15 Settembre, 2002
Dubbi sulla scuola di Massimo Negri
In un’intervista a Donna Moderna del 29 ottobre 2008, il ministro dell’Istruzione.....
Dubbi sulla scuola
Cari amici di Welfare Cremona,
in un’intervista a Donna Moderna del 29 ottobre
2008, il ministro dell’Istruzione
Mariastella Gelmini ha dichiarato che se
un giorno avrà dei figli li iscriverà a una
scuola
pubblica di qualità. Mi pare una valida premessa
per chi si pone compiti di riforma.
In tal senso, per quanto mi compete, guardo
con simpatia ad alcuni aspetti del suo disegno.
La riadozione del grembiule alle elementari,
per esempio, può favorire il senso di uguaglianza
e di appartenenza alla comunità scolastica.
Oppure, il ritorno degli esami di riparazione
alle superiori, l’introduzione della materia
Educazione alla cittadinanza e, infine, il
peso del voto in condotta
nello scrutinio finale, penso siano misure
coerenti col principio della serietà degli
studi e della responsabilizzazione dei suoi
vari protagonisti.
Ciò detto, affermo la mia contrarietà a ogni
ipotesi di classi ponte per i bambini extracomunitari.
La scuola credo debba migliorare l’apprendimento
della lingua italiana con insegnamenti ad
hoc pomeridiani o serali e senza dimenticare
che una parte della soluzione del problema
sta nelle relazioni che gli scolari hanno
quando condividono, sin dai primi stadi,
le varie attività.
Anche sul piano della educazione alla tolleranza
e alla conoscenza reciproca ritengo sia preferibile
evitare criteri di omogeneità etnica lontani
da una società multiculturale in pur non
semplice evoluzione. Mi suscita perplessità
pure la prospettiva di potenziare l’inglese
alle scuole medie, passando dalle tre alle
cinque ore settimanali ma rendendo facoltativa
la seconda lingua comunitaria (francese,
spagnolo o tedesco). Forse diventiamo meglio
cittadini del mondo rispettosi delle minoranze
se non ci priviamo così presto di una diffusa
infarinatura di almeno due lingue straniere.
Salendo di grado, metto un punto interrogativo
all’idea che i docenti universitari siano
valutati in base alla loro produzione scientifica
perché, a parte lodevoli eccezioni, vi sono
alcuni più votati alla ricerca e altri più
inclini alla didattica. Da ex studente tifoso
delle lezioni alla lavagna mi dispiace se
il gessetto e il cancellino perdono valore
rispetto al numero di pubblicazioni di chi
insegna.
Ultima, ma non minore, la politica dei tagli
(degli orari scolastici e del personale docente),
forse risponde più a un’esigenza di bilancio
che non al bene di un’istituzione come la
scuola in cui, da sempre, si è investito
poco. Causa non secondaria di un certo ritardo
nello sviluppo economico e civile del nostro
Paese rispetto ai suoi partners europei.
Comprendo che il livello abnorme del
debito pubblico (stabile poco sopra il Pil)
richiede l’uso del bisturi un po’ in tutti
i campi di spesa ma inviterei, nel caso in
esame, a un cambio di prospettiva. Salvo
il rigore, più risorse alla scuola di oggi
significano più reddito e più entrate domani.
Il saldo potrebbe rivelarsi positivo.
Ma, al di là di queste osservazioni, vorrei
soffermarmi, in forma più estesa, su un altro
aspetto che mi rende scettico. Nel dibattito
contemporaneo noto una certa enfasi sulla
meritocrazia. Domanda: non bastano i voti?
Non mi dilungo e, fuor di perifrasi, espressa
la più sincera ammirazione per le scuole
modello Università Bocconi, penso sia da
evitare il trasferimento dei loro standard
alla scuola pubblica. Sono ambiti diversi,
con finalità distinte. La scuola privata
è esclusiva. La scuola pubblica è inclusiva.
Entrambe possono contribuire alla crescita
culturale del Paese ma una scuola pubblica
non può venir meno al suo compito principale
di istruzione su larga scala e di promozione
sociale per tutti coloro che, indipendentemente
dai ceti di provenienza o di altri handicap
di partenza, dimostrano capacità e impegno,
a giudizio insindacabile dei loro professori.
Senza ricorrere a teorie pedagogiche che
non conosco, la preoccupazione si basa sulla
mia esperienza. Essendo, per limiti personali,
un po’ lento, fatico a ingranare e dunque,
per restare
all’esempio, non ce l’avrei fatta a studiare
Economia alla Bocconi. Per fortuna, invece,
l’ho potuto fare a Scienze Politiche a Bologna,
grazie al fatto che, dopo aver superato,
piano piano, alcuni scogli iniziali, ho incontrato
dei docenti che mi hanno appassionato alla
materia permettendomi di completare gli studi.
La menzione del cuore va al Professor Giorgio
Basevi, ordinario di Economia Internazionale,
con cui ho svolto la tesi. Alcuni amici,
dopo la laurea, hanno conseguito una specializzazione
in prestigiose università estere o avviato
brillanti carriere professionali, a conferma
che le basi ricevute erano di buona qualità.
Forse, per i conti pubblici, da fuoricorso,
sono stato un costo che non so ancora se
riuscirò mai a ripagare ma, guardandomi dentro,
sono ugualmente contento del percorso formativo
che ho compiuto. Ed, anzi, a bilancio ormai
più che ventennale,
lo considero uno dei tratti fondamentali
della mia vita.
Trovo conforto nel ricordo di una scena d’apertura
del film “Être et avoir” del regista
Nicolas Philibert (Francia 2002). Di prima
mattina, c’è un’aula vuota con due tartarughe
che si muovono dal fondo verso il suo centro.
La trama racconta la vita quotidiana di una
classe unica in un paese di campagna dove
c’è un maestro che fa del rispetto dei tempi
di apprendimento dei bambini uno dei suoi
metodi principali. La sua missione è di aiutarli
a tirar fuori, da ognuno di loro, qualcosa
che resterà.
Come atto di riconoscenza verso tutti gli
insegnanti che sanno aspettare e che sono
capaci di infondere nei loro allievi l’interesse
alla conoscenza, concludo la lettera con
un brano di
Maria Zambrano, dal suo libro Per abitare
l’ esilio (ed. Le Lettere): “Non avere maestro
è non avere a chi domandare e, in un senso
ancora più profondo, è non avere nessuno
davanti a cui porsi delle domande. Vuol dire
rimanere rinchiusi in un labirinto primario
che è la mente di ogni uomo in origine; rimanere
rinchiusi come il Minotauro, traboccanti
di impeto che non può avere sfogo.
Ogni vita è in principio prigioniera, aggrovigliata
nel proprio impeto. E il maestro deve essere
colui che apre la possibilità, la realtà
di un altro modo di vita, quella vera. Una
conversione è la definizione più giusta dell’azione
del maestro. La resistenza iniziale verso
colui che irrompe nelle aule si trasforma
in attenzione. La domanda iniziale comincia
a spiegarsi. L’ignoranza svegliata è già
intelligenza”.
Cordiali saluti
Massimo Negri – Casalmaggiore (CR)
 
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