15 Settembre, 2002
Il discorso d'insediamento del presidente Giorgio Napolitano
*E' con profonda emozione che mi rivolgo a voi in quest'Aula nella quale ho speso tanta parte del mio impegno pubblico, apprendendo dal vivo il senso e il valore delle istituzioni rappresentative, supremo fondamento della democrazia repubblicana.*
Il discorso d'insediamento del presidente Giorgio Napolitano
Signor
Presidente,
onorevoli deputati,
onorevoli senatori,
signori
rappresentanti delle Regioni d'Italia,
è con profonda emozione che mi rivolgo a voi in quest'Aula nella quale ho speso tanta parte del mio impegno pubblico, apprendendo dal vivo il senso e il valore delle istituzioni rappresentative, supremo fondamento della democrazia repubblicana. Sono le assemblee elettive, è innanzitutto il Parlamento,
il luogo del confronto sui problemi del paese, della dialettica delle
idee e delle proposte, della ricerca delle soluzioni più valide e
condivise.
La nuova legislatura si è aperta nel segno di un forte
travaglio, a conclusione di un'aspra competizione elettorale, dalla
quale gli opposti schieramenti politici sono emersi entrambi largamente
rappresentativi del corpo elettorale. L'assunzione delle responsabilità
di governo da parte dello schieramento che è sia pur lievemente
prevalso rappresenta l'espressione naturale del principio maggioritario
che l'Italia ha assunto da quasi un quindicennio come regolatore di una
democrazia dell'alternanza realmente operante.
Ma in tali condizioni
più chiara appare l'esigenza di una seria riflessione sul modo di
intendere e coltivare in un sistema politico bipolare i rapporti tra
maggioranza e opposizione. Non si tratta di tornare indietro rispetto
all'evoluzione che la democrazia italiana ha conosciuto grazie allo
stimolo e al contributo di forze di diverso orientamento.
Ma il fatto
che si sia instaurato un clima di pura contrapposizione e di
incomunicabilità, a scapito della ricerca di possibili terreni di
impegno comune, deve considerarsi segno di un'ancora insufficiente
maturazione nel nostro paese del modello di rapporti politici e
istituzionali già consolidatosi nelle altre democrazie occidentali.
Ebbene, è venuto il tempo della maturità per la democrazia
dell'alternanza anche in Italia. Il reciproco riconoscimento, rispetto
ed ascolto tra gli opposti schieramenti, il confrontarsi con dignità in
Parlamento e nelle altre assemblee elettive, l'individuare i temi di
necessaria e possibile limpida convergenza nell'interesse generale,
possono non già mettere in forse ma, al contrario, rafforzare in modo
decisivo il nuovo corso della vita politica e istituzionale avviatosi
con la riforma del 1993 e le elezioni del 1994. Ciò potrà avvenire solo
ad opera delle forze politiche organizzate e delle loro rappresentanze
nelle istituzioni rappresentative, sorrette dalla consapevolezza e dal
dinamismo della società civile.
A chi vi parla, chiamato a
rappresentare l'unità nazionale, spetta semplicemente trasmettere oggi
un messaggio di fiducia, in risposta al bisogno di serenità e di
equilibrio fattosi così acuto e diffuso tra gli italiani. Sono convinto
che la politica possa recuperare il suo posto fondamentale e
insostituibile nella vita del paese e nella coscienza dei cittadini.
Può riuscirvi quanto più rifugga da esasperazioni e immeschinimenti che
ne indeboliscono fatalmente la forza di attrazione e persuasione, e
quanto più esprima moralità e cultura, arricchendosi di nuove
motivazioni ideali.
Tra esse, quella del costruire basi comuni di
memoria e identità condivisa, come fattore vitale di continuità nel
fisiologico succedersi di diverse alleanze politiche nel governo del
paese. Ma non si può dare memoria e identità condivisa, se non si
ripercorre e si ricompone in spirito di verità la storia della nostra
Repubblica nata sessanta anni fa come culmine della tormentata
esperienza dello Stato unitario e, prima ancora, del processo
risorgimentale.
Ci si può - io credo - ormai ritrovare, superando
vecchie laceranti divisioni, nel riconoscimento del significato e del
decisivo apporto della Resistenza, pur senza ignorare zone d'ombra,
eccessi e aberrazioni. Ci si può ritrovare - senza riaprire le ferite
del passato - nel rispetto di tutte le vittime e nell'omaggio non
rituale alla liberazione dal nazifascismo come riconquista
dell'indipendenza e della dignità della patria italiana. Memoria
condivisa, come premessa di una comune identità nazionale, che abbia il
suo fondamento nei valori della Costituzione. Il richiamo a quei valori
trae forza dalla loro vitalità, che resiste, intatta, ad ogni
controversia. Parlo - ed è giusto farlo anche nel celebrare il
sessantesimo anniversario dell'elezione dell'Assemblea Costituente - di
quei "principi fondamentali" che scolpirono nei primi articoli della
Carta Costituzionale il volto della Repubblica. Principi, valori,
indirizzi che scritti ieri sono aperti a raccogliere oggi nuove realtà
e nuove istanze.
Così, il valore del lavoro, come base della
Repubblica democratica, chiama più che mai al riconoscimento concreto
del diritto al lavoro, ancora lontano dal realizzarsi per tutti, e alla
tutela del lavoro "in tutte le sue forme e applicazioni", e dunque
anche nelle forme ora esposte alla precarietà e alla mancanza di
garanzie. I diritti inviolabili dell'uomo e il principio di
uguaglianza, "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione", si integrano e completano nella Carta europea, aperta ai
nuovi diritti civili e sociali. Essi non possono non riconoscersi a
uomini e donne che entrano a far parte, da immigrati, della nostra
comunità nazionale contribuendo alla sua prosperità. Il valore della
centralità della persona umana viene a misurarsi con le nuove frontiere
della bioetica.
L'unità e indivisibilità della Repubblica si è via
via intrecciata col più ampio riconoscimento dell'autonomia e del ruolo
dei poteri regionali e locali. Si rivela lungimirante come fattore di
ricchezza e apertura della nostra comunità nazionale la tutela delle
minoranze linguistiche. Essenziale appare tuttora il laico disegno dei
rapporti tra Stato e Chiesa, concepiti come, ciascuno nel proprio
ordine, indipendenti e sovrani.
La libertà e il pluralismo delle
confessioni religiose sono state via via sancite, e ancora dovranno
esserlo, attraverso intese promosse dallo Stato. Presentano poi una
pregnanza ed urgenza senza precedenti, tanto lo sviluppo della cultura
e della ricerca scientifica e tecnica, quanto la tutela del paesaggio e
del patrimonio storico e artistico della Nazione. Infine, i valori, tra
loro inscindibili, del ripudio della guerra e della corresponsabilità
internazionale per assicurare la pace e la giustizia nel mondo, si
confrontano con nuove, complesse e dure prove. Ebbene - Signor
Presidente, onorevoli parlamentari, signori delegati regionali - chi
può mettere in dubbio la straordinaria sapienza, e rispondenza al bene
comune, dei principi e valori costituzionali che ho voluto puntualmente
ripercorrere? In questo senso, è giusto parlare di unità costituzionale
come sostrato dell'unità nazionale.
Un risoluto ancoraggio ai
lineamenti essenziali della Costituzione del 1948 non può essere
scambiato per puro conservatorismo. I costituenti si pronunciarono a
tutte lettere per una Costituzione "destinata a durare", per una
Costituzione rigida ma non immutabile, e definirono le procedure e
garanzie per la sua revisione. Nei progetti volti a rivedere la seconda
parte della Costituzione che si sono via via succeduti, non sono stati
mai messi in questione i suoi principi fondamentali.
Ma già
nell'Assemblea Costituente si espresse - nello scegliere il modello
della Repubblica parlamentare - la preoccupazione di "tutelare le
esigenze di stabilità dell'azione di governo e di evitare le
degenerazioni del parlamentarismo". Quella questione rimase aperta e
altre ne sono insorte in anni più recenti, anche sotto il profilo del
ruolo dell'opposizione e del sistema delle garanzie, in rapporto ai
mutamenti intervenuti nella legislazione elettorale.
La legge di
revisione costituzionale approvata dal Parlamento mesi or sono è ora
affidata al giudizio conclusivo del popolo sovrano; si dovrà comunque
verificare poi la possibilità di nuove proposte di riforma capaci di
raccogliere il necessario largo consenso in Parlamento. Esprimo il più
sentito e convinto omaggio al mio predecessore Carlo Azeglio Ciampi per
l'esemplare svolgimento del suo mandato, e in special modo per
l'impulso a una più forte affermazione dell'identità nazionale italiana
e di un rinnovato sentimento patriottico.
Nello stesso tempo, nessun
ripiegamento entro confini e orizzonti anacronistici. Come già si
disse, precorrendo i tempi, all'Assemblea Costituente, l'Europa è per
noi italiani una seconda patria. Lo è diventata sempre di più nei quasi
cinquant'anni che ci separano da quei Trattati di Roma che portano la
firma, per l'Italia, di Antonio Segni e di Gaetano Martino: e il
cammino dell'integrazione e costruzione europea cominciò ancor prima,
ispirato dalle profetiche intuizioni di Benedetto Croce e di Luigi
Einaudi, guidato dall'incontro tra i diversissimi apporti di
personalità come Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli, lo statista
lungimirante e il paladino del movimento federalista, entrambi né
meschinamente realisti né astrattamente utopisti. La crisi che da un
anno ha investito l'Unione europea non può in alcun modo oscurare il
cammino compiuto e far liquidare il grande progetto della costruzione
comunitaria come riflesso di una fase storica, quella del continente
diviso in due blocchi contrapposti, conclusasi nel 1989.
In effetti
non solo si è portata a compimento la più grande impresa di pace del
secolo scorso nel cuore dell'Europa, non solo si è realizzato uno
straordinario e duraturo avanzamento economico e sociale, civile e
culturale nei paesi che si sono via via associati al progetto, ma si
sono poste le radici di un irreversibile moto di avvicinamento e
integrazione tra i popoli, le realtà produttive, i sistemi monetari, le
culture, le società, i cittadini, i giovani delle nazioni europee.
Non potranno arrestare questo processo le difficoltà pur gravi
incontrate dall'iter di ratifica del Trattato costituzionale: l'Italia
- dopo che il suo governo e il suo Parlamento hanno tra i primi
provveduto alla ratifica di quel Trattato - è fortemente interessata e
impegnata a creare le condizioni per l'entrata in vigore di un testo di
autentica rilevanza costituzionale.
Ci inducono a riflettere ma non
potranno fermarci i fenomeni di disincanto e di incertezza indotti
nelle opinioni pubbliche da un serio rallentamento della crescita
dell'economia e del benessere, da un palese affanno nel far fronte sia
alle sfide della competizione globale e del cambiamento di pesi e di
equilibri nella realtà mondiale, sia alle stesse prove
dell'allargamento dell'Unione. Di certo non esiste dinanzi a queste
sfide alcuna alternativa al rilancio della costruzione europea.
L'Italia solo come parte attiva della costruzione di un più forte e
dinamico soggetto europeo, e l'Europa solo attraverso l'unione delle
sue forze e il potenziamento della sua capacità d'azione, potranno
giuocare un ruolo effettivo, autonomo, peculiare nell'affermazione di
un nuovo ordine internazionale di pace e di giustizia. Un ordine di
pace nel quale possa espandersi la democrazia e prevalere la causa dei
diritti umani, e insieme assicurarsi un governo dello sviluppo che
contribuisca a scongiurare tensioni e rischi di guerra, e ponga un
argine all'intollerabile, allarmante aggravarsi delle disuguaglianze a
danno dei paesi più poveri, dei popoli colpiti da ogni flagello come
quelli del continente africano.
La strada maestra per l'Italia resta
dunque quella dell'impegno europeistico, come il Presidente Ciampi ha
in questi anni appassionatamente indicato. E in ciò egli ha incontrato,
io credo, il sentire profondo ormai maturato soprattutto nelle nostre
giovani generazioni, il cui animo italiano fa tutt'uno con l'animo
europeo, e che non vedono avvenire se non nell'Europa. La priorità
dell'impegno europeistico nulla toglie alla profondità dell'adesione
dell'Italia a una visione dei rapporti transatlantici, dei suoi storici
legami con gli Stati Uniti d'America e delle relazioni tra Europa e
Stati Uniti, come cardine di una strategia di alleanze, nella libera
ricerca di approcci comuni ai problemi più controversi e nella pari
dignità.
È in tale contesto che va affrontata senza esitazioni e
ambiguità la minaccia così dura, inquietante e per tanti aspetti nuova,
del terrorismo di matrice fondamentalista islamica, senza mai offrire a
questo insidioso nemico il vantaggio di una nostra qualsiasi
concessione alla logica dello scontro di civiltà, di una nostra
rinuncia al principio e al metodo del dialogo tra storie, culture e
religioni diverse. Non è illusorio pensare che questa cornice degli
orientamenti di politica internazionale dell'Italia possa essere
condivisa dagli opposti schieramenti politici.
Entro questa cornice
spetta al governo e al Parlamento indicare iniziative atte a
contribuire al dialogo e al negoziato tra Israele e l'Autorità
palestinese nel pieno riconoscimento del diritto dello Stato di Israele
a vivere in sicurezza e del diritto del popolo palestinese a darsi uno
Stato indipendente. Ed è ora di mettere al bando l'arma del terrorismo
suicida e di contrastare fermamente ogni rigurgito di antisemitismo. Si
impongono egualmente iniziative volte alla soluzione della ancora
aperta e sanguinosa crisi in Iraq, alla stabilizzazione del processo
democratico in Afghanistan, alla ricerca di uno sbocco positivo per lo
stato di preoccupante tensione con l'Iran.
Più specificamente,
compete al governo e al Parlamento definire le soluzioni per il rientro
dei militari italiani dall'Iraq. Oggi, non può che accomunare
quest'Assemblea l'omaggio riverente e commosso a tutti i nostri caduti,
che hanno rappresentato il prezzo così doloroso di missioni all'estero
assolte con dedizione e onore, qualunque sia stato il grado di consenso
nel deliberarle.
Onorevoli parlamentari, signori delegati regionali,
se rivolgo ora lo sguardo dal cruciale orizzonte europeo allo stato del
nostro paese e al quadro delle nostre dirette responsabilità, posso
solo consentirmi brevi considerazioni, senza affacciarmi in un campo
che è, più di ogni altro, proprio del confronto tra diverse
impostazioni e posizioni politiche. Posso, anche qui, esprimere solo un
messaggio di fiducia, senza indulgere a diagnosi pessimiste
sull'inevitabile declino del nostro sistema economico e finanziario, ma
nemmeno sottovalutando la gravità delle debolezze da superare e dei
nodi da sciogliere. Il nodo - innanzitutto - del debito pubblico. E
insieme, le debolezze del sistema produttivo.
Le imprese italiane
hanno mostrato di saper raccogliere la sfida che viene dall'operare in
un mercato aperto e in libera concorrenza e di volersi impegnare in un
serio sforzo per la crescita, l'innovazione e l'internazionalizzazione.
Esse chiedono allo Stato non di introdurre o mantenere indebite
protezioni, ma di favorire la competitività del sistema e gli
investimenti privati e pubblici, nonché di riprendere quel processo di
sviluppo infrastrutturale che tanta parte ebbe nella crescita del
secondo dopoguerra. Ma all'esigenza di rimuovere limiti e vincoli
ingiustificati, si accompagna
quella di assicurare regole e controlli
efficaci ed efficienti.
Il nostro paese non può rinunciare alle sue
grandi tradizioni in campo industriale e agricolo, che ancora si
esprimono in rilevanti prove di progresso anche tecnologico: tali da
dar luogo di recente a casi di straordinario recupero in gravi
situazioni di crisi e da animare nuove, vitali realtà produttive. Nello
stesso tempo, appare indispensabile rafforzare e modernizzare il
settore dei servizi, e valorizzare con coraggio e lungimiranza il
patrimonio naturale e paesaggistico, culturale e artistico senza eguali
di cui l'Italia dispone.
Di qui passa anche qualsiasi politica per il
Mezzogiorno, le cui regioni diventano un asse obbligato del rilancio
complessivo dello sviluppo nazionale anche per la loro valenza
strategica nella nuova grande prospettiva dei flussi di investimenti e
di scambi tra l'area euromediterranea e l'Asia. Né occorre che io
aggiunga altro a questo proposito, signori parlamentari e delegati
regionali, per la profondità delle radici e delle esperienze politiche
e di vita che mi legano al Mezzogiorno: non occorrono altre parole per
affidarvi un auspicio così intimamente sentito.
Sono più in generale
le mie complessive esperienze politiche e di vita che mi inducono ad
associare con forza il problema del rilancio della nostra economia a
quello della giustizia sociale, della lotta contro le accresciute
disuguaglianze e le nuove emarginazioni e povertà, dell'impegno più
conseguente per elevare l'occupazione e il livello di attività della
popolazione, il problema non eludibile del miglioramento delle
condizioni dei lavoratori e dei pensionati e di una rinnovata garanzia
della dignità e della sicurezza del lavoro. C'è bisogno di più
giustizia e coesione sociale.
E se un ruolo decisivo spetta in questo
senso ai sindacati, posti peraltro di fronte a un mercato del lavoro in
profondo cambiamento che richiede forti aperture all'innovazione, è
interesse e responsabilità anche delle forze imprenditoriali
comprendere e assecondare politiche di coesione e di solidarietà.
Quando ci domandiamo - dinanzi a problemi così complessi e a vincoli
così pesanti - se possiamo farcela, dobbiamo guardare alle risorse di
cui dispone l'Italia. Sono le risorse delle istituzioni regionali e
locali che esercitano le loro autonomie in responsabile e leale
collaborazione con lo Stato e contando sull'impegno unitario della
pubblica amministrazione al servizio esclusivo della nazione.
Sono,
insieme, le risorse di un ricco tessuto civile e culturale, da cui si
sprigiona un potenziale prezioso di sussidiarietà, per l'apporto di cui
si è mostrato e si mostra capace il mondo delle comunità intermedie,
dell'associazionismo laico e religioso, del volontariato e degli enti
non profit. Sono le risorse della partecipazione di base, che le
istituzioni locali tanto possono stimolare e canalizzare. E sono le
risorse delle famiglie: come quelle che abbiamo visto in queste
settimane stringersi attorno alle spoglie dei caduti di Nassirya e di
Kabul.
Famiglie laboriose e modeste che educano i loro figli al senso
del dovere verso la patria e verso la società. Famiglie che
rappresentano la più grande ricchezza dell'Italia. E ancora, abbiamo da
contare - mi si lasci ricordare la splendida figura di Nilde Iotti -
sulle formidabili risorse delle energie femminili non mobilitate e non
valorizzate né nel lavoro né nella vita pubblica: pregiudizi e
chiusure, con l
'enorme spreco che ne consegue, ormai non più
tollerabili.
Contiamo infine sulle risorse che possono essere
attribuite ai giovani, uomini e donne in formazione, da un sistema di
istruzione che fino al più alto livello offra a tutti uguali
opportunità di sviluppo della persona, e premi il merito e la dedizione
allo studio e al lavoro. Da tutto ciò le ragioni di una non retorica
fiducia nel futuro del nostro paese. Il nostro futuro tuttavia è legato
anche a problemi come quelli che ormai si collocano nel grande scenario
dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia.
Resta assai
dura la sfida della lotta contro la criminalità, una presenza
aggressiva che ancora tanto pesa sulle possibilità di sviluppo del
Mezzogiorno, così come contro le nuove minacce del terrorismo
internazionale e interno. Ci dà però fiducia il fatto che lo Stato ha
mostrato anche negli ultimi anni di poter contare sull'azione efficace
e congiunta della magistratura e delle forze dell'ordine, alle quali
tutte - avendo io stesso, da responsabilità di governo, imparato a
meglio conoscerne e apprezzarne l'impegno e lo slancio - desidero
indirizzare il più vivo nostro riconoscimento.
Certo, i problemi
della legalità e della moralità collettiva si presentano ancora aperti
in modi inquietanti e anche in ambiti che avremmo sperato ne restassero
immuni. Mentre sono purtroppo rimaste critiche le condizioni
dell'amministrazione della giustizia, soprattutto sotto il profilo
della durata del processo.
E troppe tensioni circondano ancora i
rapporti tra politica e giustizia, turbando lo svolgimento di una così
alta funzione costituzionale e ferendo la dignità di coloro che sono
chiamati ad assolverla. Anche in questo delicatissimo campo, sono
esigenze di serenità e di equilibrio, negli stessi necessari processi
di riforma, quelle che si avvertono e chiedono di essere soddisfatte.
Seri e complessi sono dunque gli impegni cui debbono far fronte la
politica e le istituzioni.
L'Italia vive un momento difficile: ma
drammatico, non solo difficile, fu il periodo che l'Italia visse negli
anni successivi alla fine della guerra e alla Liberazione, dovendo
accollarsi un'eredità di terribili distruzioni materiali e morali e
superare anche le scosse di un conflitto elettorale e ideale come
quello che divise in due il paese nella scelta tra monarchia e
repubblica. Prevalse allora - la prova più alta la diede l'Assemblea
Costituente - ed ebbe ragione di tutte le difficoltà il senso della
missione nazionale comune : che fu più forte di pur legittimi contrasti
ideologici e politici.
Così, oggi, il mio appello all'unità non tende
a edulcorare una realtà di aspre divergenze soprattutto ai vertici
della politica nazionale, ma proprio a sollecitare tra gli italiani un
nuovo senso della missione da adempiere per dare slancio e coesione
alla nostra società, per assicurare al nostro paese il ruolo che gli
spetta in Europa e nel mondo. Ed è un appello che può forse trovare
maggiore rispondenza in quell'Italia profonda, l'Italia delle cento
province, l'Italia della fatica quotidiana e della volontà di
progredire, che il mio predecessore ha voluto esplorare traendone
l'immagine di una concordia di intenti e di opere più salda di quanto
comunemente si ritenga. Considero mio dovere impegnarmi per favorire
più pacati confronti tra le forze politiche e più ampie, costruttive
convergenze nel paese ; ma è un impegno che svolgerò con la necessaria
sobrietà e nel rigoroso rispetto dei limiti che segnano il ruolo e i
poteri del Presidente della Repubblica nella Costituzione vigente.
Un
ruolo di garanzia dei valori e degli equilibri costituzionali; un ruolo
di moderazione e persuasione morale, che ha per presupposto il senso e
il dovere dell'imparzialità nell'esercizio di tutte le funzioni
attribuite al Presidente. Come rappresentante dell'unità nazionale,
raccolgo il riferimento ben presente nel messaggio augurale
indirizzatomi dal Pontefice Benedetto XVI - al quale rivolgo il mio
deferente ringraziamento e saluto: raccolgo il riferimento ai valori
umani e cristiani che sono patrimonio del popolo italiano, ben sapendo
quale sia stato il profondo rapporto storico tra la cristianità e il
farsi dell'Europa.
E ne traggo la convinzione che debba laicamente
riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso, e
svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra Stato e
Chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune. Nel
momento in cui inizia il suo mandato, il Presidente della Repubblica
rende omaggio alla Corte Costituzionale, come organo di alta garanzia
che da cinquant'anni veglia sul pieno rispetto della nostra legge
fondamentale; al Consiglio Superiore della Magistratura, espressione e
presidio dell'autonomia e indipendenza di quell'ordine da ogni altro
potere; a tutte le amministrazioni pubbliche, a tutti gli organi e i
corpi dello Stato, e in particolare alle Forze Armate italiane che si
distinguono per sempre più alti livelli di moderna professionalità ed
efficienza, così come alle diverse e distinte forze preposte con
convergente impegno alla tutela del bene essenziale della sicurezza dei
cittadini. Un segno di particolare attenzione va al mondo della scuola
e dell'Università e a quanti sono chiamati a tenerne alta la funzione
educativa.
Al mondo dell'informazione va indirizzato un convinto
impegno a garantirne la libertà e il pluralismo come condizione
imprescindibile di democrazia. Rivolgo un grato e rispettoso pensiero a
tutti i miei predecessori, personalità rappresentative di diverse
correnti ideali e tradizioni popolari, ritrovatesi nel primato dei
valori essenziali: libertà, giustizia, solidarietà.
Uno speciale
ricordo per il primo Presidente della Repubblica Enrico De Nicola, che
fu simbolo di pacificazione in un contrastato passaggio storico e al
quale fui legato da rapporti di antica amicizia famigliare e dal comune
impegno, in diverse epoche, a rappresentare in Parlamento la nostra
grande, generosa e travagliata città di Napoli. Signor Presidente,
onorevoli parlamentari, signori delegati, mi inchino dinanzi a questa
Assemblea nella quale si riconoscono tutti gli italiani, per la prima
volta anche quelli che operano all'estero, le cui comunità hanno
finalmente voce per far sentire le loro esigenze ed attese.
Non sarò
in alcun momento il Presidente solo della maggioranza che mi ha eletto;
avrò attenzione e rispetto per tutti voi, per tutte le posizioni ideali
e politiche che esprimete; dedicherò senza risparmio le mie energie
all'interesse generale per poter contare sulla fiducia dei
rappresentanti del popolo e dei cittadini italiani senza distinzione di
parte.
Viva il Parlamento!
Viva la Repubblica!
Viva l'Italia!
(15
maggio 2006)
 
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