Dalle sei il comando centrale aveva cercato invano di mettersi in
comunicazione, via radio, col caporale Kamec. Alle sette una grossa macchina
dell'esercito straniero si fermò sulla piazza di Dosso. Nessuno. I soldati
avevano tutti gli stivaloni e portavano segni strani sul braccio. L’ufficiale
che li comandava prese in mano la pistola e con quella, cautamente, spinse la
porta del comando. Di scatto s'irrigidì sull'attenti dando un ordine e di colpo
i soldati saltarono giù dalla macchina e fecero altrettanto. Poi l'ufficiale si
girò sui tacchi e precedette i soldati nella cascina. Si fermarono in mezzo
all'aia e l'ufficiale, con la pistola in pugno gridò: «Tutti i civili escano
dalle case immediatamente». La voce rimbombò dietro le stalle; ma non comparve
nessuno. L’ufficiale fece forza contro la porta di Magni. Era chiusa. Allora
guardò l'orologio da polso e diede un ordine. Sulla piazza giungeva l'eco del
canto del «Kyrie» dalla chiesa.
La macchina straniera infilò la strada del Cristo e si fermò al ponte della
Navèra. I soldati saltarono a terra coi fucili in mano. «Kyrie eleison...
Signore abbi pietà di noi...» cantavano i fedeli e stavano terminando quando i
soldati si schierarono davanti alla chiesa con le armi al piede. L’ufficiale
spalancò la porta con un calcio e due soldati bloccarono l'uscita coi fucili
puntati. Un'ondata di freddo invase la chiesa. Tutti i fedeli si voltarono ed il
priore che stava allargando le braccia per intonare il «Gloria», vide le
fiammelle delle candele oscillare. L’ufficiale attraversò con passo marcato
la navata, entrò nel presbiterio, salì sull'altare vicino al priore e si
voltò con la pistola in pugno: «Abbiamo trovato morto il caporale Franz Kamec.
Strangolato. Dò tempo cinque minuti perché il colpevole si presenti.
Altrimenti dieci di voi saranno fucilati e le vostre case bruciate».
La moglie di Peppo svenne. Ma nessuno si poteva muovere. Le donne che non si
erano sedute guardavano fisse nel vuoto. Qualcuna si era preso il figlio in
braccio e tremava. Gli uomini, dal fondo della navata, pallidi, guadavano
l'ufficiale che si era fatto immobile, sull'attenti, davanti all'altare. Anche
Don Alonzo, voltato alla gente, non si muoveva. Aveva congiunto le mani ed in
cuor suo pregava per Peppo e lo straniero che non erano alla Messa di Natale. C’erano
tutti gli altri suoi figli, però. Tutti. Dai vecchi, là in fondo, a...
Carlino. Fiorella se lo stringe forte e guarda lui,
Don Alonzo, con due occhi strani come se volesse interrogarlo. «Ma che posso
mai dire, io, Fiorella? Non c'è niente da dire, vero Luisa? Un giorno
parleranno e Doro e Marco e tutti gli altri. Adesso che è Natale non c'è che
una cosa da fare». E dopo aver salutato col cuore le famiglie dei Pagliari, dei
Magni, dei Feraboli, dei Beretta, dei Marengo, dei Pini, degli Sclavi, dei
Marcelli, dei Paronna, tutte sfilate nei banchi, il priore si volse
all'ufficiale e disse: «Sono stato io».
Tutti guardarono Don Alonzo. Qualche donna si coprì gli occhi. I due soldati
di guardia alla porta avanzarono fino alla balaustra. L’ufficiale disse:
«Andiamo». Ed il priore: «Permettete che intoni il «Gloria»: deve nascere
Cristo».
Allargò le braccia e cantò: «Gloria in Excelsis Deo». Sorrideva quando,
lentamente, scese i gradini dell'altare ed allungò la mano a Cécciu che con la
cotta bianca addosso gli pareva ancor più pallido. «Mi raccomando i miei
passeri, Cécciu». Ma, il fabbro non aveva saputo dire qualcosa. Sorrise il
priore anche quando i due soldati gli si posero al fianco: e sembrava ancora
più piccolo e vecchio. Si fermò al primo banco perché Fiorella singhiozzava
troppo forte ed aveva svegliato il bambino. Ma stavolta anche Don Alonzo non
seppe parlare: fece un segno di croce e continuò a camminare. Non seppe fare
altro che dare benedizioni, lungo tutta la navata, banco per banco, con le
braccia allungate da una parte e dall'altra. E guardava in faccia tutti ed in
cuor suo raccomandava per tutti qualcosa di buono. Anche per Gandull che s'era
messo in un angolo d'ombra, per non farsi vedere.
Sulla porta, della chiesa pensò al manoscritto e gli venne una grande
tristezza: «Non sono stato capace, in tanti anni, di fare almeno un'opera
buona*». La piazzetta aveva il muschio bianco di brina e bianchi erano gli
alberi spogli del padule al di là della strada. Ma non c'era più il vento ed
il cielo era basso. Il priore venne fatto camminare fino in fondo al sagrato, ma
volle voltarsi a guardare la chiesa e non guardò i soldati che imbracciavano i
fucili. Congiunse le mani e sentì i passeri, tutti allineati sul cornicione
della chiesa. Tutti i suoi uccelli erano riuniti lassù e guardavano a basso,
nella piazzetta, il priore vestito di bianco con la pianeta dorata, come usava
per le sagre, a Pasqua ed a Natale.
Cominciò a nevicare e gli uccelli tacquero. Ma al rumore improvviso degli
spari che echeggiarono sulla campagna vuota, frusciarono tutti verso la torre e
ripresero a chiacchierare forte. Altri uccelli si levarono dal padule e dai
boschi del fiume e dai pioppi sfilati nella pianura e vennero sotto il largo
tetto della Navèra come ogni anno per la prima nevicata. Quando la macchina
straniera scomparve lungo la strada del Cristo, il fabbro venne dal priore che
era disteso sul muschio, con le mani incrociate e gli occhi aperti come se
guardasse scendere la neve. Lo prese sulle braccia e gli venne di parlargli,
mentre lo riportava in chiesa.
Non era pesante il priore; sembrava fatto solo di anima. Lo portò come si
porta un neonato e la gente man mano si inginocchiava. Solo qualche donna
piangeva forte ed un bambino. Il fabbro salì sul presbiterio e depose il corpo
del priore sulla mensa dell'altare. Poi, come se fosse nato Cristo, intonò il
canto di Natale.
Fuori, la pianura era già bianca.
Fiorino Soldi: L’ultimo Vangelo. (Ristampa a cura di Ed. Pizzorni, 1992,
pp. 211-215)
* Il manoscritto accennato è “L’ultimo Vangelo” che don Alonzo,
l’anziano priore della chiesa della Navèra, addossata all’argine del Po,
sta scrivendo da anni. Qualche volta ne parla:
«Adesso certa gente bada solo se il camino tira d'inverno; se entra freddo
dalle fessure delle porte e se il pane che mangia e più bianco di quello di
ieri. Ma chi non ha né camino né porte, né pane? Troppi parlano del Vangelo e
non sanno metterlo in opera. Essi parlano di un falso Vangelo, buono a inchiodar
Cristo con la testa in basso, stavolta. Non sanno più cos'è la carità e
studiano solo i mezzi per alzar le forche e costruire barriere di cannoni. Sono
secoli che gli uomini s'illudono di fare senza il Vangelo. Ma quando si
dimentica il Vangelo si trovano di fronte ad una guerra. Ecco la verità.
Poiché non si comanda la rassegnazione alla fame e non si vince la miseria con
i plotoni d'esecuzione. Fanno la guerra: e questo vuol dire il loro fallimento,
poiché la loro civiltà non e più capace di salvare, ma di uccidere; non e
più fatta per l'uomo, ma contro l'uomo. Hanno paura di denunciare questo mondo
nel quale sono costretti a vivere e si suicidano. O ci rimettono la vita. Ecco
dove appare l'Anticristo. Vestito di ferro, su un carro di fuoco. La guerra è
l'Anticristo. Poiché la guerra è sempre un delitto. Chiedetelo ai soldati,
alle madri, ai morti».
«Poiché vi è un quinto Vangelo. Ed è quello che ogni uomo scrive col
proprio sangue: la sua testimonianza alla menzogna od alla verità.»