15 Settembre, 2002
Rilanciare la Comunità di G.V.Lazzarini.
Quali le possibili strategie per attivare nuove modalità di comunicazione e di coesione fra le persone, una nuova forma di comunità?
Rilanciare la comunità (anche per non morire
soli)
Anche in una città piccola e ancora in buona
sostanza ancora sufficientemente integrata
com’è Cremona, nel periodo estivo alcune
persone anziane sono state trovate morte
in casa dopo alcuni giorni. Senza entrare
nel merito della loro situazione di vita,
e neppure del ruolo dei servizi sociali (ammesso
che quelle avessero chiesto di essere seguite)
e delle misure governative per fronteggiare
l’emergenza (come la messa a disposizione
delle caserme dei vigili del fuoco), per
dobbiamo ancora una volta parlare di crisi
dei legami fra le persone.
Alla radice della frammentazione sociale,
oltre a straordinari fenomeni economici e
occupazionali, vi sono quelli che hanno riguardato
la composizione sociale (anche per i flussi
migratori), i rapporti intergenerazionali
(con il prevalere dell’età anziana e la drastica
riduzione del numero dei figli, e quindi
delle risorse per la e l’assistenza), la
crisi dei luoghi tradizionali di socializzazione,
di incontro (il vicinato, l’osteria, il partito…),
il “nomadismo” (l’abitudine a spostarsi in
territori diversi e spesso lontani dal proprio),
l’imporsi dei nuovi media, che hanno radicalmente
modificato le consuete modalità comunicative.
Quali le possibili strategie per attivare
nuove modalità di comunicazione e di coesione
fra le persone, una nuova forma di comunità?
Le soluzioni non sono né semplici né chiare
né facili, in quanto richiedono di contrastare
dinamiche economiche, sociali, culturali
di enorme rilievo.
In ogni modo, dobbiamo tentare di rimettere
al centro il concetto di appartenenza a un
territorio, cioè a un contesto che è, in
primo luogo, quello abitativo (l’edificio
architettonico, la struttura urbanistica
di un determinato “angolo della città”),
ma che è, al tempo stesso, relazionale, sociale,
culturale.
L’appartenenza è il radicamento nel territorio,
inteso come “sentirsi a casa”, circondati
di cose note, di volti noti, partecipi di
fronte alle politiche sociali.
Lo sviluppo di comunità richiede il coinvolgimento
e la mobilitazione di una molteplicità di
soggetti anche molto diversi, del pubblico
e del privato, formali e informali, collettivi
e individuali. Occorre rilanciare nei luoghi
di vita la solidarietà e la creatività istituzionale
e sociale, ma con una consapevolezza: studi
e esperienze condotte nei contesti urbani
ci dicono che progetti, magari ineccepibili
sul piano teorico, hanno incontrato difficoltà
di realizzazione proprio per la resistenza
degli abitanti mantenuti estranei ai processi
di decisione e di sviluppo dei progetti.
La partecipazione è il primo fattore della
condizione di fattibilità degli interventi:
ma non si tratta di una mera consultazione
dei cittadini, ma della valorizzazione del
cittadino come risorsa, anziché come passivo
destinatario di politiche pensate altrove,
sviluppo del senso di progettazione sociale
percepita come prodotta della volontà condivisa
Occorre un grande, generale cambiamento di
mentalità e di comportamenti. Il primo obiettivo
è quello di realizzare, con lo sforzo e la
collaborazione di tutti i soggetti in campo,
istituzioni, sindacati, volontariato, associazioni
di cittadini, reti informali di solidarietà,
un’altra “logica” della politica della territorialità
e della domiciliarità. La dimensione della
domiciliarità si basa sui rapporti, sulle
reti di relazioni, cioè sull’appartenenza
al territorio, in senso fisico, culturale
e sociale. Si basa su un diverso protagonismo
della famiglia, chiamata ad aprirsi ed entrare
in maggiore e diversa relazione con l’agire
dei servizi, delle altre forme di socialità
e di solidarietà. Ha bisogno del recupero
e dell’invenzione di spazi intermedi di incontro
e di socializzazione, dalle piazze al vicinato,
agli oratori, ai centri sociali… Ha bisogno
di servizi che osservino e si sforzino di
capire che cosa succede dentro e fuori di
loro. E’ compito dei servizi conoscere e
ri-conoscere le risorse plurime presenti
nella società civile, nel volontariato, nei
nuovi soggetti delle risorse informali, per
saperle poi raccordare.
Ma è compito delle forze sociali, a partire
dal sindacato, rivedere il proprio modo di
essere e di agire nel sociale, e di incalzare,
mettendosi concretamente in gioco e assumendo
responsabilità dirette, le istituzioni, le
politiche sociali, la logica dei servizi.
E’ la concezione di un territorio-laboratorio.
Siamo pronti?
Gian Vittorio Lazzarini
 
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