15 Settembre, 2002
Dossier Statistico Immigrazione
Tra quelle a massimo potenziale d'integrazione anche la provincia di Cremona
Dagli anni Duemila le regioni settentrionali, con particolare rilevanza
dell'area nord orientale, risultano essere quelle che in Italia offrono le
condizioni più favorevoli per l'integrazione socio-lavorativa degli immigrati.
Mentre sembra accentuarsi la differenza tra le aree centro-settentrionali e
quelle meridionali-insulari". E' questa una delle principali evidenze emerse dal
V Rapporto CNEL sugli "Indici di integrazione degli immigrati in Italia",
presentato il 27 marzo presso la sede di via Lubin, e realizzato con il supporto
dei redattori del "Dossier Statistico Immigrazione" Caritas/Migrantes, per
misurare il livello di integrazione degli immigrati nelle Regioni e nelle
Province italiane. Un argomento di forte attualità se si considera che l'Italia
è, sullo scenario europeo, uno tra i più grandi Paesi di immigrazione, dove il
fenomeno cresce ad un ritmo che, in proporzione, è addirittura superiore a
quello degli Stati Uniti. "Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia guidano la
graduatoria dell'indice complessivo di integrazione, presentandosi pressoché
allineate in cima alla classifica.
Quasi tutto il Meridione, con Campania e Sicilia in coda, si colloca invece
nelle parti basse della graduatoria, fatta eccezione per l'Abruzzo che a sua
volta lambisce addirittura la fascia alta". Una lettura, quella dei dati sul
Mezzogiorno, che è senz'altro penalizzata dalle problematiche condizioni
strutturali di partenza che caratterizzano tante di queste zone, tanto da
rappresentare da decenni una vera e propria "questione" nazionale. Con
riferimento alle Province, secondo il Rapporto, "nel corso di un anno, quelle a
massimo potenziale d'integrazione sono più che raddoppiate, passando da 11 a 25.
Sono incluse in questa fascia, oltre le province autonome del Trentino Alto
Adige, ben 7 delle 11 lombarde (Brescia, che è seconda, e poi Lecco, Mantova,
Bergamo, Cremona, Milano e Lodi), 2 delle 7 venete (Vicenza, che è quarta,
quindi Treviso), 5 delle 9 emiliano-romagnole (Reggio Emilia, che è quinta, e
dopo Parma, Modena, Forlì-Cesena e Piacenza), 3 delle 4 del Friuli Venezia
Giulia (Trieste, che è decima, e quindi Pordenone e Gorizia) e 3 delle
piemontesi (Biella, 18°, e poi Vercelli e Cuneo). Tra le 17 Province a basso
potenziale troviamo un terzetto compatto costituito nell'ordine da Bari,
Cagliari e Napoli, rispettivamente dall'81° all'83° posto, mentre tra le 18 a
potenziale d'integrazione minimo l'unico capoluogo di regione è Palermo (90°).
Ma in generale, secondo il CNEL, sembra possibile affermare che è nel "piccolo"
(cioè in contesti raccolti anche dal punto di vista amministrativo) che si
giocano in gran parte i delicati processi di integrazione sociale. "Promuovere
la conoscenza delle potenzialità di integrazione nelle diverse realtà del Paese,
come tenta questo Rapporto, è una condizione per confrontare e promuovere
politiche efficaci locali, anche come ricadute di quelle nazionali." E' questo
il commento del Presidente Vicario dell'ONC Giorgio Alessandrini, secondo il
quale ora "va colmato il grande ritardo delle Regioni nel dotarsi di leggi di
adeguamento, come hanno provveduto Emilia Romagna, Friuli, Liguria e Abruzzo".
 
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