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15 Settembre, 2002
La foto dal satellite, il Tibet e Tafazzi
Chiediamo scusa, siamo ingenuamente caduti nella bufala

La "notizia" ci era stata girata da un nostro lettore solitamente affidabile. Ma anche lui deve essere caduto nell'errore. Chiediamo scusa e, come calice amaro, pubblichiamo l'articolo - giustamente corrosivo - di Giovanni Vuono

Può capitare. Alle volte capita. L'importante é riconoscere l'errore. Anche se era in buonafede. E noi lo riconosciamo.

***

La propaganda del Tafazzi di Giovanni Vuono
dal sito www.giotibet.com

Ricordate il buon Tafazzi di gialappassiana memoria? Era un personaggio, interpretato da Giacomo Poretti componente del famoso trio Aldo, Giovanni e Giacomo.

La caratteristica di questo personaggio era che si dava tremende mazzate sui genitali traendone un masochistico piacere.

Così, certe immagini del Tibet in rivolta e dei tibetani che protestano che il governo cinese sta propinando dentro e fuori la Cina, non essendo altro che un riconoscibilissimo bieco gioco propagandistico, fanno sì che il governo cinese si dia la classica zappa sui propri piedi. Una volta si diceva così. Ma rende bene il paragone con il buon Tafazzi.

Infatti, questi sciocchi tentativi di mistificare la verità, diventano inesorabilmente mazzate che finiscono per colpire i loro zebedei azzerando ogni loro residua credibilità. Intanto già nei giorni immediatamente successivi al 10 marzo, quando ancora avevamo la possibilità di vedere immagini integrali con le pacifiche proteste dei monaci, i media di stato cinesi diffondevano le “loro” immagini con isolati gesti di protesta esagitata e che più di un sospetto indicava come immagini di repertorio. In seguito, con il mediatico oscuramento del Tibet, le uniche immagini che ci sono arrivate, a parte qualche estemporaneo contributo di turisti o di qualche improvvisato videomaker che è ricorso al telefonino munito di telecamera, sono state quelle della rete cinese, manipolate e accuratamente selezionate. Insomma solo ciò che la censura cinese consentiva vedere.

La stessa cosa con le notizie.

Le fonti del governo cinese, ad esempio, parlano ancora oggi solo di una trentina di morti e di una cinquantina di arresti. Mentre fonti molto più accreditate della dissidenza, del governo tibetano in esilio e di tanti gruppi di supporto, parlano di centinaia di morti e di un numero molto alto di arresti che non si fa fatica immaginare attorno al migliaio.

Ora è chiaro che, se i giornalisti sono stati tutti espulsi, se i turisti, compresi gli stessi turisti cinesi, sono stati “invitati” a ritornarsene a casa propria, se sul Tibet è calata una cortina che lo ha completamente oscurato al resto del mondo, qualcuno intendeva fare il proprio comodo e praticare senza disturbo la più ferocia e violenta delle repressioni.

Il disegno del governo cinese sulla carta era perfetto. Senza occhi indiscreti puntati addosso, la situazione in Tibet sarebbe stata presto normalizzata secondo modalità già collaudate in un triste passato.

E in molti tra gli osservatori occidentali sottolineavano questa tragica e inevitabile determinazione. Cito il parere espresso in un articolo di Carlo Buldrini, riportato anche su questo sito, secondo il quale, la reale situazione a seguito della repressione che stava per attuarsi sarebbe stata resa nota solo un quindici barra venti anni dopo.

E manifestava il suo timore che a raccontarcela sarebbero stati i nuovi detenuti, coloro i quali in questo periodo vengono tratti in arresto e che, se sopravvissuti e dopo tanti anni di prigionia, riusciranno a fuggire dal Tibet.

Proprio come è accaduto a tanti loro compatrioti dai quali, solo dopo lunghi anni, abbiamo appreso quanto realmente accadde durante e nel seguito delle rivolte di fine anni ottanta.

Insomma anche stavolta c’era un disegno perfetto che poteva consentire al governo cinese di raccontare quel che gli pareva e come meglio credeva.

Hanno quindi trasformato monaci pacifici con il pugno levato in aria che urlavano “Tibet libero” in pericolosi criminali, saccheggiatori armati di spranghe e assassini incendiari che hanno bruciato i negozi cinesi.

Erano queste le immagini che passavano sui canali televisivi cinesi.

D’altra parte c’è la consuetudine che soldati dell’esercito cinese vengano dotati di abito monacale tibetano da indossare a d’uopo anche a favore delle telecamere di stato. La foto qui riportata che risale al 2003 è stata scattata durante le riprese di un film. Purtroppo la fiction cinematografica è molto simile alla realtà.

Da quando sono incominciate le proteste, ma a dire il vero anche da molto prima, Pechino si è sempre scagliata contro il Dalai (i cinesi lo chiamano semplicemente così e non certo per confidenza) con colorite e fantomatiche insinuazioni accusandolo di essere il mandante e fomentatore di un movimento insurrezionalista, separatista, che attenta all’unità della Cina e, udite udite, terrorista! E meno male che proprio con la sua semplice idea di “genuina autonomia” di cui non perde occasione di parlare ha creato più di un qualche malumore nella stessa comunità tibetana in esilio!

Il bello è che queste eclatanti dichiarazioni sono accuse dette per convincere l’opinione pubblica occidentale. E il bello è che nessuno ci crede.

Se prestate attenzione alle notizie che riportano sia i giornali che le televisioni noterete come anche le più semplici dichiarazioni del governo cinese sono quasi sempre palesemente bollate come balle! E non stupitevi se notate anche un leggero sorrisino sarcastico sul viso di qualche giornalista o speaker televisivo.

Per Tafazzi è un colpo che fa davvero male.

Altro giro, altro spot propagandistico.

In queste ultime ore circola la notizia diffusa dall’agenzia governativa Nuova Cina (Xinhua) che, in un monastero dello Sichuan, la polizia ha rinvenuto “30 pistole, 498 proiettili, due chili di esplosivo e molti coltelli. Inoltre, sono stati trovati “telefoni satellitari, decoder in grado di ricevere televisioni straniere, fax, computer”… E il dettaglio del materiale rinvenuto si conclude menzionando il sequestro del materiale più pericoloso: “una bandiera proibita” (del Tibet n.d.r.) e “striscioni inneggiati all’indipendenza del Tibet”.

Inutile dire che anche la persona che meno ha sentito parlare di Tibet e di questione tibetana sa benissimo che le uniche cose che veramente possano essere state ritrovate in questo monastero potrebbero essere al massimo appunto la bandiera e gli striscioni e forse qualche coltello da cucina.

Altra mazzata alla Tafazzi.

Ma il tentativo più sfacciato è stato quello di selezionare una decina di giornalisti e di portarli in giro per la capitale Lhasa, ovviamente solo in certi posti, per mostrare loro dove si era perpetrata la forsennata violenza dei pericolosissimi tibetani, laici e monaci.

Già, i monaci. Ebbene alcuni di questi monaci che definire eroici è poco se si pensa a ciò che li aspetta, si sono fatti trovare all’interno dello Jokang e appena si sono trovati di fronte ai giornalisti hanno potuto urlare la loro verità. Lo hanno fatto con la piena consapevolezza che rischieranno una lunga detenzione e che molto probabilmente subiranno anche trattamenti e attenzioni davvero poco piacevoli. Ma lo hanno fatto per la libertà del Tibet e dei tibetani.

E Tafazzi accusa ancora un altro duro colpo.

Naturalmente i media cinesi non hanno riportato questo imprevisto, così come non lo avevano fatto con l’imprevisto blitz di Reporters sans Frontiéres ad Olimpia, in Grecia, il giorno dell’accensione della fiaccola olimpica.

In Occidente però queste immagini sono state trasmesse e hanno avuto anche spazio adeguato. E hanno contribuito a smontare ultriormente l’azione propagandistica del governo cinese.

E per il nostro Tafazzi giù una bella serie di mazzate.

Però viene spontaneo porsi qualche domanda.

Ma questi governanti cinesi che opinione hanno di noi occidentali? Credono davvero che ci lasciamo imboccare con tanta facilità? Ci sottovalutano così tanto?

Personalmente non credo che siano davvero così sprovveduti e imbecilli. Per avere in mano un potere così grande avranno di certo qualche capacità…

A meno che, ed è un’ipotesi seria e da non sottovalutare, non siano così tanto accecati dalla loro smania di onnipotenza da non vedere che, alimentando in continuazione questo genere di propaganda basata sulla falsità e sull’ingiuria, il risultato che ottengono è esattamente l’opposto di quello che loro sperano. E sono così ciechi e forse anche sordi da non accorgersi che rischiano di essere considerati né più né meno proprio come quelle parti su cui va a battere la mazza del povero Tafazzi.

In allegato: la foto che ci ha tratto in inganno

 


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