15 Settembre, 2002
Si può fare.Non c’è (ancora) pace per l’acqua dei nostri acquedotti.
La novità è data da una sentenza della Corte Costituzionale che ha “cassato” il modello lombardo
Si può fare.Non c’è (ancora) pace per l’acqua
dei nostri acquedotti.
La novità è data da una sentenza della Corte
Costituzionale che ha “cassato” il modello
lombardo
Egregio direttore
A distanza di neanche un anno dalla famosa
delibera del 7 Aprile 2009, poi riformulata
grazie all’iniziativa del Comitato Acqua
Pubblica di Cremona, l’ultima assemblea dell’ATO
(22 Gennaio 2010), ha dato mandato al CdA
di elaborare una nuova proposta di modello
gestionale del servizio idrico integrato.
Questa volta però, rispetto all’anno scorso,
la novità è data da una sentenza della Corte
Costituzionale che ha “cassato” il modello
lombardo, ma soprattutto l’entrata in vigore
del famigerato art 23 Bis della legge 135/2009,
recentemente modificato, che disciplina i
cosiddetti servizi pubblici locali a rilevanza
economica presupponendo un loro adeguamento
ad una “fantomatica” disciplina comunitaria
in materia.
Neanche a dirlo il modello proposto dal CdA
dell’ATO è quello dell’affidamento della
gestione ad una società mista con scelta
del socio privato mediante gara (e cioè quello
che stanno proponendo da 4 anni; una volta
si diceva “la fantasia al potere”: bei tempi….).
Ai privatizzatori bipartisan locali, viste
le recenti novità legislative proposte da
un Governo che sta svendendo non solo la
nostra acqua ma tutto il paese, non è parso
vero di rispolverare l’alibi che ormai sentiamo
da anni e cioè: “siamo per la gestione pubblica,
ma dal punto di vista giuridico non è possibile”.
Ed invece è possibile, eccome se è possibile.
Una delle tante mistificazioni che si sentono
dire in materia di servizio idrico integrato
è che le recenti norme sono dettate dalla
disciplina comunitaria; se non adottate si
correrebbe il pericolo di una procedura di
infrazione da parte dell’UE.
Non c’è niente di più falso, anzi di strumentalmente
falso, almeno per quanto riguarda i servizi
pubblici locali.
Come si diceva l’alternativa c’è, ed ha una
solida base non solo giuridica, sia europea
che nazionale, ma anche economico-finanziaria,
nonché costituzionalmente corretta (a differenza
dell’art. 23 bis su cui pendono già i ricorsi
alla Corte Costituzionale di almeno 5 regioni
di diverso colore politico, cosa che già
di per sé consiglierebbe cautela…).
Il Comitato Acqua Pubblica ha pertanto deciso,
sollecitato anche da alcuni coraggiosi sindaci
che non mollano, di assumersi l’onere di
illustrare la sostenibilità giuridico-economica
e la conseguente fattibilità legislativa
di una proposta gestionale alternativa che
si basa sul riconoscimento del servizio idrico
integrato quale servizio privo di rilevanze
economica e come tale non assoggettabile
alle leggi della concorrenza. Un riconoscimento
gia votato o inserito nei propri statuti
in queste settimane da centinaia di comuni
italiani, tra i quali Venezia e Torino, e
per venire a noi Casalmaggiore e San Daniele
Po.
Chiederemo a questo proposito un appuntamento
al Presidente Salini ed al CdA dell’ATO per
presentare questo modello gestionale che
mira a salvaguardare l’acqua come bene di
tutti e non come affare per pochi.
Infine vogliamo che il dibattito sul destino
di un bene fondamentale come l’acqua esca
dalle “segrete stanze” e torni nelle piazze.
Nelle prossime settimane ci muoveremo, come
sempre, per garantire l’informazione più
completa possibile su una vicenda che riguarda
direttamente il nostro futuro di cittadini,
perché si scrive acqua ma si legge democrazia.
La ringraziamo per l’attenzione che vorrà
concederci.
per il comitato cremonese
giacomo bazzani
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