15 Settembre, 2002
Pd, Cofferati: bene Ds e Margherita, ora si allarghi il progetto
Intervista di Simone Collini al sindaco di Bologna, da *L'Unità*
«Non c’è una fusione a freddo tra Ds e Margherita», dice il sindaco di Bologna Sergio Cofferati parlando del Partito democratico, «c’è qualcuno che si è preso la responsabilità di avviare un processo che non può essere rinviato».
E lo scarso coinvolgimento di cui pure qualcuno parla mentre sono in corso i congressi di Ds e Margherita, sindaco Cofferati?
«Ho assistito a congressi molto partecipati, con un incremento di adesioni e con presenze anche esterne assai rilevanti. Uno scarso coinvolgimento mi sembra negato dai fatti».
Dalla quantità alla qualità, si parla anche di scarso entusiasmo.
«Trovo un po’ equivoco il ragionamento sull’entusiasmo. Io ho visto in questi congressi molta passione e una discussione tutt’altro che banale e superficiale. Quando è in discussione il proprio futuro e anche la possibilità di separazioni, visto che le stesse mozioni le prefiguravano, sarebbe un po’ singolare trovare dell’entusiasmo. Passione sì, tanta, l’entusiasmo è un’altra cosa. E poi l’importante è che il primo obiettivo, che era quello di dare l’avvio, di iniziare un percorso con il massimo del coinvolgimento possibile dei promotori sia stato realizzato».
Promotori?
«Un progetto come questo qualcuno lo deve far partire. Penso fin dall’inizio che il Pd deve essere l’insieme di forze diverse che si richiamano alle culture riformiste, che debba essere il più largo possibile, e spero sia in grado di coinvolgere quante più formazioni politiche e associazioni. Però non mi meraviglio del fatto che siano sostanzialmente Ds e Margherita a farlo partire».
Altri si meravigliano, ritenendo necessario un fronte più ampio su cui lavorare.
«Se qualcuno non comincia, se si va alla ricerca fin dall’inizio del fronte più ampio possibile, il rischio è di non iniziare mai o di farlo fuori tempo massimo. Il tempo in politica non è mai irrilevante. E il tempo per avviare il processo è questo».
Per quali ragioni?
«Perché da quattro elezioni - europee, regionali, amministrative e politiche - gli elettori premiano ovunque ciò che ci unisce, e la pazienza degli elettori può non essere infinita. Inoltre adesso si può mettere a profitto anche il fatto che stiamo governando, e che dunque nonostante le difficoltà di tutti i giorni, che non mi sfuggono, il processo si avvia in una fase positiva».
Dice che il Pd deve essere il più largo possibile, eppure comincia con una separazione, quella della sinistra Ds.
«Mi dispiace e credo che sia un errore la decisione di non partecipare a questo processo. È legittima, ma non vedo prospettive politiche positive per chi l’ha assunta».
Dicono che la prospettiva alternativa c’è e consiste nel riunificare le forze di sinistra oggi divise.
«Le forze di sinistra oggi divise hanno una discriminante, si chiama riformismo. Sul piano internazionale la riunificazione mi pare impossibile perché non credo ci sarà mai, visto che si insiste sulla permanenza nel Pse, la possibilità di vedere Rifondazione comunista aderire al Pse, pena la dissoluzione del Prc. Sul terreno domestico sarà ancora peggio, perché tra breve si comincerà a discutere di temi come la riforma del welfare, dove le differenze tra la componente radicale e quella riformista sono molto marcate. Dubito che in materia di pensioni l’opinione di Mussi possa essere vicina a quella di Boselli. Il discrimine riformista alla fine diventerà la vera differenza. E non credo che fuori dal Pd possa esserci un altro spazio riformista».
Dice che non c’è una cultura riformista nella sinistra radicale, anche se oggi è al governo?
«Sì, perché questa disponibilità, questa recente propensione di Rifondazione comunista a governare, non può essere scambiata con un’adesione a una cultura riformista. È un’altra cosa. Utilissima, preziosa, ma un’altra cosa. Non è un caso che nel ‘95, quando la disponibilità a governare da parte del Prc non c’era, non ci fu un programma comune ma semplicemente un patto elettorale, e non è un caso che quell’esperienza finì con l’affossamento del primo governo dell’Ulivo».
Si parla di riformismo, come al congresso di Pesaro, solo che allora lei, insieme a Berlinguer, Mussi, Salvi, era su posizioni diverse rispetto a Fassino.
«Sostenni che serve una pratica riformista forte e continuo a vederla così. Inoltre penso che rispetto a quel quadro politico e alla stessa linea dei Ds siano cambiate molte cose».
Dopo i congressi si apre la fase costituente: come dovrà essere, secondo lei?
«In primo luogo, oltre alla disponibilità, dovrà esserci la ricerca determinata del coinvolgimento di altri soggetti: associazioni, movimenti e altre forze politiche».
Quali, visto che lo Sdi, per citare una forza che pure ha partecipato a una parte del percorso, si è tirato fuori?
«Penso che la cultura riformista dello Sdi prima o dopo dovrà trovare un punto di collocazione, e questo credo valga anche per altre forze che inizialmente intendono non partecipare al processo».
Su che fonda questa convinzione?
«Sul fatto che se comincia un processo, e se questo processo ha visibilmente le porte aperte a tutti, la massa critica che si crea può avere una forza attrattiva anche per chi inizialmente è fuori, qualunque sia la ragione per la quale sta fuori. Inoltre, se le regole della costituente sono basate appunto sull’apertura senza barriere per nessuno, sulla pratica della costruzione, insieme, di gruppi dirigenti e di un programma fondamentale che abbia insieme alle politiche anche i valori di riferimento, il processo può acquistare la forza e creare anche l’entusiasmo necessari».
Prodi, nella lettera pubblicata ieri da l’Unità, ha insistito sul principio “una testa, un voto”.
«Dovrà essere la regola. È una regola di buona politica e sono convinto che potrà determinare un fascino aggiuntivo a quello che il processo ha oggi».
Altre regole, secondo lei?
«Una costruzione senza posizioni di rendita e senza soluzioni precostituite dei gruppi dirigenti e del programma fondamentale».
C’è già un manifesto per il Pd.
«Con tutto il rispetto per gli estensori, considero il manifesto un utile punto di partenza, ma insufficiente rispetto all’ambizione del progetto. Va irrobustito notevolmente».
Fassino dice che il Pd è la forma moderna della sinistra del nostro secolo, Mussi che così si perde l’identità di sinistra: lei come la vede?
«Intanto, credo che non si debba avere timore di perdere la propria identità, perché questo è segno di una debolezza, significa non avere fiducia nelle proprie idee. Dovremo cercare insieme una nuova identità, sapendo che ognuno si porta dietro il meglio della sua storia e della sua esperienza. E poi, questa questione della perdita di identità, e dunque della scomparsa del proprio profilo di sinistra, è stata agitata all’epoca della svolta della Bolognina. I fatti hanno dimostrato che non era così».
Oggi si tratta di un’operazione diversa, non crede?
«Certamente, è evidente che oggi affrontiamo un percorso più complesso. Quello riguardava la nostra esclusiva collocazione, questo riguarda il coinvolgimento anche di altri. Però c’è una storia del riformismo cattolico non meno degna e interessante di quella del riformismo laico e socialista. Era di sinistra quella storia? Non so cosa intendano questi miei compagni oggi con l’espressione “di sinistra”. Era senza dubbio una storia di progresso, dove molti degli elementi e valori che sono fondamentali per noi non solo erano ben radicati, ma venivano declinati poi allo stesso modo».
Spesso si parla di Bologna come laboratorio del centrosinistra, e oggi le acque da voi sono piuttosto agitate...
«A parte che diffido da sempre della parola laboratorio, quello che sta succedendo non c’entra con il Pd, è un caso specifico e circoscritto, che devono risolvere i bolognesi, di cattiva politica. Il Pd non deve nascere con questi vizi».
Che intende per questi vizi?
«Io credo, e non da adesso, che le funzioni debbano essere ben distinte tra la rappresentanza politica e la rappresentanza istituzionale. E che che tutte le volte che le due cose si sovrappongono e i partiti cercano di fagocitare le istituzioni, l’unica cosa certa che si provoca è la disaffezione dei cittadini alla politica. A Bologna è capitato in anni passati e abbiamo visto l’esplosione del processo nelle elezioni del ‘99. Penso non debba ricapitare mai più. Per quanto mi riguarda, provo ad impedirlo».
 
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