15 Settembre, 2002
Prospettive 2008: politica internazionale - Un anno di ordinario caos
di Stefano Silvestri, presidente di www.affarinternazionali.it
Il 2008 sarà certamente un anno molto interessante. Avremo un nuovo Presidente in Russia, e vedremo se sarà la copia conforme del suo creatore. Sarà anche l’ultimo anno di presidenza di George W. Bush, che sembra ancora incerto se lasciare la scena con un nuovo bang o con un più modesto pfiff. In tema di Presidenti, vedremo delinearsi la competizione tra coloro che aspirano a ricoprire per primi la nuova carica europea prevista dal “mini-trattato” di Lisbona. Se le ratifiche andranno secondo programma (ed è un grosso “se”), è possibile che il compromesso sulle nomine venga raggiunto entro l’anno, sotto la presidenza di turno della Francia.
Non sappiamo ancora se questo nuovo Presidente sarà qualcosa di più di una figura cerimoniale, ma la lista degli aspiranti comincia ad allungarsi con nomi “eccellenti”, e questo fa pensare che, almeno da parte di alcuni, le ambizioni ci siano. Il che aprirebbe naturalmente un nuovo contenzioso all’interno dell’Ue, per decidere quale sia il ruolo e il potere rispettivi del nuovo Presidente, del nuovo Alto Rappresentante (che sarà anche Vice-presidente della Commissione) e della Commissione, e quale sarà l’equilibrio istituzionale tra la Commissione stessa, il Consiglio e il Parlamento. Comunque vada, questo grande rimescolamento di carte dovrebbe avere quanto meno l’effetto di far uscire l’Europa dal suo attuale grigiore e di risvegliare l’interesse degli elettori, chiamati, nel 2009, a rinnovare il Parlamento Europeo.
Sempre più Asia
Ma nel 2008 diverrà sempre più evidente la crescita di importanza delle nuove potenze asiatiche, in primo luogo della Cina, che già è in aperta competizione con l’Europa e gli Stati Uniti in Africa ed è ormai un attore di primaria importanza per gli equilibri internazionali: solo le sue spese per la difesa sono state stimate a 103 miliardi di dollari nel 2003 e a 122 miliardi nel 2006, circa la metà di quelle di tutti i paesi europei della Nato messe assieme. La cooperazione della Cina si è rivelata essenziale per il contenimento della proliferazione nucleare della Corea del Nord, e altrettanto significativa e importante è la sua opposizione all’uso della forza nei confronti dell’Iran. In altri termini, malgrado la superpotenza militare americana, l’emergere delle nuove potenze ci mette di fronte ad un mondo sempre più multipolare.
Una cosa certa è che non mancheranno i problemi da discutere, a cominciare da quelli lasciati aperti dal 2007. Tra questi, uno dei più evidenti è quello del degrado ambientale e dei mutamenti climatici, prepotentemente riportati alla ribalta dalla campagna del nuovo premio Nobel, Al Gore. Anche qui, oltre alle diverse politiche perseguite dall’Europa e dagli Stati Uniti, cresce l’importanza dei paesi di nuova industrializzazione, Cina in testa: per avere un’idea delle dimensioni del problema basta pensare che questo paese, per assicurarsi il proprio consumo di elettricità, inaugura in media due nuove centrali termiche a carbone ogni settimana (e si tratta di centrali ancora altamente inquinanti). L’unica alternativa realmente proponibile, sia in termini di costo che in termini di quantità di energia prodotta, sembra risiedere nella moltiplicazione delle centrali nucleari, che però, specie in paesi ancora politicamente instabili, possono accrescere i rischi di una proliferazione nucleare selvaggia anche in campo militare.
Sicurezza internazionale
Un altro problema irrisolto e molto significativo è quello di come rispondere alle minacce dell’instabilità internazionale, del terrorismo, della criminalità e in genere della sicurezza. È poco probabile che lo scenario migliori significativamente. Al contrario, l’aspettativa di importanti mutamenti al vertice, e soprattutto negli Usa, spingerà i più ad assumere decisioni provvisorie e a tentare di dilazionare il momento della scelta. Anche questo avrà il suo costo, naturalmente, perché è altrettanto probabile che i terroristi, la criminalità organizzata e ogni persona interessata a mutare gli equilibri internazionali, cercherà di approfittare di questo periodo di incertezza per mettere a segno qualche colpo e per tentare di influenzare le decisioni a venire.
Tuttavia il prezzo da pagare potrebbe essere sopportabile se nel frattempo venisse messa a punto una strategia credibile ed efficace per gestire il disordine internazionale. Il problema chiave sembra essere il moltiplicarsi delle crisi politiche, militari e umanitarie che richiedono una parallela moltiplicazione degli interventi di gestione, contenimento e ricostruzione da parte della comunità internazionale in generale, e in particolare da parte dei paesi economicamente più sviluppati. Interventi che, oltre ad aumentare di numero, sembrano anche destinati a prolungarsi indefinitamente nel tempo, senza che in molti casi sia possibile scorgerne la fine. L’impegno di gestione delle crisi, così come quello della guerra al terrorismo, può essere comparato, dal punto di vista strategico, alla difficile situazione in cui si trovava Annibale quando, pur godendo degli ozi di Capua, non riusciva a trovare una risposta efficace alla “guerriglia” di Fabio Massimo: mai realmente sconfitto sul campo e mai vincitore.
La complessità e la diversità dei singoli scenari, dai Balcani alla Somalia, dal Congo all’Afghanistan, passando per le molte guerre del Medio Oriente, rende impossibile un approccio standardizzato, mentre la vicinanza tra molte aree di crisi e le aree di estrazione e di passaggio del petrolio e del gas naturale rendono impossibile un disimpegno e molto costoso ogni fallimento. Il dilemma centrale è dato dallo squilibrio economico in cui è intrappolata la strategia di gestione delle crisi. Mentre gli interventi sono estremamente costosi, gli avversari hanno a loro disposizione mezzi e tattiche a bassissimo costo in grado di infliggere danni del tutto sproporzionati. Pochi attentati agli oleodotti iracheni, uniti al permanere della situazione di tensione con l’Iran, sono largamente sufficienti per alimentare la crescita di prezzo del petrolio, sino a danneggiare sensibilmente il quadro economico globale. Egualmente un attentato terroristico riuscito in Pakistan rischia di bloccare il processo di stabilizzazione politica del paese, e una alleanza utilitaristica tra terroristi, talebani e trafficanti di droga è in grado di mettere in grave difficoltà la Nato in Afghanistan.
Il 2008 sarà quindi un altro anno difficile, ma non sarà un altro anno sprecato se servirà a convincere i governi dei maggiori paesi della necessità e dell’urgenza di ripensare le loro politiche internazionale in chiave insieme più realistica e più efficace, consentendo una migliore utilizzazione delle risorse disponibili.
Stefano Silvestri è presidente dell’Istituto Affari Internazionali
 
Fonte Affari Internazionali
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