15 Settembre, 2002
Con Giuliana
“Scusa se ti mettiamo in prima pagina, ma oggi la notizia sei tu e il nostro mestiere … è proprio questo, parlare di ciò che succede…”
il manifesto del 05/02/2005
Giuliana
Cara Giuliana, scusa se ti scriviamo una lettera che non potrai leggere subito
ma solo tra un po', quando - come ogni mattina - ci telefonerai per dirci quale
pezzo d'Iraq raccontare ai nostri lettori, come stavi per fare ieri. Scusa se ti
mettiamo in prima pagina, ma oggi la notizia sei tu e il nostro mestiere - nel
suo lato migliore - è proprio questo, parlare di ciò che succede, raccontando
le linee d'ombra, ciò che magari non appare, ciò che non è «ufficiale»,
ciò che accade alle persone in carne e ossa. Dovrebbe essere un mestiere di
confine e proprio per questo «uno dei pochi che valga la pena fare», diceva
uno scrittore messicano; a volte è ridotto a piccola cosa, ma dipende da noi
renderlo vero. Per questo tu ora sei lì, in Iraq, dove sei stata già tante
volte, un paese che ami - non in senso astratto - ma perché ami la sua gente
martoriata da troppi anni di guerre, dittatura, embarghi, terrorismo. Per questo
hai voluto correre il rischio che sempre c'è a non restarsene in albergo,
limitandosi a rilanciare i dispacci ufficiali, scendendo invece in strada a
cercare la verità, le sue difficili ambiguità. Stiamo «dalla parte del
torto», è vero ed è un bene. Cara Giuliana, a ogni vigilia di un tuo viaggio
- come alla vigilia dei viaggi che ognuno di noi stava per fare in «zone
difficili» - ci incontravamo non solo per stilare il programma di lavoro, ma
anche per chiederci il senso di quella «missione», per dirci se ne valesse la
pena. Ma la risposta è sempre stata - e sarà - la stessa: «Vale la pena,
serve a noi per capire e far capire, serve alla nostra parte, gente che per non
essere prigioniera di questo mondo deve essere in questo mondo». E poi è anche
bello, accidenti se è bello, poter guardare e descrivere la vita in libertà,
che è la storia di questo giornale, pagata con un'esistenza un po' precaria o,
peggio, rischiando brutti incontri. E' un privilegio che ci teniamo stretti,
perché rinunciarci sarebbe magari comodo ma terribilmente triste, una violenza
contro noi stessi. (...)
 
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