15 Settembre, 2002
Sudan: una pace da costruire (Newsletter, numero 12, 1 luglio 2008)
«Un trattato non basta: non dobbiamo mai dare per scontato che gli impegni presi sulla parola e quelli firmati su un pezzo di carta siano veramente mantenuti. Costruire la pace in Sudan è un'operazione a lungo termine». Marina Peter, Scommessa Sudan, 2006
I fatti (Fonti: Afp, Al Jazeera, Ansa, Ap, Bbc, Misna)
Darfur, 1 / Nuovo mediatore di pace
Djibril Yipènè Bassolé, già ministro degli esteri del Burkina Faso, a fine giugno è stato nominato dall'Unione africana e dalle Nazioni Unite negoziatore unico per la pace in Darfur. Il suo ufficio centrale sarà a El Fasher. Djibril Bassolé ha 51 anni e già una lunga esperienza come mediatore di conflitti africani, in particolare in Costa d'Avorio (dove ha lavorato per l'accordo del 2007) e in Niger. Gli inviati speciali per il Darfur dell'Onu (Jan Eliasson) e dell'Ua (Salim Ahmed Salim), che avevano indicato la necessità di avere un mediatore unico a tempo pieno, diventano consiglieri di Bassolé.
Darfur, 2 / Emergenza alimentare e fame nei campi di sfollati
Nella seconda metà di giugno le Nazioni Unite hanno dato l'allarme: Mike McDonough, capo dell'ufficio di coordinamento umanitario Onu, ha dichiarato che la violenza crescente, il sovraffollamento dei campi di sfollati e i cattivi raccolti, hanno causato una «vera e propria tempesta» che causerà nella seconda metà dell'anno problemi anche dal punto di vista sanitario. In particolare agosto e settembre potrebbero essere mesi di vera fame.
Il 23 giugno, a Nyala, Hussein Abu Sharati, portavoce degli sfollati e dei rifugiati che vivono nei campi del Darfur, ha dichiarato che nei precedenti tre giorni nei campi si era stata affrontata una grave penuria d'acqua perché non c'era abbastanza carburante per far funzionare le pompe dei pozzi. Abu Sharati ha accusato il governo sudanese di avere deliberatamente consegnato troppo poco carburante ai campi.
Ciad / Nuovo attacco dei ribelli
I ribelli riuniti nell'Alleanza nazionale, basati nell'est del Ciad che confina con il Darfur, a metà giugno hanno lanciato un'offensiva contro il presidente Idriss Deby, conquistando per breve tempo le cittadine orientali di Am-Dam e quella di Goz-Beida, dopo rapidi combattimenti con l'esercito governativo. Nella zona sono presenti i soldati irlandesi della missione militare dell'Unione europea, i quali hanno scambiato colpi di arma da fuoco con i ribelli senza subire né causare perdite. Il presidente Deby – che ha accusato la forza europea di appoggiare i ribelli - ha successivamente dichiarato che la situazione nell'Est è «completamente sotto controllo» dopo «la decisiva vittoria» nella battaglia di Am Zoer, circa 80 chilometri a nord est di Abeche. Nel combattimento l'esercito governativo avrebbe ucciso 160 ribelli, ma i ribelli hanno ammesso solo 27 perdite.
Alla fine di giugno Deby ha accusato anche l'esercito sudanese di avere sconfinato e di avere attaccato – anche con l'aiuto di elicotteri - una caserma ciadiana ad Ade, nella zona di frontiera. Non è arrivata nessuna conferma indipendente della notizia e il Sudan ha negato. Le relazioni tra i due paesi rimangono tesissime.
Sudan / Disastri aerei a catena
Lunedì 30 giugno un aereo cargo Ilyushin di una compagnia privata è precipitato subito dopo il decollo e si è incendiato vicino all'aeroporto di Khartoum. I quattro membri dell'equipaggio, tutti di nazionalità russa, sono morti. L'aereo era diretto a Juba. Venerdì 27 un altro velivolo, un Antonov 12, era precipitato vicino alla città di Malakal (nello stato dell'Upper Nile), uccidendo i sette componenti dell'equipaggio.
Onu / Lo stupro viene definito un'arma di guerra
Il 20 giugno il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità la risoluzione 1820 che classifica lo stupro come un’arma e una tattica di guerra. La risoluzione chiede anche al segretario generale di preparare un rapporto per individuare le aree di conflitto dove lo stupro è particolarmente diffuso. Da anni varie organizzazioni che lavorano in Sudan hanno raccolto innumerevoli testimonianze sugli stupri commessi in Darfur.
Il commento
La diplomazia internazionale e il Darfur
Il Sudan è da 25 anni una sorta di laboratorio a livello mondiale della interazione reciproca tra guerra civile, dinamiche geopolitiche regionali, aiuti umanitari e trattative diplomatiche per cercare la pace. Un africano, il burkinabé Djibril Yipènè Bassolé, è stato appena nominato mediatore unico di Onu e Ua: ha davanti a sé un compito assai difficile. Molto spesso si ha la sensazione che le diverse iniziative diplomatiche in Sudan vadano avanti ognuna per suo conto. Anche l'Unione europea, come rivelano Marina Peter ed Emmanuel LoWilla, fatica a muoversi in Sudan con una voce unitaria, e spesso contano di più le iniziative di singoli paesi membri. L'intero Sudan – e non solo il Darfur – ha forse bisogno di un approccio più complessivo, non solo umanitario ma anche e forse soprattutto politico: se la diplomazia internazionale continua a rimanere così frammentata come ora, questo obiettivo si allontana sempre più. (Diego Marani)
I documenti
Le politiche dell'Unione europea in Sud Sudan
Marina Peter ed Emmanuel LoWilla hanno recentemente pubblicato per conto delle organizzazioni di sviluppo collegate al consiglio mondiale delle chiese uno studio (intitolato Too big, too many, too much) sulle politiche estere dell’Unione europea relative alla stabilità e alla sicurezza di Paesi dove sono stati firmati accordi di pace che dovranno essere implementati. Gli autori prendono come caso studio il Sud Sudan. La ricerca si basa in primo luogo su interviste semi strutturate a membri di organizzazioni internazionali, a funzionari europei e sudanesi e a rappresentanti della società civile, e in seconda istanza, sull’esperienza di consulenza svolta dagli autori sia in Sudan sia in Europa.
Si pone l’attenzione «sulla diplomazia internazionale che è ancora una volta concentrata solamente su una parte del Sudan (il Darfur); questo distoglie l’interesse dal resto del paese, dove il livello di sfiducia tra gli abitanti del Nord e del Sud sembra aver raggiunto un nuovo picco, dove gli scontri armati stanno aumentando in regioni considerate cruciali come l’Est, il Sud Kordofan, Abyei e dove sembra si stia vanificando lo sforzo di chi si è dedicato alla salvaguardia dell'Accordo globale di pace».
In questo contesto «mancano strumenti potenti, tempestivi e ben coordinati per affrontare una situazione multi-problematica»; «gli strumenti di coordinamento, come the Multi-Donor Trust Fund e the Joint Donor Office, non sono sufficientemente trasparenti»; «il coinvolgimento della società civile è ancora deficitario e le donne, più volte indicate come attori chiave nei processi di peace building, non stanno ricevendo l’attenzione necessaria».
Viene criticato l'approccio settoriale o per aree geografiche ai problemi del Sudan, approccio «che in Sudan ha fallito così tante volte e che deve essere superato». Occorre invece considerare il paese nel suo complesso. Inoltre «l’Europa non ha un ruolo predominante» perché «gli investimenti dei paesi europei sono notevolmente inferiori rispetto a quelli di altri paesi». Secondo gli autori «fino a quando gli stati dell’unione europea e le diverse istituzioni Ue proporranno una loro propria politica senza vedere la necessità di un coordinamento, persino la migliore strategia di intervento rimarrà praticamente inefficace». (a cura di Mauro Plate)
Icg / Il coinvolgimento delle donne nei processi di pace
Sul sito dell'International Crisis Group (www.crisisgroup.org) è possibile leggere la testimonianza di Donald Steinberg, ex ambasciatore statunitense in Angola e vice presidente dell’International Crisis Group, letta lo scorso 15 maggio di fronte alla commissione esteri del parlamento statunitense (Representatives Committee on Foreign Affairs), pochi giorni prima dell’assunzione della presidenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu da parte degli Stati Uniti.
Donald Steinberg individua la partecipazione attiva delle donne ai processi di pace come la chiave di successo. Nel suo breve intervento Steinberg spiega: «Spesso si dice che il coinvolgimento delle donne sia una questione di giustizia ed equità e si argomenta sostenendo che le donne sono metà della popolazione, sono le principali vittime di conflitti, sono più collaborative e meno corrotte; ma il nodo centrale è che i processi di pace e di peace building sono più efficaci ed hanno maggiore possibilità di successo se le donne sono coinvolte a tutti i livelli: dalla pianificazione alla implementazione degli interventi» e non solo, quindi, come beneficiarie.
In moltissime parti del mondo però «le donne continuano ad essere oggetto di violenza e di traffico illegale, impunemente, sia da parte dei movimenti ribelli sia da parte delle forze di sicurezza dei governi ufficiali appositamente incaricate di difenderle». (a cura di Mauro Plate)
La Campagna Sudan
Chi siamo
La Campagna italiana per il Sudan è una campagna nazionale di informazione, sensibilizzazione ed advocacy che opera dal 1994. Raggruppa organizzazioni della società civile italiana (Acli Milano e Cremona, Amani, Arci, Caritas ambrosiana, Caritas italiana, Mani Tese, Ipsia Milano, Missionari e missionarie comboniane, Nexus, Pax Christi) e lavora in stretta collaborazione con enti pubblici e privati italiani e con varie organizzazioni della società civile sudanese. In Italia la Campagna ha fatto conoscere la situazione del Sudan e ha sostenuto i processi volti al raggiungimento di una pace rispettosa delle diversità sociali, etniche, culturali, religiose della sua popolazione. Il sito che illustra l'attività della Campagna è in via di rifacimento; per informazioni sulle sue attività passate www.campagnasudan.it .
Lettera al ministro degli Esteri italiano Franco Frattini
«In relazione al prossimo summit del G8 di Hokkaido in Giappone, le scriviamo come Campagna italiana per il Sudan – una rete di associazione e Ong italiane impegnate da più di 10 anni sulle tematiche della pace e della difesa dei diritti umani in Sudan – per segnalare la nostra forte preoccupazione in merito alla situazione in questo Paese. I nostri Partner, rappresentati della società civile sudanese, ci tengono costantemente aggiornati sulle difficoltà, ormai evidenti a tutti, che stanno caratterizzando la realizzazione complessiva dell'Accordo complessivo di pace (Cpa), firmato a Nairobi nel 2005, e sull'acuirsi del conflitto in corso nella regione del Darfur».
La lettera prosegue chiedendo di porre il Sudan tra le priorità del G8 e include sei raccomandazioni. Il documento si può leggere in forma integrale nel file in pdf allegato a questa Newsletter.
Nota: per non ricevere più questa Newsletter scrivere a info@campagnasudan.it e indicare nell'oggetto "cancellazione mailing-list Newsletter".
Contatti: Cristina Sossan, segreteria Campagna Sudan, telefono 02-7723285, segreteria@campagnasudan.it
Questa Newsletter, aggiornata al 30 giugno 2008, è a cura di Diego Marani. Si ringraziano le Acli di Cremona per la collaborazione. 
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