15 Settembre, 2002
La potenza cinese tra paure e speranze (Nicola Casarini in affarinternazionali.it)
La Cina guarda con preoccupazione lo sviluppo della crisi finanziaria. Sebbene le banche cinesi siano marginalmente toccate dalla turbolenza in corso.....
La Cina guarda con preoccupazione lo sviluppo della crisi
finanziaria. Sebbene le banche cinesi siano marginalmente toccate
dalla turbolenza in corso, i dirigenti di Pechino temono la
recessione negli Stati Uniti e il rallentamento dell'economia in
Europa e Giappone, tutt'ora i principali mercati di sbocco dei
manufatti cinesi. Alla paura fa da contrappeso la speranza. Di
utilizzare la crisi odierna per ri-orientare il modello di crescita
cinese verso i consumi interni. In maniera da diminuire gradualmente
la dipendenza dal mercato statunitense. E prepararsi a prendere il
timone dell'economia globale.
L'impatto della crisi
Nelle ultime settimane, le autorità cinesi si sono premurate di
ripetere che il loro sistema bancario e finanziario è relativamente
immune dalla crisi che sta scuotendo i mercati occidentali. Liu
Fushou, vice-direttore del primo Dipartimento della Supervisione
Bancaria presso la China Banking Regulatory Commission (Cbrc) ha
dichiarato alla televisione di Stato China Central Television (Cctv),
che solo un esiguo numero di istituzioni bancarie cinesi è stato
colpita dalla crisi di Wall Street e che l'entità delle perdite
subite sarebbe comunque limitata. Ma Delun, vice-governatore della
Banca Centrale, ha snocciolato i dati in un articolo recente sul
China Business Post: le banche cinesi sarebbero esposte per meno di
10 miliardi di dollari sui mutui subprime e sette banche avrebbero
esposizioni per un totale di circa 720 milioni di dollari su
obbligazioni Lehman Brothers.
Secondo la Xinhua (l'agenzia di informazione cinese), le banche
cinesi hanno investito meno del 4% della loro ricchezza in assets
all'estero coinvolti nella crisi finanziaria. I rigidi controlli sui
movimenti di capitale da e verso la Cina – insieme alla tradizionale
prudenza cinese - hanno sicuramente contribuito ad arginare le
perdite delle istituzioni cinesi. All'indomani del fallimento della
Lehman, le autorità cinesi hanno cercato di correre ai ripari. Il 24
settembre 2008, secondo quanto riportato dal quotidiano di Hong Kong
in lingua inglese, il South China Morning Post, la Cbrc ha ordinato
alle banche cinesi di interrompere i prestiti con le controparti
americane. Una notizia che ha scatenato le ire del governo cinese e
portato la Cbrc a rilasciare una dura nota di condanna. Nonostante le
dichiarazioni ufficiali tese a negare l'interruzione di prestiti in
maniera da mantenere buoni i rapporti con Washington in questa fase
delicata, non ci si dovrebbe stupire se i dirigenti cinesi cercassero
di proteggersi dalla crisi ed evitare ulteriori perdite alle loro
istituzioni finanziarie. Anche perché il rallentamento economico in
America ed Europa (per non dire recessione) presenterà presto il
conto alla Cina sotto forma di minore domanda di prodotti cinesi, che
a loro volta porterà a una contrazione degli investimenti interni e
ai piani aziendali delle ditte esportatrici, con possibili
licenziamenti. Lo scenario maggiormente paventato dalla dirigenza
cinese. Per questo la Cina ha fin dal primo momento sostenuto il
piano di intervento dell'amministrazione Bush.
Pieno supporto al piano Paulson
La Cina è uno dei più grandi sostenitori del piano Paulson teso al
maxi-salvataggio di Wall Street e all'immissione di liquidità nel
sistema. L'intervento della `mano visibile' in economia è visto con
favore dai dirigenti di Pechino. Per ragioni certamente anche
ideologiche. Ma soprattutto, in questa fase, per motivi legati al
contenimento della crisi e alla tenuta della moneta americana. La
Cina è oggi la più grande detentrice di assets in dollari,
soprattutto buoni del tesoro. Si calcola che le istituzioni
finanziarie cinesi ne detengano per circa 1,000 miliardi
(corrispondenti a circa il 25% del debito pubblico americano). Quasi
la metà delle riserve valutarie di Pechino che hanno ormai superato i
2,000 miliardi di dollari. Industrial and Commercial Bank of China
(Icbc), Bank of China (Boc) e China Construction Bank (Ccb) avrebbero
da sole quasi 110 miliardi di dollari in obbligazioni del Tesoro e di
altre istituzioni americane.
La decisione di estendere la garanzia federale a Fannie Mae e Freddie
Mac agli inizi di settembre fu presa anche dietro pressioni del
governo cinese preoccupato delle ingenti somme (25 miliardi di
dollari a fine giugno 2008) investite da banche cinesi nei due
colossi dei mutui americani. Pechino ha pertanto seguito con
trepidazione le vicissitudini del piano Paulson. Nella speranza che
l'operato delle autorità americane possa contenere l'impatto della
crisi di Wall Street su Main Street. In quanto la Cina dipende ancora
in larga parte dal mercato americano per le sue esportazioni. E una
drastica riduzione dei consumi delle famiglie americane si
trasformerebbe in minor crescita cinese.
Promuovere i consumi interni
La Cina crescerà quest'anno `solo' dell'8% circa, lontano quindi dai
picchi del 10-12% degli anni precedenti. L'attuale crisi finanziaria
sta creando incertezza tra gli operatori, crisi di liquidità e
revisione dei piani di investimento, insieme a un calo della
propensione al consumo nei paesi sviluppati – e non solo. Visto che a
tutt'oggi più di un terzo delle esportazioni cinesi è destinato ai
mercati europeo e americano, l'attuale crisi avrà un impatto
significativo sull'economia cinese. Se a ciò si aggiunge che anche il
Giappone, attualmente il terzo mercato di sbocco dei manufatti `made
in China' dopo Europa e Stati Uniti, è in una fase di stagnazione
economica e rallentamento dei consumi, le prospettive per l'export
cinese non sono molto rosee.
La domanda crescente proveniente dai mercati emergenti dell'India,
Russia, paesi del Golfo e America Latina non basterà, a detta di
molti economisti cinesi, a compensare le perdite di export dei paesi
sviluppati. L'unica soluzione è incentivare il consumo interno, che a
tutt'oggi assorbe solo un terzo della produzione cinese. Anche se ciò
non sembra facile nelle condizioni attuali. La borsa di Shanghai ha
perso circa il 65% dall'anno scorso, volatilizzando una parte
importante delle ricchezze investite nel mercato azionario dalla
crescente classe media cinese.
A questo occorre aggiungere il calo dei prezzi delle abitazioni nelle
grandi città e un'ulteriore calo della vendita di alcuni beni di
consumo quali auto ed elettrodomestici. Il tutto sta provocando un
progressivo calo della fiducia dei consumatori come riportato il 24
settembre dalla Xinhua Finance. In una tale situazione, la Banca
centrale cinese ha tagliato i tassi di interesse per la prima volta
in sei anni in maniera da rilanciare i consumi. Il governo teme un
rallentamento economico, che potrebbe mettere a repentaglio la
stabilità sociale e la legittimità stessa dell'attuale regime.
La speranza di Pechino
La crisi attuale può rappresentare un'opportunità di ri-orientamento
del modello di crescita cinese basato finora sulle esportazioni. Le
iniziative del governo e della banca centrale nelle ultime settimane
mirano a far si che la domanda interna, col tempo, possa pian piano
sostituire la forte dipendenza attuale dai mercati esteri,
soprattutto quello americano. Finora la locomotiva cinese si è mossa
di concerto con gli Stati Uniti, data l'interdipendenza reciproca
delle due economie. L'attuale crisi ha però accelerato l'obiettivo
della dirigenza cinese di raggiungere quanto prima il cosiddetto
decoupling, ovvero il mantenimento di una sostenuta crescita senza
però dover dipendere così fortemente, come ora, dai cicli economici
americani. Se ciò riuscisse, si aprirebbe una nuova fase nelle
relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti.
È prevedibile che alla fine dell'attuale turbolenza finanziaria, la
leadership economica dell'America ne esca alquanto ridimensionata. La
Cina si prepara al passaggio del testimone.
Nicola Casarini è Marie Curie Fellow presso il Robert Schuman Centre
for Advanced Studies, Istituto Universitario Europeo (Firenze).
 
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