15 Settembre, 2002
Il Corriere intervista Sergio Cofferati
*è vero, sono uno del passato. Se il partito me lo chiede dico sì, anche a costo di incrinare la mia credibilità*
Corriere della Sera, 11 aprile 2009
L'INTERVISTA
Cofferati: è vero, sono uno del passato
«Se il partito me lo chiede dico sì, anche a costo di incrinare la mia credibilità»
MILANO — «Mi scusi, ma il bambino non si è ancora addormentato». I primi due tentativi di parlare con Sergio Cofferati falliscono così. Al terzo, il più discusso tra i capilista del Pd alle europee ha compiuto la missione. E ammette: «Sono un uomo del passato». Il riferimento è all'analisi di Paolo Franchi sul Corriere di ieri, con l'invito al sindaco uscente di Bologna a non candidarsi. Ma le critiche alla sua corsa europea nascono proprio dal Pd.
Cofferati, se lo aspettava un simile fuoco di sbarramento?
«Ovviamente sì. Quel che non mi aspettavo, devo dire, sono state certe volgarità. Mi attendevo giudizi di merito. Ma quando tutto viene ricondotto alla sfera personale... Voglio sia chiaro: per me questa candidatura è un sacrificio».
Aveva detto: «Se mi candidassi, datemi pure del cialtrone».
«Quando ho detto che non mi sarei ricandidato, l'ho fatto per le ragioni note: a giugno verrò ad abitare a Genova definitivamente. Avevo immaginato di poter servire: o da consigliere regionale per dare una mano a Claudio Burlando. Oppure, al Carlo Felice per dare una mano a Marta Vincenzi. Il segretario regionale mi aveva chiesto se ero disponibile per l'Europa, e avevo risposto no».
Poi che cosa è successo?
«Quel che sanno tutti: le dimissioni di Veltroni e il precipitare della crisi del mio partito. Con quelle dimissioni, eravamo sul serio arrivati sull'orlo del baratro. Magari non l'hanno capito proprio tutti... A quel punto, Franceschini mi ha chiesto con insistenza e affetto la disponibilità per l'Europa. E qui è scattato il mio essere antico».
In che senso?
«Io ho un'idea della politica che appartiene al passato. Se il partito in un momento di difficoltà mi chiede di dare una mano, non posso e non voglio sottrarmi. Anche a costo di un'apparente incrinatura della mia credibilità. Se rispondessi di no, annegherei alla radice l'idea antica di partito di militanti».
Oggi Cofferati chi rappresenta?
«Ha visto quelli che erano in piazza alla manifestazione della scorsa settimana? Milioni di persone che hanno bisogno di avere voce. Che io sia parlamentare europeo, consigliere regionale oppure il capo dei pensionati di Sampierdarena, nel mio partito voglio tornare ad occuparmi di chi lavora».
E la famiglia? Tra Genova e Bruxelles ci sono 1.037 chilometri.
«Fin dall'inizio non mi è sfuggito che la richiesta di Dario metteva in sofferenza una delle ragioni che avevo indicato per la non ricandidatura. Anche se c'è una differenza radicale tra fare il sindaco e il parlamentare europeo: l'impegno di tempo è molto più limitato, non incompatibile con la vita famigliare».
Franchi ricorda la grande manifestazione Cgil del 1992, e le sue scelte successive. Non teme che la sua mancata «discesa in campo» di allora possa pesare sulla candidatura di oggi?
«Io allora non avevo legittimazione. Per 'scendere in campo' ci vuole il voto dei cittadini, non semplicemente il riconoscimento di un ruolo per quanto importante. Mai ho preteso di svolgere funzioni senza esserne legittimato. Poi, da uomo del passato, quando mi è stato chiesto di dare una mano a Bologna, quello ho fatto. Posso aver deluso qualcuno, ma l'unica strada è una trasparente legittimazione ».
C'è chi ha addirittura letto le critiche a Flavio Delbono, il suo possibile successore a Bologna, come pressioni per arrivare alla candidatura.
«Non ho attaccato Delbono. Quando mi è sembrato ci fossero dei ritardi, l'ho detto. Quanto al sostegno della lista civica, basta leggere sul loro sito: sono una formazione contraria al Pd. Ma la mia stima nei confronti di Delbono è immutata».
Suvvia, Cofferati. Non poteva ignorare come certe osservazioni sarebbero state lette.
«È vero. Mi pareva necessario uno stimolo».
La collocazione del Pd a Bruxelles continua ad essere problematica.
«Le culture riformiste in Europa non sono riconducibili a una sola famiglia politica. E la loro riunificazione, in Italia è più accentuata che in Europa. Credo che anche gli altri partiti europei debbano prenderne atto: il riformismo ha componenti più articolate di quella prevalente del Pse».
Concludiamo. Che spiegazioni si è dato degli attacchi di alcuni suoi influenti compagni di partito?
«Credo che serpeggi il timore che io torni ad occuparmi di tutto quello che abbiamo detto. Un timore assolutamente fondato: me ne occuperò. Da Bruxelles o da Sampierdarena».
Marco Cremonesi
 
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