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15 Settembre, 2002
Europa ed integrazione - Diritti civili - Ambiente ed energia - Libertà d’informazione -Impegni
Intervista con Ivan Scalfarotto, manager quarantenne con forti esperienze internazionali, in lista nel PD per le elezioni europee

Europa ed integrazione europea

1. Secondo lei, l’obiettivo dell’Europa deve essere la creazione di uno Stato Federale Europeo? Lei è favorevole a questa prospettiva in tempi brevi?
Assolutamente sì. Credo, spero e farò di tutto – se eletto – perché la progressiva cessione di poteri e sovranità da parte dei singoli stati verso l’Unione Europea non conosca soste. Sarà dura arrivare in tempi brevi alla creazione di uno stato federale europeo, perché in tutto il continente permangono posizioni politiche del tutto bipartisan che diffidano del processo di integrazione e preferiscono accusare populisticamente l’Ue di tutti i mali del mondo, a scopo meramente elettorale. Sono ottimista, però. Incontreremo ancora ostacoli e problemi, avremo fasi in cui si andrà più velocemente e altre in cui arrancheremo, ma non ho alcun dubbio: la creazione di uno Stato Federale Europeo è il nostro orizzonte.

2.Quali sono i tre principali settori dove, secondo lei, i poteri del Parlamento Europeo dovrebbero essere rafforzati ed estesi?
Ambiente, politiche dell’immigrazione, politica estera. Tre questioni fondamentali per il nostro tempo, riguardo le quali non ha più senso ragionare secondo confini e schemi novecenteschi, lasciando l’iniziativa alle disarmoniche individualità disarmoniche dei singoli stati. A che serve che la Francia faccia un grande piano per la tutela dell’ambiente se poi in Austria o in Italia si fa poco e niente? La sfida contro l’inquinamento e per uno sviluppo sostenibile non conosce confini e può essere affrontata con incisività ed efficacia solo sul piano globale. Lo stesso vale per le politiche dell’immigrazione, per le quali è necessario darsi una strategia e una normativa comune. Quello della politica estera, poi, è un fronte su cui è cruciale un maggiore coordinamento dei paesi europei, a meno che non ci si voglia rassegnare alla progressiva emarginazione politica, come sta già avvenendo e come non possiamo permetterci. Rendere più agile il processo legislativo e i meccanismi di approvazione del bilancio permetterebbe già di fare dei notevoli passi in avanti su tutte e tre queste tematiche.

3.Lei è d’accordo con l’affermazione secondo cui la mancanza in seno al PE di un forte gruppo parlamentare realmente europeista sia una delle ragioni del rallentamento del processo di integrazione europea?
Sì. Penso che negli ultimi anni le posizioni euroscettiche, nazionaliste e populiste, una volta confinate al campo dell’estrema destra, abbiano pericolosamente invaso il campo della sinistra e anche delle forze cosiddette moderate. In tempo di crisi, poi, i messaggi populisti raccolgono il massimo del consenso, mentre invece servirebbe esattamente un percorso inverso. Sono convinto che sia necessaria una discussione politica vera e senza sconti nel campo del progressismo europeo, che sgombri il campo da ogni tentazione euroscettica e passatista.

4. Secondo il suo punto di vista, cosa bisognerebbe fare per incentivare e favorire il processo di integrazione europea?
Bisognerebbe smetterla di strattonare l’Europa a sproposito. I governi nazionali e i partiti politici dovrebbero smetterla di darsi i meriti che sono propri dell’Unione e dare all’Europa le responsabilità dei loro errori. Bisognerebbe cambiare il metodo di elezione dei parlamentari europei, che credo concorra non poco alla perdita di credibilità di questa istituzione: serve una legge elettorale uniforme per tutta l’Unione che renda inutili le candidature-figurina e concentri il dibattito pubblico sulle tematiche comunitarie, liberandolo dalla schiavitù delle cose strettamente nazionali.

Diritti Civili

1. Secondo lei, sul tema dei diritti civili, l’Europa dovrebbe poter stabilire delle linee guida che tutti gli Stati europei devono poi rispettare?
Sì. Così come già oggi l’Unione Europea richiede ai suoi paesi membri il rispetto dei più fondamentali diritti umani, credo che la stessa cosa debba essere prevista per i diritti civili e di cittadinanza. Credo che i paesi dell’Unione con legislazioni più avanzate debbano farsi promotori di una poitica di tutela più incisiva dei diritti civili, specie nei confronti dei paesi che su questo fronte hanno ancora legislazioni arretrate o acerbe.

2. Sul testamento biologico, lei sosterrebbe in Europa, se ne avesse la possibilità, una legge di indirizzo basata sugli stessi principi del progetto del Senatore Ignazio Marino?
Sì, proprio nel quadro dell’ampiamento e della tutela dei diritti civili di cui ho parlato nella risposta precedente.

3. Si batterebbe in Europa per ribadire che le coppie omosessuali debbano avere gli stessi diritti di quelle eterosessuali?
Sì, per quanto l’Unione Europea si è già espressa chiaramente sulla necessità di eliminare ogni forma di discriminazione legislativa basata sull’orientamento sessuale. Mi batterei certamente perché queste dichiarazioni di indirizzo abbiano un valore sempre più vincolante per i singoli stati, tramite un meccanismo di premi e sanzioni.

4. Qual e’ secondo lei il giusto equilibrio tra il rispetto dei diritti e il rispetto delle coscienze individuali?
La coscienza individuale è, per l’appunto, individuale. I diritti degli uomini sono invece, per loro natura, universali. Il punto di equilibrio è quello dell’uguaglianza di tutti gli uomini nella libertà di scegliere.

Sicurezza sul lavoro, salario minimo, Welfare

1. Alcuni Stati europei sono contrari ad una regolamentazione europea dei diritti dei lavoratori. Di fronte ad una ipotetica minaccia, da parte di alcuni Paesi, di uscire dall’Unione nel caso in cui si andasse in quella direzione, lei privilegerebbe l’estensione dei diritti o il mantenimento di tutti i membri?
Credo che l’Unione Europea debba liberarsi dal giogo della continua ricerca dell’unanimismo su qualsiasi questione. Credo sia necessario aprire una seria discussione politica: come in ogni discussione politica si parlerà, ci si confronterà, si cercherà un compromesso accettabile e alla fine si deciderà tramite un voto. Penso che inserire nel campo di una discussione politica la minaccia di lasciare l’Unione sia irresponsabile e ridicolo. Irresponsabile perché in nessun contesto libero e democratico chi perde la sfida del consenso può minacciare di portar via il pallone, a meno di volersi spontaneamente consegnare al minoritarismo e all’emarginazione. Ridicolo perché si tratta di una minaccia surreale: uscire dall’Unione Europea in questo momento avrebbe per qualsiasi paese delle conseguenze economiche e sociali di una gravità tale da non essere paragonabili a quelle di nessuna norma indesiderata. Chiedete all’Islanda, che dopo anni di diffidenza ed euroscetticismo adesso non vede l’ora di entrare nell’Unione.

2. Il PD ha riconosciuto come battaglie centrali negli ultimi mesi quelle per il salario minimo e la sicurezza sul lavoro, oltre a quelle da sempre portate avanti nei campi della salute e del Welfare in generale. Secondo lei, è pensabile l’idea di un “welfare europeo”, ovvero di stabilire delle garanzie minime per i lavoratori e i cittadini degli stati membri? Quale potrebbe essere un obiettivo realistico in questa direzione, e come potrebbe essere conseguito?
L’idea di un welfare europeo e quella di stabilire delle garanzie minime per i cittadini degli stati membri sono due cose ben diverse. Per quanto sicuramente auspicabile, l’istituzione di un sistema di welfare europeo nel breve periodo mi sembra poco realistica. Penso che un passo attuabile immediatamente che vada in quella direzione possa essere la normazione di criteri e garanzie comuni a tutti gli stati membri, così da uniformare tra loro legislazioni spesso molto differenti. Come sempre, però, c’è la necessità di un impegno globale, contemporaneo e su più fronti: le politiche sul welfare sono direttamente collegate al sistema fiscale, che a sua volta è strettamente legato all’erogazione di servizi al cittadino, eccetera…

Ambiente, Trasporti ed energia

1. Secondo lei, le politiche per la lotta al surriscaldamento globale dovrebbero essere incoraggiate anche se a discapito della crescita economica e dell’occupazione?
Sviluppo economico e tutela dell’ambiente non sono due obiettivi in contraddizione tra loro, a meno che non si guardi alle cose del mondo con l’orizzonte ristretto della prossima scadenza elettorale. Investire sulle fonti energetiche rinnovabili non è semplicemente giusto per la tutela del nostro pianeta: è una strategia di sviluppo industriale che permette già oggi di creare e salvaguardare posti di lavoro destinati altrimenti a scomparire insieme alle fonti energetiche non rinnovabili.

2. Oggi “i fondi comunitari dedicati a tutelare l’ambiente sostengono vari progetti, quali la costituzione di economie rurali, competitive e rispettose dell’ambiente, con la maggior parte dei fondi destinati agli agricoltori, l’adeguamento del settore della pesca all’impoverimento degli stock di pesce, o i programmi ambientali che incoraggiano la tutela dell’ambiente in tutti i progetti politici.” Secondo lei, sarebbe giusto spostare una parte di questi fondi ambientali da pesca e agricoltura al sostegno delle energie rinnovabili? Se si, quanti di questi fondi (una piccola parte/una buona parte/la maggior parte).
La questione dei sussidi all’agricoltura è una delle più annose e inestricabili dell’Unione Europea, perché vede l’intrecciarsi di interessi privatistici nazionali, corporativismi incancreniti e facili populismi. Penso sia necessario modificare radicalmente il principio che guida la Politica Agricola Comune, oggi volta quasi esclusivamente alla conservazione dei profitti degli agricoltori, in barba a qualsiasi logica di mercato. Nella completa ridefinizione della spesa comunitaria in questo settore, penso che buona parte di quei fondi possa essere destinata al sostegno alle energie rinnovabili, e la restante parte possa concentrarsi più sull’ammodernamento delle tecniche di coltivazione che nel preservare rendite di posizione dannose e obsolete.

3. In considerazione delle peculiarità dei prodotti enogastronomici e delle biodiversità agricole italiane, e di quanto esse rappresentano in termini di ricchezza nazionale e di incentivo alla nostra offerta turistica, crede che gli europarlamentari italiani dovrebbero fare blocco per difenderli se necessario? Secondo lei, in casi come questi è più importante privilegiare l’interesse nazionale o la solidarietà come gruppo europeo?
Non sarebbe forse il caso di considerare la peculiarità dei prodotti enogastronomici e delle biodiversità agricole – italiane, francesi, rumene, e via dicendo - interesse di tutta l’Unione e non solo interesse nazionale? Questo cambio di prospettiva indebolirebbe non poco le forze politiche più nazionaliste e toglierebbe loro un solido argomento elettorale. La contrapposizione tra interesse nazionale e solidarietà europea è funzionale solo a chi è interessato a proteggere rendite di posizione e aiuti di stato. L’Unione Europea e i gruppi parlamentari si facciano garanti verso tutti i paesi membri della tutela dei prodotti tipici dei suoi diversi territori: ci guadagneremo tutti, e ci rimetteranno solo quelli che utilizzano furbescamente una fantomatica contrapposizione tra interessi nazionali e interessi europei. Come se gli europei non fossimo anche noi.

4. La questione del nucleare e’ abbastanza complessa e riguarda, tra gli altri, costi effettivi (costruzione, mantenimento e funzionamento, smantellamento), messa in sicurezza degli impianti e delle scorie prodotte, tempi di costruzione, comprendente anche l’accettazione da parte delle popolazioni vicine al luogo interessato, e gas serra, in un delicato bilancio che non sempre risulta a favore delle centrali a fissione rispetto ad altre forme di energia alternativa. A suo modo di vedere, in un programma europeo per la differenziazione delle fonti energetiche, quale ruole deve essere riservato al nucleare ? E perche ?
Credo che sarebbe estremamente miope non riservare il massimo delle risorse, delle competenze e dell’attenzione alle energie rinnovabili. Il massimo. A meno di nuove e significative scoperte nel campo della fissione nucleare, credo che gli unici investimenti in quel campo debbano essere rivolti a migliorare le condizioni di sicurezza delle centrali e della rimozione dello scorie, da qui fino alla progressiva dismissione o riconversione delle centrali.

Libertà d’informazione

1. Secondo lei, il problema della concentrazione del potere mediatico all’interno dei singoli Paesi europei deve essere affrontato principalmente come un problema legato all’antitrust e alla concorrenza, oppure come un problema legato alla democrazia? In ogni caso, crede che si dovrebbero stabilire a livello europeo dei tetti pubblicitari per i diversi mezzi di informazione (TV, carta stampata, internet, etc.)?
Nessuna democrazia può dirsi realmente compiuta senza un reale pluralismo nei mezzi di comunicazione. Si tratta quindi di un problema di antitrust e concorrenza che investe direttamente gli standard qualitativi della democrazia. Non credo però che il sistema dei tetti alla raccolta pubblicitaria possa essere una soluzione efficace al problema del mancato pluralismo, un po’ perché credo sia complicato e forse persino dannoso applicare lo stesso tipo di logica a mezzi completamente diversi tra loro, ma soprattutto perché il problema del mancato pluralismo dei mezzi di comunicazione è un problema essenzialmente italiano che non conosce eguali in Europa. E si tratta di un problema che tocca ma va ben oltre il nodo della raccolta pubblicitaria.

2. Secondo lei le regole minime sugli standard di democrazia per i Paesi della UE, anche per Paesi che ne fanno già parte, devono considerare anche i temi della libertà d’informazione? A suo giudizio, la situazione italiana come dovrebbe essere valutata secondo criteri in questo campo (normale, delicata, grave, molto grave)? E secondo lei come dovrebbero essere affrontate eventuali violazioni di questi standard da parte di Paesi già membri?
La libertà d’informazione e di stampa è uno dei cardini di ogni democrazia e penso che sotto questo punto di vista la situazione italiana sia particolarmente grave e anomala. Penso che l’Unione debba considerare come suoi i problemi dei suoi paesi membri, e penso quindi che debba esigere che lo stato italiano uniformi allo standard degli altri paesi europei la sua legislazione globale sul sistema delle telecomunicazioni.

3. Cosa ne pensa della possibilità, di cui si parla in questi giorni, di emanare leggi che in qualche modo limitino e controllino il flusso di informazioni su internet?
Sono assolutamente contrario: la potenza creativa, informativa, liberatrice della rete sarebbe imbrigliata e penalizzata da qualsiasi legislazione a orientamento limitativo e restrittivo. Una cosa è adeguare alle nuove tecnologie gli strumenti atti a combattere comportamenti illegali (la violenza, le minacce, lo stalking, la calunnia, il furto), un’altra cosa è creare nuove e inverosimili specifiche di reato (vedi l’anonimato, o ad esempio). Allo stesso modo, credo che nessuna legislazione in materia di internet possa prescindere dalla tutela della neutralità della rete: l’infrastruttura deve restare separata e neutra rispetto ai contenuti e ai servizi che veicola.

Impegni personali se verrà eletto

1. Oggi i dati sulle assenze dei singoli deputati europei sono riservati. Lei è disposto ad impegnarsi a rendere pubblici i dati riferiti alla sue assenze? E’ favorevole a votare una modifica dei regolamenti perché il Parlamento Europeo renda pubblici questi dati per tutti i deputati?
Certamente sì, e renderò pubblici i dati delle mie presenze e assenze in Parlamento anche se non dovessi essere obbligato da un regolamento.

2. Lei personalmente a quale raggruppamento europeo vorrebbe aderire nel PE: PSE, ALDE, o un altro da creare?
Credo che i tempi siano maturi perché in Europa la famiglia dei socialisti – quella in cui mi riconosco – si apra ad accogliere anche i progressisti di altre provenienze: per questo spero che si possa dar vita immediatamente dopo il voto a un nuovo grande gruppo parlamentare europeo.

3. Attualmente il conservatore José Manuel Durao Barroso con l’appoggio unanime del PPE (suo partito di appartenenza) e di una parte sostanziale del PSE sembra essere destinato ad un secondo mandato come presidente della Commissione Europea. Lei è d’accordo? Non pensa che le forze europee riformiste e di sinistra debbano promuovere un candidato che sia espressione di una Europa diversa da quella rappresentata dal candidato conservatore portoghese?
Credo che il bilancio della presidenza Barroso sia estremamente deficitario: in questi anni l’Europa ha camminato molto più lentamente di quanto avrebbe potuto e dovuto fare, a detrimento delle grandi speranze che milioni di cittadini ripongono nell’Unione Europea. Credo anche qui che l’Unione debba liberarsi della schiavitù dell’unanimismo e mettere al centro del dibattito la politica: è necessario quindi che le forze politiche che usciranno vincenti dal voto elettorale indichino una presidenza che abbia un mandato chiaro e definito, e mi sembra difficile che tale mandato possa essere portato avanti da un presidente votato in maniera bipartisan. Fermo restando che l’esito del voto potrebbe ribaltare l’attuale equilibrio parlamentare, penso che qualora il Ppe dovesse proporre un nuovo mandato del presidente Barroso, il Pse dovrebbe farsi carico di proporre una candidatura alternativa. Una candidatura vera e non di bandiera, che si ponga l’obiettivo di aggregare il consenso di pezzi di altri gruppi parlamentari pur di promuovere una visione e un attivismo dell’Ue alternativo a quello portato avanti dalla Commissione Barroso.

 


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