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 Storia Cremonese

15 Settembre, 2002
Agnadello. Breve storia del comune.
Un'etimologia popolare fa derivare il toponimo Agnadello da "Acquadello", cioè paese dell'acqua, con riferimento ai numerosi fontanili che caratterizzano la zona.

Agnadello. Breve storia del comune.
Etimologia del nome e origine del paese
Un'etimologia popolare fa derivare il toponimo Agnadello da "Acquadello", cioè paese dell'acqua, con riferimento ai numerosi fontanili che caratterizzano la zona.
Secondo alcuni studiosi di toponomastica, invece, "Agnadello" deriva dal latino "Agnadellum", diminutivo di "Agnano", a sua volta derivato dal gentilizio romano "Annius", con il suffisso -anus della formazione prediale. Il significato letterale del nome Agnadello sarebbe perciò: "piccolo podere di Annius". Secondo altri, invece, deriverebbe da " acmen (variazione di acumen)-agmen ", vocabolo tardo-latino che significa altura, sommità o forse da" amnis " ( fiume ).
Agnadello si trova nel territorio denominato “ Gera D’Adda “ : "Gera" ( che anticamente si diceva anche Ghiera o Ghiara ) significa "ghiaia", dal latino "glarea", in dialetto "gèra".
La zona è chiamata così perché è formata da uno strato di ghiaia portata dall'Adda; il nome del fiume è di origine celtica e significa " acqua corrente ".
La Gera d'Adda fu popolata fin dalla preistoria; i primi resti di vita umana che gli archeologi hanno trovato risalgono al Mesolitico.
Allora, nella zona, gli uomini vivevano cacciando e avevano stanziato accampamenti stagionali lungo le sponde del Serio, presso l'attuale Castelleone. Durante il Neolitico si incominciò a praticare l'agricoltura ma le attività fondamentali rimasero inizialmente la caccia e la pesca, infatti la nostra zona era allora ricca di foreste popolate da molti animali selvatici e solcata da fiumi pieni di pesci; proprio i corsi d'acqua furono le prime vie di comunicazione.
Poi giunsero i Liguri (una popolazione proveniente dai Balcani) che praticarono un'agricoltura arretrata, vivendo soprattutto di pesca e di caccia all'orso, al lupo, al cervo, al cinghiale. Essi si fermarono qui fino al termine dell'età del bronzo ma lasciarono scarse testimonianze della loro presenza. I glottologi hanno rilevato nel nostro linguaggio parole liguri, tra le quali barca, viola, resina, malva, baita passate senza cambiamenti nell'italiano, palta (fango), magiostra (fragola) ancora presenti nel dialetto.
Nel VI secolo a.C. arrivarono gli Etruschi alla ricerca del ferro; essi, infatti, erano abili nel lavorarlo.
I Galli o Celti , sopravvenuti nel V secolo a.C., trasformarono la zona praticando un'agricoltura più avanzata ed incentivando il disboscamento. Fondarono villaggi e strade che diedero inizio ad uno sviluppo commerciale.
Nel I secolo a.C. i Romani, sconfitti i Galli, conquistarono la regione, fondando centri come Arzago e Misano; effettuarono la centuriazione e resero ancora più efficienti l'agricoltura e il commercio.
Caduto l'Impero Romano, a causa delle invasioni barbariche, la popolazione del nostro territorio diminuì moltissimo; i campi rimasero incolti, i boschi ricrebbero, le acque dell'Adda e del Serio senza più argini allagarono i campi, formando il Lago o Mare Gerundo. Il lago era in realtà una palude che si estendeva sulla parte più bassa dei territori costeggianti l'Adda e il Serio, alimentata dalle inondazioni dei fiumi e dalle numerose risorgive.
La fantasia popolare narra che un tempo nelle acque del Lago Gerundo viveva un drago di nome Tarantasio che, avvicinandosi alle rive, faceva strage di uomini e soprattutto di bambini e che“ ammorbava “ l’aria circostante con il suo alito asfissiante. Pare che la popolazione di Lodi fosse molto provata dall’azione di questo drago ma, come spesso accade, la leggenda nasceva da un fatto reale.
In questo territorio, infatti, ci sono giacimenti di gas metano, con esalazioni naturali che si incendiavano con i fulmini , durante i temporali e a quel tempo questo fenomeno fece pensare all’ alito di un drago.Il mostruoso rettile, sempre secondo i racconti popolari, fu ammazzato da uno sconosciuto eroe che prosciugò anche il lago. Questo valoroso altri non era che il fondatore dell’illustre famiglia dei Visconti di Milano che, dopo tale prodezza, adottò come suo stemma l’immagine del biscione che inghiotte il bambino.
Tra leggenda e storia è certo, tuttavia, che il lago sia realmente esistito in quanto è menzionato in molti documenti antichi.
Per quanto riguarda la derivazione del toponimo Gerundo, è opinione comune che esso derivi da "gèra" (ghiaia), mentre Valerio Ferrari, esperto conoscitore del territorio cremasco, ritiene che la sua etimologia sia da cercare nel termine " gyrus" cioè " spira, curva " con riferimento ai meandri fluviali.
Proprio su un'"isola" di questa palude sorse il nostro paese, costituito come comunità da famiglie romano-longobarde.
Dopo il mille, l'insediamento di abbazie cluniacensi nella zona incentivò la bonifica del territorio: a poco a poco sparirono le paludi e i boschi, sostituiti da campi coltivati.
Il più antico documento in cui è citato il nome di Agnadello risale probabilmente al 1046 ed è rappresentato da un decreto in lingua latina inviato dall'imperatore Enrico III al vescovo Ubaldo di Cremona.
In tale documento sono nominati i paesi della nostra zona e Agnadello è citato con il nome di "Castrum Agnanellum".
Nel 1300 iniziarono varie opere di canalizzazione delle acque di molte delle rogge presenti ancora oggi nella nostra zona. Le violente liti sulle acque, dovute all'universale fabbisogno di questo bene prezioso, coinvolsero tutti i comuni del territorio aumentandone i dissidi. Questo continuò fino al secolo successivo quando, sotto il dominio dei Visconti e degli Sforza, si diede inizio alla realizzazione del grande progetto per una maggiore distribuzione delle acque del fiume Adda.
Nel 1414 Agnadello venne concesso in feudo, insieme con Pandino, Misano e Crema, a Giorgio Benzoni, successore dei fratelli Paolo e Bartolomeo Benzoni, proclamatisi Signori di Crema il 12 novembre 1403.
Poco tempo dopo, nel 1423, tutto il territorio della Gera d'Adda passò al Ducato di Milano sotto il dominio della famiglia Visconti, dominio che durò fino al 1447.
Per quasi tutta la seconda metà del XV secolo la Gera d'Adda fu conquistata alternativamente ora dalla repubblica di Venezia, ora dal Ducato di Milano degli Sforza.
Nel 1500 il re di Francia Luigi XII, con l'aiuto della repubblica di Venezia, invase e conquistò con le sue truppe il Ducato di Milano; Cremona e la Gera d'Adda passarono sotto il potere dei Veneziani.
Le mire espansionistiche di quest'ultimi però, li posero ben presto in contrasto con i loro alleati Francesi. A metà del mese di aprile del 1509, re Luigi XII dichiarò guerra a Venezia.

La battaglia di Agnadello

Un evento storico molto rilevante verificatosi ad Agnadello fu la battaglia combattuta il 14 maggio 1509 tra la repubblica di Venezia ed i Francesi.
L'esercito della repubblica veneziana era composto da 2.000 uomini d'armi, 3.000 cavalieri e 30.000 fanti con 29 cannoni d'assedio e 120 cannoni da campo. Le milizie erano comandate da Nicolò Orsini e da Bartolomeo D'Alviano. L'esercito francese era formato da 2.000 uomini d'arme, 18.000 fanti, 600 cavalieri e 67 pezzi grossi d'artiglieria.
I Francesi marciarono verso Treviglio che era occupata da una cospicua guarnigione di Veneziani. Attraversarono l'Adda a Cassano con 600 fanti ed alcune centinaia di cavalieri ed occuparono prima Rivolta, poi puntarono decisamente su Treviglio; cinsero d'assedio la città ed incominciarono ad abbattere le mura con l'artiglieria pesante. Ben presto la città si arrese. A presidiare Treviglio rimasero solo 1.600 fanti, mentre il grosso dell'esercito francese rientrò a Milano per attendere l'arrivo di Luigi XII dalla Francia, il quale vi giunse il 1° maggio 1509.
La Gera d'Adda rimase così praticamente del tutto sguarnita.
I Veneziani, accortisi di questo fatto, decisero allora di contrattaccare per riconquistare nuovamente i territori perduti e, da Fontanella, dove erano accampati, marciarono verso Rivolta e la occuparono. Poi si spostarono velocemente verso Treviglio; là giunti, bombardarono le sue mura per un giorno intero, fino ad aprire una breccia e, malgrado, l'eroica difesa dei Francesi e dei Trevigliesi, ben presto la città capitolò e si arrese.
Treviglio fu completamente saccheggiata ed in parte incendiata: non furono risparmiate cose e neppure persone. Il sacco di Treviglio fu però un grosso errore del comandante Bartolomeo d'Alviano, perché molti dei suoi soldati abbandonarono l'esercito per andare a vendere gli oggetti depredati.
L'8 maggio il re Luigi XII partì da Milano per andare in aiuto a Treviglio. L'esercito era diviso in tre parti: l'avanguardia comandata da Carlo D'Amboise; la battaglia comandata dal re e la retroguardia comandata dal maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. Giunto a Cassano il re fece costruire due ponti sull'Adda: sul primo passò la cavalleria, sull'altro la fanteria. I Francesi si accamparono a tre chilometri dai Veneziani e il re fece distruggere i ponti sull'Adda per impedire defezioni e fughe dei suoi soldati.
L'11 maggio i Francesi riconquistarono Rivolta e la saccheggiarono. Nel frattempo l'esercito veneziano lasciò Treviglio per dirigersi verso Pandino e preparare le difese contro il nemico.
Il re Luigi XII, avvisato dalle spie delle intenzioni dei Veneziani, partì immediatamente da Rivolta verso Pandino per giungere al borgo prima dei suoi avversari.
Anche l'esercito veneziano era diviso in tre parti: la prima antiguardia, la seconda battaglia e la terza retroguardia, comandata da Bartolomeo D'Alviano e costituita da 500 cavalieri e 10.000 fanti.
Nel primo pomeriggio del 14 maggio l'avanguardia dell'esercito francese comandata dal signore di D'Amboise, giunse presso Mirabello, una cascina fuori Agnadello dove era già accampata la retroguardia dell'esercito veneziano.
I Francesi allora incominciarono a sparare con l'artiglieria; il comandante dei Veneziani mandò dei messaggeri a Pandino per chiedere aiuto al resto dell'esercito e nel frattempo preparò i soldati al combattimento.
Da Pandino gli fu ordinato di non attaccare ma di retrocedere e di ricongiungersi a loro.
Nonostante gli ordini ricevuti l'Alviano attaccò battaglia.
Inizialmente il combattimento fu dominato dai Veneziani fino a quando non giunse il grosso dell'esercito francese comandato dal re; le sorti della battaglia allora cambiarono ed i Veneziani si ritirarono verso un luogo più favorevole a posizionare la loro artiglieria ( luogo dove oggi sorge la cascina Mirabellino ); ma accortisi di questa intenzione, i Francesi li precedettero e giunsero per primi sul posto. Verso le ore 16, inoltre, si scatenò un nubifragio spaventoso che contribuì ad accrescere le difficoltà della fanteria veneziana impantanata e circondata dalla cavalleria nemica. Dopo tre ore di battaglia le truppe francesi ebbero il sopravvento e infransero le difese dei Veneziani gridando:" Vittoria! Vittoria! ". A questo grido molti Veneziani ruppero le fila, fuggirono e la disfatta fu totale. La battaglia durò dalle ore 14 fino alle 18; alla fine sul campo si contarono 14.600 morti.
Il bottino ricavato fu cospicuo e molti furono i prigionieri, fra i quali anche il comandante Bartolomeo D'Alviano, ferito da un colpo di lancia, che rimase agli arresti in Francia per quattro anni.
In seguito alla vittoria della Francia, tutta la Gera D'Adda fu dichiarata contea e data in possesso ad un nobile francese di nome Arturo Gauffier conte di Estampes, nel 1516.
Attorno al racconto della battaglia, sorsero anche delle leggende. Da ricordare, in particolare, quella secondo cui la Madonna, invocata dal re dei Francesi, sarebbe intervenuta a suo favore facendo nevicare benché fosse maggio, ostacolando così le manovre dei Veneziani, e anche un'altra che parla di un cannone d'oro sepolto nella zona .
Nel luogo dove si svolse la vicenda, il re Luigi XII fece erigere una cappellina dedicata a "S. Maria della Vittoria", contenente un bell'affresco raffigurante Maria, il Bambino e i Santi, attualmente conservato nella chiesetta seicentesca della cascina "Costa vecchia" ( oggi detta Costa Cremasca ), situata poco distante.
La cappella di Luigi XII, chiamata comunemente " dei Morti della Vittoria" divenne luogo di devozione per gli abitanti di Agnadello e dei paesi circostanti.

Note Storiche sulla Battaglia di Agnadello a cura dell'Assessorato alla Cultura e Sport

La leggenda del cannone pieno di monete d'oro
Alla battaglia di Agnadello è legata una popolare leggenda. Si racconta, cioè, che Luigi XII in un momento di paura per l'alternarsi delle sorti della battaglia avesse promesso oltre che di costruire un santuario alla Madonna, di interrare nel luogo della battaglia un cannone con la bocca ripiena di monete d'oro. La fantasia e le voci hanno portato alcuni a ricerche, altri addirittura a scavi notturni sperando di trovare tale nascosto tesoro. Attenzione però: la leggenda narra anche di fantasmi di soldati uccisi nella famosa battaglia che, di notte e in giorni di grandine, si risvegliano e vagano nelle campagne in cerca di vendetta. La fortuna potrebbe risolversi in paura!!!

Il luogo dei "Morti della Vittoria"
Sorse, in territorio di Agnadello, nel luogo dove il re durante la battaglia aveva tenuto la maggior parte dei pezzi d'artiglieria e non molto distante dalla roggia che segnava il confine tra il Ducato di Milano e la repubblica di Venezia, una chiesetta dedicata a "Nostra Signora della Vittoria".
La chiesa di Luigi XII doveva essere un edificio forse anche un po' più largo della chiesa cremasca attuale, ma non molto di più. A questa cappella accorrevano molte persone, in particolar modo di Agnadello. Con la morte di Luigi XII ( 1513 ), la disastrosa sconfitta dei Francesi a Pavia il 24 Febbraio 1525 e la cattura, a Pizzighettone, del loro re Francesco I, terminava, solo sedici anni dopo la battaglia di Agnadello, il dominio francese in Italia: cominciava da allora un periodo di oltre centocinquant'anni, durante il quale nessuno, all'infuori dei poveri abitanti dei paesi vicini, si preoccupò di curare la chiesetta, che, man mano, andava in rovina sotto gli occhi dei contadini del luogo, che non avevano i mezzi per restaurarla.
Durante tutto il '600, il luogo dei "Morti della Vittoria", paludoso nelle campagne e boscoso sulla costa, divenne ritrovo per i briganti che infestavano la Gera d'Adda. Visto il cattivo stato della chiesetta della Madonna della Vittoria e del suo dipinto, Agostino Premoli, Vescovo di Concordia (presso Venezia) ma cremasco di nascita, pensò di salvare l'antica immagine della Madonna posta nell'abside, collocandola in una nuova chiesa.
Fu così che, essendo proprietario del terreno detto oggi "Costa Cremasca", fece ristrutturare ed ampliare un elegante oratorio cinquecentesco dedicato a San Marco, già esistente sul suo terreno, facendovi trasportare l'antico affresco della Madonna della Vittoria. Il vecchio dipinto, che ancora oggi si può vedere nella chiesa presso la Costa Cremasca, non rimase comunque intero: per trasportarlo nella nuova chiesa dovette essere tagliato. Attualmente al centro dell'affresco c'è Gesù Bambino, tra le braccia di Maria Vergine, mentre ai lati compaiono le figure di altri Santi.
Continuò così la venerazione alla Madonna della Vittoria e numerose erano le grazie che i fedeli ricevevano: nella chiesa fatta costruire dal vescovo Agostino Premoli, si possono ancora vedere molti quadri votivi fatti da coloro che le avevano ottenute.

Il recupero dell'antico luogo di culto
Successivamente, anche se la venerazione a questo luogo non venne mai meno, nella cappella dei Morti della Vittoria non veniva più celebrata la messa domenicale dal momento che il sacerdote del luogo, venne trasferito alla chiesa delle Cascine Gandini.
Intorno al 1866 fu eretta una grossa parete e sopra di essa venne dipinta l' immagine della Vergine del Rosario da un mediocre pittore, che ben presto però sbiadì.
Intanto per la grande insistenza degli abitanti di Agnadello e della Costa Cremasca e anche per l'interessamento di Padre Marcellino Moroni (1827-1908) si riprese a celebrare nel luogo la messa domenicale.
Durante il suo breve soggiorno ad Agnadello, Padre Marcellino fece effettuare alcuni restauri che si conclusero il 16 giugno 1871. Sempre nello stesso anno il sacerdote fece costruire un tabernacolo nel luogo dell'antica chiesa, in territorio di Agnadello, sulla cui parete fece dipingere dal valente pittore Ogliari (sec. XIX) di Trescore Cremasco, una copia dell'antica immagine della Madonna della Vittoria. Continuarono così, grazie soprattutto allo zelo di Padre Marcellino, il culto alla Madonna della Vittoria e la celebrazione annuale della festa.
Nel 1909 si compiva il quarto centenario della battaglia di Agnadello e la ricorrenza del fatto non passò inosservata. Il 14 maggio di quell'anno appariva sull' "Unione" di Milano un articolo sulla chiesa della Madonna della Vittoria. In agosto, poi, per opera della parrocchia della Costa Cremasca, la solita festa annuale dedicata alla Vergine della Vittoria venne celebrata con particolare solennità. Nell'anno 1925 l'allora parroco di Agnadello Don Ernesto Tabaglio, affidò al mastro Luigi Fontana di Vailate i lavori di restauro della piccola cappella fatta costruire da Padre Marcellino.
Gli anni che vanno dal 1943 al 1945, nell'infuriare della seconda guerra mondiale, vedono la cappella della Costa Cremasca e quella nel territorio di Agnadello, meta di parecchi pellegrini dei paesi limitrofi.
Nel dopoguerra il luogo dei Morti della Vittoria venne a poco a poco dimenticato.
Solo all'inizio degli anni settanta, grazie all'interessamento di alcune persone agnadellesi e del parroco Don Luigi Possenti, si ripensò a questo posto.
Agli inizi del 1975 si iniziarono i restauri della cappellina del territorio di Agnadello: davanti all'affresco del pittore Ogliari fu applicato un pannello di legno sopra il quale venne dipinta dal pittore Domenico Colpani di Fornovo, la Madonna con il Bambino. La rinnovata cappella fu inaugurata solennemente nel mese di maggio dello stesso anno. Il culto alla Madonna della Vittoria veniva così rinnovato.In ricordo degli avvenimenti successi, la comunità locale festeggia ancora, sul posto, il giorno dedicato alla Madonna della Neve che ricorre il 5 agosto.
Il luogo dei Morti della Vittoria è uno dei siti più caratteristici del cremonese ed è ritornato ad essere un elemento molto caro al cuore degli agnadellesi; ancora oggi sulla croce di ferro posta sull'argine della vicina roggia, vengono appesi indumenti e bende come domanda di grazia per malattie ed altro, che vengono bruciati periodicamente. Questo rituale risalirebbe addirittura ad un'antichissima usanza celtica, legata al culto delle Divinità delle Sorgenti e delle Acque.

Nei secoli successivi...
Dopo le vicende della battaglia, il nostro territorio, annesso a quello di Milano, rimase sotto il dominio di Luigi XII, re di Francia. Con la sua morte, nel 1513, il trono passò al giovane Francesco I che, avendo un gran desiderio di emulare il suo predecessore nelle imprese guerresche, scese ben presto in Italia per riprendersi il Ducato di Milano che gli Svizzeri , nel frattempo, avevano affidato a Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico il Moro.
Per riuscire nell'impresa il sovrano francese cercò l'alleanza dell'antica nemica Venezia, usando come moneta di scambio proprio la Gera d'Adda e altre città della Lombardia.
A Melegnano ( chiamato, a quei tempi "Marignano") i Francesi alleati con l'armata veneziana agli ordini di Bartolomeo D'Alviano ( lo stesso comandante che combattè nella battaglia di Agnadello) ottennero un'importante vittoria contro le truppe svizzere assoldate da Massimiliano Sforza. Per ricordare i numerosi caduti in questa dura battaglia, a Melegnano si celebra annualmente la Festa detta del Perdono ( da ciò ha origine la frase:"Il perdono è a Melegnano", rivolta ad autori di azioni non giustificabili).
Con questa vittoria la Francia riprendeva il dominio sul Ducato di Milano (1515).
La pace, tuttavia, in questi territori che rivestivano un certo interesse strategico, non fu duratura: solo un anno dopo, infatti, l'imperatore Massimiliano d'Austria condusse un'offensiva contro i Francesi, proprio nella nostra zona, riuscendo a impossessarsi di Milano che fu affidata al potere di Francesco Sforza (ultimo figlio di Ludovico il Moro) .
I Francesi rimasero accampati a Cremona, mentre a Milano erano concentrate le forze asburgiche.
Nel frattempo sul trono di Spagna era salito il giovanissimo Carlo I d'Asburgo ( nipote dell'imperatore Massimiliano) che, in breve tempo, riunì sotto la sua corona enormi territori, facendosi proclamare imperatore con il nome di Carlo V . E' curioso notare che dalle nostre parti è molto usuale la frase" ai tempi di Carlo Cudiga o Codiga " ( detto anche Carlo Ü ) per indicare qualcosa di vetusto e non adatto ai tempi attuali, ma è interessante scoprire che il personaggio citato non è altri che Carlo V, così chiamato per la cotica rossa sulla nuca e sul collo tipica di molti tedeschi.
Il re di Francia Francesco I si scontrò duramente con questo giovane potente e ambizioso e la lunga contesa fra i due sovrani ebbe come campo di battaglia l'Italia.
In questo periodo la Gera d'Adda era terra di nessuno ma ciò equivaleva dire" terra di tutti".
Periodicamente, infatti, vi giungevano a fare razzie fanti e cavalleggeri di diverse fazioni e bisognava essere pronti a lasciarsi depredare dal padrone di turno ( italiano, spagnolo, tedesco o francese) pena la distruzione o la morte.
La guerra tra Spagna e Francia ebbe una svolta decisiva con la battaglia di Pavia (1525) che portò le forze di Carlo V alla vittoria e affermò la dominazione spagnola in Italia.
Per tutti i paesi della nostra zona il periodo successivo fu ancora molto difficile perchè fu il luogo della ripresa delle ostilità fra gli Spagnoli e gli Sforza di Milano. Con la morte degli ultimi eredi degli Sforza, il Ducato di Milano , del quale faceva parte il nostro paese, divenne una provincia dell'Impero di Spagna.
La dominazione spagnola perdurò per tutto il XVII secolo, portando i paesi della Gera d'Adda a una grave decadenza economica per le pesanti tasse a cui erano sottoposti. Il peggio toccò alle classi sociali più deboli che vedevano assottigliarsi ogni giorno il reddito familiare.
La Guerra dei Trent'anni (1618-1648) interessò anche la nostra regione, con saccheggi e distruzioni.Nel 1630-31, l'Italia settentrionale fu colpita da un'epidemia di peste che ridusse drasticamente la popolazione del territorio di Milano.
Anche Agnadello ne fu colpito: una via del paese, infatti, si chiama via Lazzaretto e la chiesa di S. Bernardino venne utilizzata come ricovero per gli ammalati. Terminata l'epidemia, allo scopo di disinfettare, le pareti interne dell'edificio furono ricoperte di calce, facendo scomparire quasi totalmente gli affreschi quattrocenteschi preesistenti.
L'avvento del nuovo secolo, il 1700, portò in Lombardia dei cambiamenti: nel 1714 Milano passò dal dominio spagnolo a quello austriaco e accolse le riforme imposte dal nuovo regime.
Verso la metà del secolo furono ridefiniti i confini fra lo Stato di Milano e Venezia. I confini furono indicati con cippi riportanti la data del 1758.
Verso la fine del '700, le vicende della vicina Francia ( la rivoluzione nel 1789 e l'ascesa di Napoleone nel 1796) coinvolsero di nuovo il nostro territorio.
Nell'Italia settentrionale, conquistata da Napoleone, sorse la Repubblica Cisalpina, con Milano come capitale.
Dopo la caduta di Napoleone, la Lombardia ( che faceva parte del regno Lombardo- Veneto) ritornò nuovamente sotto il dominio austriaco.
Le successive Guerre di Indipendenza videro ancora la nostra zona teatro di imprese militari.
Nel 1859 la Lombardia ottenne finalmente la libertà dall'Austria.
Da un vecchio dizionario geografico risulta che a quell'epoca Agnadello faceva parte del VII distretto di Pandino nella provincia di Lodi; contava 1343 abitanti e aveva un consiglio comunale.
Dal 1861 ( anno dell'unità d'Italia ) la storia del nostro paese entrò a far parte di quella nazionale.
Subito dopo, la geografia delle province lombarde cambiò: il lodigiano fu aggregato al milanese, mentre la maggior parte del distretto di Pandino, passò alla provincia di Cremona.
Gli anni trascorsi sotto le varie dominazioni hanno lasciato parecchi ricordi fra i quali l'origine di alcuni cognomi locali che sono di provenienza straniera e diversi legami fra il nostro dialetto e le altre lingue.
E' facile notare infatti come alcuni termini dialettali, diversi dai corrispondenti in italiano, derivino da parole straniere; le affinità maggiori sono con la lingua francese, sia per i suoni che per i vocaboli.
Tipicamente francesi sono i suoni dialettali: " Ö " ," Ü " e la pronuncia della lettera " Z " che sia in dialetto che in francese ha il suono della lettera " S " nella parola "ROSA".

Comune di AGNADELLO (CR) - Via Dante, 57, Tel ( centralino ) 0373 976192 - Fax 0373 976283 -

Per saperne di più clicca qui:
http://www.comune.agnadello.cr.it/news/leggi_area.asp?ART_ID=1671&MEC_ID=133&MEC_IDFiglie=152

 


       



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