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15 Settembre, 2002
Welfare oggi...Un documento delle Acli Provinciali di Cremona.
Il Consiglio provinciale Acli riunitosi Crema il 7 giugno u.s. per riflettere sul manifesto delle Acli nazionali "Fare welfare equo e portatile, municipale e comunitario" rende note le proprie considerazioni nel seguente documento.

Welfare oggi...Un documento delle Acli Provinciali di Cremona.
Il Consiglio provinciale Acli riunitosi Crema il 7 giugno u.s. per riflettere sul manifesto delle Acli nazionali "Fare welfare equo e portatile, municipale e comunitario" rende note le proprie considerazioni nel seguente documento. Le Acli, radicate nei valori di una presenza cristiana nel sociale, si sono sempre poste a fianco dei lavoratori e dei soggetti più deboli per promuoverne la dignità, organizzando servizi sul territorio.
Sempre calate nel concreto delle situazioni in nome della solidarietà, valutano i problemi sociali secondo l'ottica di chi li vive in prima persona e sanno farsi portavoce di chi vede minacciate le sue sicurezze di base o attende il riconoscimento dei propri diritti. Il "fare" e il "dire" per le Acli restano passaggi vitali del loro essere associazione dentro il conflitto tra un mercato sempre più pervasivo e i diritti della persona che non possono essere cancellati o subordinati ai parametri monetaristi e aziendali.

Il "fare" delle Acli oggi
E' un costruire uno stato sociale a partire dagli ultimi, riconoscendo la priorità di sostenere chi ha più bisogno, evitando di fare parti uguali tra disuguali. E' un riprogettare il sociale sulla centralità della persona che viene prima del profitto. Il welfare delle Acli vuole essere comunitario e municipale: promuove la partecipazione dei cittadini e del terzo settore nella realizzazione dei servizi territoriali pianificando e gestendo i progetti insieme all'ente locale ed ai privati.
Il dire delle Acli oggi

Le Acli pensano che il welfare ha come scopo il benessere di tutte le persone in situazione di povertà, disoccupazione, malattia, invalidità, vecchiaia. Pensano che l'etica di una società si misura sulla sua capacità di farsi carico della vita dei suoi membri più deboli e che l'essenza della morale sta nella responsabilità che ci si assume per l'umanità degli altri.
Credono che il vero benessere sia dato dallo sviluppo sociale e da quello economico insieme, dalle capacità umane, politiche e d'impresa di una comunità che interagiscono per il bene di tutti.
Ribadiscono che tutti devono poter accedere ai servizi a prescindere dalla loro facoltà contributiva. Ridistribuire la ricchezza e destinare risorse all'inclusione su fasce che altrimenti ne sarebbero escluse, non deve essere considerato una spesa sociale a perdere ma un investimento. L'aumento del benessere non è infatti legato alla crescita del PIL: la crescita economica, da sola, non produce la sicurezza sociale e la qualità della vita.
Sostengono che consentire forme di elusione o di evasione fiscale e promettere continui tagli alle tasse significa poi tagliare i servizi al cittadino che non può pagare di tasca propria.
Constatano una progressiva dismissione delle politiche sociali. In passato, si criticava il welfare dello stato perchè assistenzialista e sprecone. Ora, la gestione privata dismette le politiche sociali a favore di quelle economiche. I privati non garantiscono maggiore fruibilità e libertà di accesso alle prestazioni: sale il numero degli esclusi.
Denunciano una totale liberalizzazione e privatizzazione del welfare. Nel prossimo vertice dell'Organizzazione Mondiale del Commercio in Messico, a settembre, tutti i servizi e i beni comuni di uno stato e di una comunità (salute, assistenza sociale, scuola, acqua, ecc.) verranno liberalizzati e venduti sul mercato mondiale come dei beni di consumo. Potranno essere acquistati da imprese o multinazionali straniere di fronte alle quali né i governi né gli enti locali avranno diritto di interferire con specifiche forme di controllo.
Ciò darà una spallata definitiva al principio della universalità e gratuità dei servizi pubblici. Ridurrà al nulla le politiche sociali ed il controllo democratico delle medesime; impedirà una conduzione municipale del welfare per fare spazio agli oligopoli.
Sanità e assistenza

In questi anni, la gestione sanitaria regionale ha puntato tutto sull'accreditamento e l'espansione delle strutture private ed è arrivata, ora, a uno scenario recessivo in termini di risorse e di servizi.
Ha regalato ai privati migliaia di miliardi in posti letto e esami ambulatoriali che hanno prodotto diverse migliaia di miliardi di disavanzo e dei mutui per ripianarlo gravando così sul bilancio regionale lombardo per circa 2000 miliardi di lire. Come cittadini tutti noi abbiamo pagato, a tempo dovuto, l'addizionale Irpef, sia locale che regionale, per coprire il grosso buco della sanità lombarda; ora paghiamo ancora di tasca nostra tante cure un tempo gratuite.
Intanto la rete dei servizi territoriali è stata indebolita: le attività diagnostiche sono state sottratte al territorio e le attività sanitarie domiciliari sono diventate carenti; sprechi e inefficienze però non hanno subito correzioni.
E' il caso dell'aumento esponenziale di alcune tipologie di interventi ben retribuiti. Si è indebolita anche l'assistenza ai malati ed anziani non autosufficienti che necessiterebbe invece di essere sviluppata. Di fronte al crescere della popolazione anziana sul territorio e delle patologie croniche, si sono tagliati i posti letto nei ricoveri, (ma non a chi può pagare la retta anche di 5 milioni al mese) e siamo alla situazione tragica di anziani non autosufficienti abbandonati nelle loro case e di frequenti esposti all'autorità competente per omissione di cure. Casi che toccano ormai anche il ceto medio abbiente, in difficoltà nel sostenere i costi di un parente da ricoverare.

Di fronte a queste emergenze, alcuni consiglieri di maggioranza e minoranza in Regione hanno proposto la costituzione di un fondo nazionale di solidarietà (NAT) per chi non è totalmente autosufficiente, e ci auguriamo che almeno questa proposta vada in porto.
Il ministro Sirchia, recentemente, ha lanciato il suo grido di dolore sull'attuale sistema sanitario dicendo che "l'ospedale non può rispondere ai criteri di una azienda". Ovviamente un sistema sanitario lasciato in balia alla concorrenza dei privati produce una dequalificazione diffusa nella rete dell'offerta dei servizi. Anche il recente piano socio sanitario regionale si pone in continuità con un sistema sanitario di stampo liberista: in prospettiva, una politica di apertura indiscriminata alle assicurazioni private, non per aumentare i servizi ma per distribuire gli oneri tra i cittadini attraverso fondi obbligatori, segna la fine dell'universalismo e finisce di avvantaggiare le persone più benestanti.
Da tempo le Acli insieme al Centro tutela diritti del malato di Cremona cercano di sensibilizzare i cittadini su questi problemi invitandoli a non aspettare di provare sulla propria pelle disagi e disservizi ma a mobilitarsi per salvare il diritto alla salute per tutti, senza esclusione.
Immigrazione

La gravità del problema è palese nelle vicende legate alle carrette del mare con il loro carico di disperazione, di morti e dispersi nelle acque delle nostre coste. Ciò testimonia il fallimento della strategia della repressione e contenimento degli sbarchi. Testimonia l'incapacità della politica estera nel decifrare la genesi del fatto migratorio e la non volontà di prevenirlo fermando le guerre in corso, promuovendo politiche di cooperazione e sviluppo capaci di arginare la fuga in massa dal terrore e dalla miseria. Non solo dunque miopia politica, ma anche rozzezza umana e civile di chi invoca le cannonate contro i clandestini e che nella legge Bossi-Fini ha concepito l'immigrato solo come forza produttiva da rispedire al paese d'origine subito dopo l'uso. Protervia che ha sancito l'equazione immigrato-criminale e ne fa una minaccia per l'ordine pubblico spingendo l'opinione pubblica in una posizione difensiva, addirittura ad un tasso "di tolleranza zero"verso l'immigrato come evidenzia l'indagine IREF (istituto di ricerca delle Acli).

E ancora, tentativi di discriminazione con i recenti provvedimenti di regolarizzazione concessi a rallentatore che rischiano di far regredire da uno stato di legalità alla clandestinità moltissimi immigrati che pure dispongono di un regolare lavoro.

Le Acli non subordinano la dignità dell'immigrato al suo essere lavoratore ma lo considerano prima persona e poi risorsa non solo per il sistema produttivo ma anche per l'arricchimento nell'incontro tra le culture e identità. Per questo promuovono l'inclusione sociale e i diritti di cittadinanza per gli immigrati che vivono nel territorio.
Chiedono in particolare, parità di diritti in materia di lavoro e previdenza. Promuovono la possibilità di trovare una casa non precaria e dignitosa. Chiedono di rimuovere tutte le barriere (lingua,cultura, burocrazia…) che impediscono al cittadino straniero di accedere ai servizi sociali. Chiedono maggiore attenzione e tutela ai minori stranieri a partire dalla scuola. Lavorano per una convivenza nel dialogo e nel riconoscimento dei reciproci diritti e doveri.
LAVORO

Il mondo del lavoro è soggetto a notevoli cambiamenti. In particolare è stato recentemente approvato lo schema del decreto attuativo della legge n. 30/2003,. In attesa dei risultati del confronto con le parti sociali, noi come ACLI di Cremona non possiamo non riprendere le preoccupazioni già espresse agli inizi dell’anno 2002 dai responsabili regionali della Pastorale del Lavoro, guidati da monsignor Giancarlo Bregantini e che sono tuttora di estrema attualità.

In particolare riteniamo inaccettabile introdurre nel sistema produttivo nuove dosi di flessibilità senza prima aver provveduto alla costruzione del sistema di tutele che rendano sostenibile la flessibilità già presente e senza precisi richiami alla contrattazione collettiva che ne fissi i limiti e le modalità di utilizzo. Inoltre ribadiamo che la flessibilità non può essere vista solamente in funzione delle necessità dell’impresa e come tale imposta al lavoratore, ma occorre promuovere anche una flessibilità per il lavoratore, una flessibilità che cerchi di conciliare il tempo di lavoro e tempo personale e della famiglia.

A questo proposito dobbiamo rilevare come, a nostro giudizio, le politiche del lavoro sono strettamente connesse con quelle della famiglia. Così queste ultime, se non vogliono essere esercitazioni demagogiche, non possono prescindere dal tentativo di assicurare ai giovani condizioni di lavoro capaci di dare un minimo di garanzia per il futuro.

Insieme ai giovani sono poi le donne a rischiare di essere penalizzate dai lavori atipici; infatti le modalità di questi ultimi consentono oggettivamente alle imprese di “mantenersi le mani libere in caso di maternità o di sospetto assenteismo per cause familiari”; inoltre nei loro riguardi non operano leggi in favore della maternità come la 53/2000 (in pratica quest’ultima tutela solamente i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato).
Ed ancora dobbiamo rilevare che oggi come non mai siamo in presenza ad una grande disuguaglianza di condizioni di lavoro e di reddito tra le persone. Per questo, senza cadere in utopie egualitariste, è opportuno porre l’attenzione sulla necessità di attivare politiche che si oppongano al crescere di questa divaricazione.
Da ultimo, ma non di minore importanza, occorre riaffermare con forza il principio che, nel valutare le novità introdotte nel campo del lavoro, non si può prescindere anche dagli effetti che esse potranno avere sulla società in generale. In particolare come cristiani non possiamo trascurare l’allarme lanciato da diversi studiosi e che vedono il pericolo che la cultura della flessibilità e della mobilità penetri dal mondo del lavoro a quello della vita di tutti i giorni, con una sempre minor propensione a contrarre legami profondi e duraturi. “Se il lavoro è precario, diventa precaria anche la società” (Conferenza Episcopale Canadese).

Cremona, luglio 2003

 


       



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