riscontrata.
Data la frequenza delle relative segnalazioni
le parole "Verbale del Consiglio Comunale"
vengono abbreviate con "VCC" cui
segue la data. Sin d’ora mi scuso per involontarie piccole
imprecisioni, che potrebbero essere presenti
nelle citazioni tra virgolette rispetto ai
testi, eventualità dovuta alla impossibilità
materiale di fotocopiare dai grossi volumi
originali.
Cremona, settembre 2005.
(g. a.)
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Una Testimonianza di Emilìo Zanoni
L’altra Italia. Dal decennio al quarantennio
Il 25 aprile 1955 (anno del Decennale della
Liberazione) ci trovammo noi, uomini della
Resistenza, del CLN, Partigiani, Patrioti
cremonesi, a convegno solenne nella Sala
del Palazzo Cittanova di Cremona.
Il giorno prima avevamo partecipato al grande
convegno della Resistenza tenuto a Torino,
capitale della Resistenza stessa, sotto la
presidenza del nostro caro indimenticabile
Ferruccio Parri “Maurizio”, e avevamo salutato
con emozione la bandiera sacra del Corpo
Volontari della Libertà additata, nello stesso
convegno, da Ferruccio Parri come simbolo
intangibile, puro e solenne della Liberazione
e della Democrazia.
Per quella citata riunione del 1955 avevamo
predisposto un modesto giornaletto (numero
unico, tipo volantino, del quale io credo
esista una sola copia in mio possesso) intitolato
“Il volontario della libertà” che conteneva,
per mia cura, i dati essenziali della lotta
di Liberazione a Cremona ed in provincia.
In quella stessa riunione, a cura del comitato
promotore, conferimmo ai resistenti cremonesi
un diploma e una medaglia che, accanto alla
croce e al brevetto delle Brigate Matteotti,
costituiscono per noi un inestimabile titolo
di onore e di soddisfazione.
Ma perché, per un articolo sulla Resistenza
nel suo quarantennio, prendo le mosse da
quella celebrazione del 1955?
In quel giorno nel salone di Cittanova erano
presenti uomini del CLN, del C.V.L., del
Comando Militare, delle Formazioni partigiane,
dei partiti clandestini, dei sindacati e
delle organizzazioni di massa.
Erano presenti ancora molti dei vecchi antifascisti
del 1919-1922, passati attraverso il fuoco
e il fango del ventennio fascista.
Eravamo presenti noi che, vissuti in periodo
fascista e obbligati alla “tessera” per poter
andare a scuola, avevamo imparato dai libri
e dai discorsi dei nostri padri a disprezzare
la dittatura e a confidare nella libertà,
nella democrazia pluralistica e nelle attese
della classe lavoratrice italiana.
Eravamo dunque molti in quella primavera
radiosa del 1955, e soprattutto, a distanza
di 2 anni dalla famigerata “legge truffa”,
confidavamo che le speranze della Resistenza
fossero ancora intangibili e che il popolo
italiano avrebbe
saputo sconfiggere gli avversar! e, tenendo
alta l’Arca Santa della Costituzione repubblicana
(oggi insidiata e minacciata da chi sa quali
riforme ed emendamenti eversivi!) aprire
un nuovo avvenire per le generazioni future
sorte dall’humus fecondo della lotta di Liberazione.
Oggi (e vengo finalmente al Quarantennio
del 25 aprile 1945) ci troviamo, caro amico
e compagno Arnaldo Bera, io credo, in una
esigua falange di poche decine di patrioti
del ‘45 in città e in provincia.
I più della folta schiera sono partiti per
desolate lande del nulla eterno o, se ci
fa più piacere, per i luoghi dove alloggiano
in eterno coloro che sono morti e si sono
sacrificati per un ideale di fiamma e di
futuro.
E la situazione politica e programmatica
di oggi, poi, come la mettiamo? Nel ’55 si
poteva sperare ancora in qualche cosa.
La classe lavoratrice, la democrazia militante
con le ali marcianti dei partiti di classe,
era forte e soprattutto combattiva.
Lo Stato non era ancora stato completamente
attaccato dalla lebbra che oggi noi tutti
riconosciamo.
Oggi è vero, dietro noi patrioti del ‘45,
si è posta una lunga colonna di patrioti
e di democratici.
Ma la situazione non è così fervida di premesse
quale appariva a noi, usciti dal ventennio
di fango e di vergogna e dal fuoco purificatore
della guerra di liberazione, in quella primavera
appassionata e solenne del 1945. Si sognava
un mondo nuovo, si attendeva lo Spartaco
del rinnovamento, si credeva che, con la
caduta del fascismo, il male del mondo, la
dittatura, l’asservimento dei lavoratori
fossero finiti per sempre come passa d’estate
il temporale sulle rigogliose campagne!
Invece abbiamo davanti a noi una democrazia
debole e sfasata dai suoi originari obiettivi.
Il consumismo di massa rode l’ideale e le
future speranze.
Ci si attarda nel godimento sfrenato e nelle
illusioni quali possono dare le droghe più
nemiche all’individuo e alla società nazionale.
Lo stato repubblicano è percorso, in tutte
le sue vie e i suoi gangli, da bande agguerrite
e sofisticate di ladri e di saccheggiatori
del pubblico denaro. Terrorismo, così detto
di sinistra e di destra, elettoralismo, gioco
ministeriale, bullonate e inconsistenti vanterie
sono all’ordine del giorno della politica
nazionale.
Milioni di disoccupati e sotto occupati,
lavoro nero, sprechi inverosimili di denaro
pubblico in imprese condannate dal buon senso
e dalla realtà dei fatti, soggezione al capitale
e alla finanza straniera, soggezione alla
politica capitalistica americana, il tutto,
in Europa, nel quadro di una messa in scena
europea, non si sa fino a qual punto credibile
e reale se non dannosa ai vari interessi
della comunità nazionale.
E con questi sentimenti in cuore, con queste
radicate opinioni nel cervello è forse possibile
oggi, a quarant’anni di distanza, celebrare
la data solenne del 25 Aprile9
Certo che tutto è possibile se lo si fa con
l’animo distaccato, scettico, burocratico
con il quale gli Enti pubblici si accingono
a celebrare il 25 aprile di quest’anno di
grazia e di elezioni amministrative (comunali, provinciali, regionali
e di quartiere).
Un po’ di manifesti, una spruzzatina di belle
parole encomiastiche, qualche medaglia o
diploma e il gioco è fatto.
Come avvenne per la polizza assicurativa
dei reduci combattenti contadini e operai
della grande guerra ‘15-’18.
Certo che per noi, patrioti e partigiani
del ‘45, una siffatta celebrazione non può
bastare e non può assolutamente piacere.
Ci diranno vecchi scorbutici e scontrosi,
settari del patriottismo quarantacinquesco,
cani da guardia, ormai afoni, della Costituzione
e della Repubblica.
Ma indubbiamente una tale celebrazione non
ci soddisfa. Ci sono poi i partigiani di
Reder (anch’io ho compassione, come individuo,
del vecchio arnese ormai disarmato e forse
pentito) che parlano di solidarietà nazionale,
di tramonto degli anti, di pacificazione
degli animi.
A costoro rispondiamo che se si può indulgere
ai colpevoli, non si può riabilitare il delitto,
e delitto fu l’alleanza dei fascisti con
i tedeschi, la rivolta contro lo stato sorto
l’8 settembre 1943.
Come dobbiamo noi allora, patrioti del ‘45,
celebrare la data del 25 aprile?
Con i mezzi più semplici e più consoni al
nostro spirito e alle nostre ben radicate
opinioni.
Ricordando, in primo luogo, i nostri gloriosi
caduti.
Dice il nostro poeta nazionale per i caduti
di Montana del 1867 che si rivolgono all’Italia:
“Per te gittammo l’anima
ridenti al fato nero
e tu pur vivi immemore
di chi morì per te!”
Così i nostri caduti dal ‘43 alla primavera
del ‘45!
I morti cremonesi, soldati e civili, il 9
settembre per le vie insanguinate della città,
i caduti nelle formazioni partigiane delle
Alpi e degli Appennini, i fucilati in città
e a Pizzighettone, a Crema, i caduti del
25 aprile mentre volevano impedire la fuga
ai tedeschi e ai fascisti, i morti di stenti
e di sevizie nelle carceri e nei campi di
concentramento.
Questi caduti sono i nostri testimoni, le
nostre guide, al tempo stesso, i nostri giudici
severi.
I nostri testimoni perché ci hanno assistito
nelle ore della lotta, le nostre guide perché
hanno indirizzato il nostro pensiero, i nostri
giudici perché anche oggi ci osservano se
abbiamo mancato o manchiamo al giuramento
che tutti assieme facemmo 1’8 settembre 1943
ed il 25 aprile 1945.
Chi non vi ricorda, compagni caduti, quando
vi abbiamo accompagnato il giorno fausto
della Liberazione, al Cimitero cittadino
ove già riposano i morti del Risorgimento
nazionale e della grande guerra. Suonava
la musica, si udiva il pianto delle madri,
delle sorelle, delle spose al Cimitero, le
raffiche dei mitra partigiani vi salutarono
come un colpo di terra nella fossa.
Oggi da 40 anni state lì eternamente giovani,
a ricordare il passato e a sognare per i
futuri un avvenire migliore di pace e di
prosperità.
Indubbiamente però in voi esiste un turbamento
profondo per come sono andate a finire, e
finiscono, le cose nel nostro paese.
Altra Italia, come Garibaldi, si sognava
all’inizio, e il risveglio è quanto mai duro
e difficile.
Se si potesse, a ritroso nel tempo, tornare
a quei venti mesi di battaglia, di fuoco
e di speranza assieme, quando nel crogiuolo
della storia ci si attendeva che la libertà
si formasse come una statua di Benvenuto
Cellini.
Se si potessero ricalcare le antiche strade,
ripercorrere i gloriosi cammini, risalutare
i vecchi compagni risorti dalle vecchie e
dalle recenti tombe.
Rivedere Cremona, la nostra Cremona, come era allora in quella primavera del
1945.
La città era ancor avvolta dalla nube di
polvere dei bombardamenti aerei, dalla fame
e dalla miseria, obnubilata dalla desolazione,
dal nembo oscuro e nefasto della dominazione
nazi-fascista, eppure già si profilava con
la sua grazia giovanile ed antica della sua
storia millenaria.
Sull’alta torre, sul nostro Torrazzo, sventolava
la bandiera tricolore, non contaminata dal
rospo sabaudo, e i colori di essa si confondevano
con i tenui colori della primaverile campagna
cremonese.
L’animo della città fiatava, all’unisono,
con la voce e l’alito dei suoi cittadini
usciti dal servaggio.
Quale mirabile primavera! Ma per arrivarci
quanti sacrifici, quante lacrime, quale desolazione,
quanti morti e sventure.
La mattina del 9 settembre ‘43 la città si
destava al rombo dei cannoni tedeschi cui
rispondeva, coraggiosamente la fucileria
e la mitraglia di pochi soldati italiani
e civili armati alla belle meglio nelle caserme
ormai svuotate di tutto. La città risentì
ancora sui suoi selciati il passo delle pattuglie
tedesche e dei traditori fascisti.
Cremona tornava ad essere terra conquistata,
rapinata, saccheggiata, devastata dai nuovi
barbari e dai loro alleati e corifei .
Chi dirà l’ansia, lo sgomento, lo scompiglio
della popolazione e la determinazione dei
pochi che, in quei giorni, già si assumevano
la responsabilità della Resistenza e della
battaglia contro gli oppressori?
Altrove ho già minutamente, e credo coscienziosamente,
esposto e narrato tutta la trama sottile
della lotta antifascista e l’epopea provinciale
della battaglia aperta al tedesco invasore
e al suo servo fascista.
Come componente per il partito socialista,
del Comitato Provinciale di Liberazione nel
periodo decisivo (autunno ‘44 fino alla Liberazione)
son stato testimone oculare e, se mi è lecito
dire, anche artefice della Resistenza.
Da quel posto di osservazione (ci riunimmo
oltre che in case private anche nel convento
di San Luca a Porta Milano) ho potuto seguire
passo passo, e parteciparvi, quel periodo
storico indimenticabile.
Rapporti fra i partiti e le organizzazioni
di massa clandestine, problemi logistici,
per le brigate partigiane in montagna e per
le SAP (squadre di azione patriottica) in
città, propaganda scritta e murale con giornali
e manifesti provenienti dal CLNAI (Comitati
Liberazione Nazionale Alta Italia), problemi
amministrativi del dopo-Liberazione e infine,
e soprattutto, la preparazione della insurrezione
in città e in provincia al momento decisivo
della Liberazione.
Quanti compagni ed amici abbiamo conosciuto
e stimato allora e coi quali abbiamo collaborato,
oggi quasi tutti scomparsi: Rossini, Pressinotti,
Bigli, Signorini, Calatroni, Bernamonti,
Pugnoli, Percudani, avv. Rizzi, prof. Serini
ecc.ecc.
Siamo in pochi ormai, superstiti di 40 anni,
ma non ancora arresi al destino che ci sovrasta.
Tanto più che abbiamo ancora in cuore e davanti
ai nostri occhi mortali (come diceva in un
non dimenticato discorso Lello Basso) la
splendida visione dell’epopea cremonese di
quest’ultima settimana di aprile 1945!
Per chi, come noi, aveva atteso nella vigilia
e per tanti anni fino dal periodo dell’università
quando, come diceva il poeta francese della
Liberazione, scrivevamo sui banchi di scolaro
la parola: libertà, per chi dunque aveva
atteso per tanto tempo l’ora fatidica, l’ora
che ricompensava di tutti i sacrifici e delle
pene trascorse, quei giorni di gloria e di
battaglia si presentavano solenni e implacabili
come il compimento di una fase storica e
di una vita vissuta.
Non e veramente un’iperbole il dire che quei
giorni ricompensavano tutto un passato e
che null’altro ci si poteva attendere dalla
vita.
Vedemmo, dicevo, con i nostri occhi mortali,
uscire le prime SAP cittadine coi mitra e
i 91 sottratti al nemico. Gli ultimi fascisti
fuggivano a Porta Milano con il trenino di
Soncino e minacciavano, per l’ultima volta,
i cittadini davanti all’edificio delle Poste.
I tedeschi si erano arroccati nella Kommandantur
di Palazzo Trecchi mettendo in batteria due
pezzi (i famosi 88) davanti al Cittanova.
Frattanto le brigate partigiane della provincia
(Matteotti, Garibaldi, Fiamme Verdi, Giustizia
e Libertà) si muovevano verso Cremona ponendo
posti di blocco, disarmando i tedeschi e
i fascisti della g.n.r., impegnando, come
a S. Antonio di Pessina, e a Isola Dovaese,
a Soresina, ecc. scontri e scaramucce con
il nemico in fuga precipitosa.
In città il CLN e il Comando Militare erano
riuniti in permanenza prima alla Cassa dei
Mutilati di guerra, poi in Prefettura, indi
nella sede del giornale di Farinacci sgombrata
da lui nelle prime ore del mattino per avviarsi
al suo destino mortale.
Avevo visto l’ultima volta il “gerarca” sotto
la galleria 25 Aprile (allora 23 Marzo),
pochi giorni prima del tracollo.
Pallido e trasognato sembrava, ed era, un
uomo segnato dal suo destino di ferro.
Comunque nel pomeriggio del 26 aprile avvenne,
davanti al CLN riunito nella sala della Associazione
Mutilati di guerra, la resa delle forze fasciste.
Prefetto, Federale, Comandante della g.n.r.
e della brigata nera (Felisari) deponevano
le loro armi, mitra e pistole, ai piedi del
CLN e si avviavano verso il campo di prigionia
alla Caserma "Paolini” di via Palestre.
Ripeto qui quanto ho già detto prima. Non
è possibile nell’arco, forzatamente breve,
di un articolo ricordare tutti i fatti, evocare
i caduti, raccogliere in un solo nesso tutte
le vicende di quelle epiche giornate.
Dai caduti alla stazione ferroviaria, ai
martiri di Bagnara, ai giovani colpiti dal
piombo tedesco come Bernardino Zelioli.
La città ammantata dal tricolore, come mai
la si è vista, viveva la nuova vita di città
liberata.
Dopo anni di tenebre si riaccendevano le
lampade elettriche nelle vie, come negli
uomini si riaccendeva la luce della ragione.
I partiti politici, in specie i partiti della
classe e della democrazia militante, iniziavano
la loro attività di amministrazione, di governo
e di propaganda.
Usciva il quotidiano della Liberazione al
quale il CLN su mia proposta, aveva posto
il titolo significativo di “Fronte democratico”.
Uscivano i settimanali di partito e per me,
caro soprattutto al mio cuore, l’Eco del
Popolo, giornale dei vecchi socialisti.
Si adempiva veramente il voto dei vecchi
combattenti, dei caduti dal ‘19 al ‘22, dei
martiri della Liberazione. Veramente in noi
tutti alitava una grande speranza, nutrita
soprattutto per i grandi esempi che il popolo
italiano aveva dato in quei mesi di aspro
combattimento.
Dalla macchia al potere era il voto di tutti,
era il soffio di vento del nord che avrebbe
dovuto scuotere tutta la penisola e il popolo
italiano.
Viceversa...
È però inutile in questi giorni di ricordo
e di celebrazione attardarsi ancora sulla
dura critica (doverosa) e sul rammarico cocente.
Ricordiamo i nostri morti, ricordiamo la
vera falange che, come dice il Carducci:
“Attenderanno il dì della vendetta, della
giustizia e della libertà.” Sia vicino questo
giorno per noi, per la generazione che lavorerà
per l’avvenire della nazione.
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Emilio Zanoni «senza etichette» ricordato alla Festa dell’Unità di Cremona
nel 2005.
Felice Majori: «Gli è mancato il partito
che gli sarebbe piaciuto»
10 anni dalla morte sono una distanza temporale
sufficiente per “analizzare” il politico
Emilio Zanoni? Quello zero finale invita alla commemorazione
ma le domande di Floriano Soldi - moderatore
della serata dedicata all’ex sindaco socialista
di Cremona - agiscono come colpi di remi
per portare fuori la conversazione da quelle
acque. Cercando di far dire agli interlocutori
le cose che meno si erano preparati di dire.
Sulla malinconia degli ultimi anni, su quello
che sarà mancato ad un uomo politico stimato
pure dagli avversari. A Zanoni socialista
non socialdemocratico, socialista “problematico”,
mai dogmatico, non “marxista” ma con un’alta
considerazione del valore della dialettica
marxista.
Sul palco, insieme al “co-moderatore” Gianfranco
Berneri, due compagni socialisti, Felice
Majori e Fiorino Bellisario, due “compagni”
comunisti, Evelino Abeni e Giuseppe Azzoni.
È difficile sottrarsi, per questi interlocutori,
al ricordo addolcito dal tempo. Così Abeni
ricorda una celebrazione “d’annata” del 7
novembre - ricorrenza della rivoluzione russa
d’ottobre - dove Zanoni “ha spiazzato” -
“superato da sinistra” - l’ala non filosovietica
del Pci, parlando bene di Stalin combattente
contro il nazifascismo. I problemi interni
del Pci - erano e restavano problemi del
Pci.
Vengono ricordati i due mandati da sindaco,
e il periodo del secondo mandato che coincide
con un periodo particolarmente vivace della
vita amministrativa: tempi dei consigli di
quartiere, della nuova pianificazione urbanistica.
Esperienza alla quale - giunge l’esortazione
di Bellisario all’assessore Berneri - l’attuale
Amministrazione Comunale dovrebbe dedicare
un approfondimento. (Una commemorazione ufficiale
di Emilio Zanoni è prevista per settembre, nel Salone del
Quadri, rammenta Berneri.) Emilio Zanoni aveva due passioni: il partito e la città. E se doveva scegliere - assicurano i suoi
compagni e collaboratori - sceglieva la città.
L’aneddoto finale di Floriano Soldi viene
quasi sopraffatto dalla musica rock che si
sprigiona dall’area dei giovani impadronendosi
dello scorcio di serata che resta. Siamo
nel 1972-73. Dei volenterosi giovani - “teste
calde” li definisce, “confessandosi” - andarono
dal sindaco Zanoni per perorare la causa
del “Gorilla Quadrumano”, iniziativa culturale-teatrale
della neonata cooperativa di servizi culturali.
Sentite le accorate spiegazioni, il sindaco
puntò loro contro una domanda semplice: “Ma
li massi, capirali?”
Forse da questa domanda potrà ripartire (partire)
l’approfondimento della figura di Emilio Zanoni, sindaco, socialista.
M.T.
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** materiale raccolto ed organizzato da Gian Carlo Storti
Cremona 12.06.08
 
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