15 Settembre, 2002
Oggi in Val Susa, Italia
«Se la Valsusa è un corridoio, il governo è un cesso»
Oggi in Val Susa, Italia
di Fabio Malagnini / Socialpress.it
"Se la Valsusa è un corridoio, il governo è un cesso" -
riferisce un quotidiano - si poteva leggere ieri su uno striscione steso tra due
alberi di Venaus, nel giorno della riconquista simbolica del presidio no-Tav da
parte degli abitanti della Val Susa. Dopo la scelta della militarizzazione
no-stop e dello sgombero violento (Pisanu), dopo il tentativo di tacitare la
protesta della valle come "problema di ordine pubblico" (Lunardi) e di
sedare l'opinione pubblica sventolando il gonfalone dello sviluppo ad alta
velocità (Berlusconi), è probabilmente il minimo (e il massimo) che si possa
pensare di questo governo.
Adesso, dopo il bastone dello sgombero, sembra finalmente arrivata la carota
della trattativa. Adesso, davanti alla debacle delle immagini, da Letta Sr. a
Chiamparino, dai centri pensanti del potere romano ai ministri in pectore della
Sinistra-Centro, si apre la fase del consenso, anche in vista di Torino 2006
(esemplare, a questo proposito, la parabola della governatora Mercedes Bresso,
passata in pochi giorni dall'intransigenza pro-Tav alla richiesta di una
"tregua olimpica"). Adesso è chiaro a tutti, tranne forse agli amici
di Lunardi, che la priorità, è guadagnare tempo.
Per i trattativisti più illuminati, non meno che per l'attuale Premier,
resta però in sottotesto la premessa che, del tutto scontatamente, deve
regolare i rapporti tra l'asse economico-politico che decide e la massa di
amministratori e amministrati locali, che prima o poi vi si sottomette.Questa la
premessa, come ci ha assicurato Fassino, è che, alla faccia di qualsiasi
"trattativa", la Tav si farà.
A questo punto giova ricordare che, al di là delle incalcolate conseguenze
d'impatto ambientale del tunnel di Venaus - tali da convincere la stessa
commissaria UE, Loyola De Palacio, a spedire un paio di esperti indipendenti sul
luogo del disastro annunciato - e dei dubbi vantaggi ambientali prospettati
dalla possibile riduzione del traffico su gomma, il progetto TAV Lione- Torino,
incorporato alla costruzione del cosiddetto Corridoio 5, lascia profondamente
perplessi - per usare un eufemismo - anche la maggioranza degli economisti
Critiche sono piovute sia per i costi stimati (quattro volte il famoso Ponte
sullo Stretto di Messina), per lo più a carico dell'erario italiano, sia per
l'orizzonte temporale (15-20 anni), tale da inficiare qualsiasi seria previsione
macroeconomica ma più che sufficiente per deresponsabilizzare i decisori di
oggi e i pasdaran nostrani dell'ultra modernità su rotaia. D'altra parte, ci si
chiede, perché mai l'Italia, bene o male proiettata verso l'economia dei
servizi, dovrebbe voler decuplicare nel 2020-2025 il traffico merci sull'asse
Est-Ovest? Per esportare t-shirt taroccate e mobiletti a basso costo? Per fare
le scarpe ai cinesi? Per questo dovrebbe sottrarre le già scarse risorse a
disposizione all'ammodernamento delle scalcinate infrastrutture esistenti? E'
quello che la lobby dei costruttori, sotto l'egida di un tardo dirigismo pro-Ue,
vorrebbe farci credere.
I loro sostenitori, numerosi e assidui sulle pagine dei principali quotidiani
nazionali, se ne guardano bene ma, anzichè aprire un dibattito vero, hanno
finora preferito bollare queste obiezioni come localistiche e interessate, in
quanto provenienti da (migliaia di) persone comandate a vivere i prossimi 20
anni in un cantiere. Pacificamente insorte, per altro, con la solidarietà e il
sostegno trasversale del territorio, dopo anni di circostanziate critiche a un
progetto che giudicano economicamente insensato, ambientalmente funesto,
socialmente insostenibile.
Per questo la rivolta pacifica degli abitanti e dei sindaci della Val Susa
riguarda anche tutti noi, più o meno impattati dal treno in corsa della
privatizzazione e dell'appropriazione del territorio, che oggi investe spazi ma
anche tempi lunghissimi, rischi praticamente imponderabili, e quindi
virtualità, speranze, che appartengono soltanto al nostro futuro. E' bene che
ce ne accorgiamo in fretta, per cominciare a riempire un vuoto di progettualità
e di partecipazione a cui oggi fa riscontro, tra la Val Susa e Bruxelles, solo
l'inconsistenza dei corpi intermedi e il silenzio rancoroso dell'ex Azienda
Italia.
 
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