15 Settembre, 2002
Una volta in via dei mille c'era la sede degli 'amici della lirica'... di Patrizia Della Vedova
Ricordo i pomeriggi dopo la scuola, trascorsi ad ascoltare i loro racconti... di lei, ragazzina tuttofare nella tipografia di pedroni....
Ricordo che una volta in via dei mille c'era
la sede degli 'amici della lirica'... imboccata
la via, lasciata la chiesetta di sant'ilario
alle spalle, direzione 'straàda canoòn',
come i nostri vèci solevano chiamare via
bissolati, proprio appena dopo via strettalunga,
a poce di 'casa protti' e prima di una serie
di garages, e delle vetrine che furono di
una parrucchiera e la lavanderia dei roleri
(dove metà degli abitanti della via, zii
compresi, vi si recavano più per pagare gli
affitti, che per far lavare i panni, mentre
l'altra metà andavano appunto dai protti),
c'era una piccola vetrina, il locale dove
i 'melò' cremonesi s'incontravano per discutere
di spartiti, autori, cantanti, e direttori,
maestri violinisti, orchestre, scenografie,
organizzare gite su e giù per lo 'stivale'
a caccia di spettacoli ed esibizioni, sede
di animate discussioni, di orecchi fini,
slanci e ardori di pance e di cuori... poco
più in la, stesso lato del marciapiede, abitavano
i miei zii.
Come i nonni materni, altra coppia di zii
e la loro figlia, cugina in 'seconda', i
parenti adorati e conosciuti quasi 'per procura',
attraverso le tante lettere, le foto con
i perenni sorrisi per scacciare i dolori
della lontananza, i racconti che si tramandano
le famiglie di emigranti, goduti per una
manciata di mesi quando nacque mia sorella,
altrettanti durante analoga parentesi 'sessantottina',
che per i genitori sapeva di fughe e celebrazioni,
per noi bimbe gli ennesimi saluti e abbandoni.
ma quando giunsi in italia, ragazzetta di
sedici anni, assetata di 'radici' e storia,
divenni la loro 'ombra'... zia gina e zio
dante non avevano figli e quando li conobbi
ormai erano anziani, bisognosi di quel futuro
che solo le nuove generazioni garantiscono,
e anche di preservare e tramandare un passato
fatto di fame e guerre, e non solo, affinché
non avessero a ripetersi, mai più.
Ricordo i pomeriggi dopo la scuola, trascorsi
ad ascoltare i loro racconti... di lei, ragazzina
tuttofare nella tipografia di pedroni, il
sapore di barzellette che solo col senno
di poi acquistano le battutacce degli adulti,
come quando uno di loro accusò finti dolori
allo stomaco, per mandarla dal farmacista
ad acquistare 'una confezione di preservativi',
e lo spirito di costui, nel rimandarla 'fasòla
e curnètt', spiacente di non poter soddisfare
tale richiesta per mancanza di 'misure'.
poi mano e braccio maciullati, intenta com'era
a stampare, tra il blu e il rosso, i bordini
dorati delle fascette che avrebbero poi rivestito
i 'negronetti', la meno gioventù trascorsa
a milano, il lavoro alla 'upim', un treno
preso un dì in anticipo e la salvezza che
sapeva di miracolo, scampata a quei bombardamenti
che poi avrebbero distrutto la città nell'agosto
del '43, e ancora l'avventura con mia nonna,
un'improbabile 'vacanza' in svizzera, la
loro valigia stracolma di abiti maschili
e vettovaglie, scambi da 'mercato nero' buoni
e utili per salvare mio nonno, deportato
dai tedeschi ivi in transito, tra un passaggio
e l'altro di marce strascicate e treni che
lo avrebbero portato a morte certa.
... e di lui, macchinista ferroviere in pensione,
partigiano, le mani già rattrappite dall'uso
della pala, quintali di carbone gettati nei
forni delle locomotive, più restio a narrare
ciò che ancora odorava di sangue e fango,
ma orgoglioso di mostrare le foto e raccontare
del suo viaggio in russia, l'inimmaginabile
grandiosità della piazza rossa, la visita
del cremlino, sempre attorniati da mille
sorrisi e operosità, bambine allegre e gioiose
adornate da enormi fiocchi variopinti, la
memoria che andava ad una in particolare,
il cui visino paffuto, roseo, e lo sguardo
birichino, gli ricordavano tanto mia sorella,
la monella di casa, e l'assenza di remore
in quel fondo di amara lucidità, davanti
a opulenze che sottacevano diverse 'fami',
inopinabili altrui miserie.
Sebbene la 'bestia' annebbi i ricordi, e
in quel vapore rarefatto che tenta di riempire
i buchi lasciati dalla malattia, scompaiano
nomi e altri gesti passati, di colpo, come
un un 'flash', ogni tanto riaffiorano frammenti
di immagini, odori e suoni, come i 'pixel'
di un lontano pomeriggio, dopo essere passati
in lavanderia e aver versato l'affitto alla
sig.ra palmira, la sosta al 'tempio' dei
dibattiti musicali... fuori, il solito capannello
di aficionados, a disquisire animatamente
sull'ultimo spettacolo al 'ponchielli' di
non ricordo quale opera, chi di stecche e
'scivolotti', di acuti che di 'brillante'
mostravano solo le lucide gocce di sudore,
ben visibili dal 'lugioòn', che imperlavano
i visi dei cantanti, forse consapevoli dei
loro misfatti, chi invece a parlar di umidità
o secchezza dell'aria, pur di difendere quelle
umane debolezze.
Forse perché già nipote di una mezzo-soprano,
o soprano leggero, la cui longevità permise
di riportare note, testi e tentativi 'istruttivi'
anche negli anni a venire, ahimè andati a
vuoto, di quelle conversazioni rimasero impressi
alcuni dei nomi pronunciati, in seguito amati
e apprezzati, forse perché le loro voci segnano,
con potenza e vigore, più di altre, la tragicità
e la cupezza di un'opera lirica, riportandola
- per assurdo - alla quotidianità, alla realtà
della vita stessa. baritoni come leo nucci
e basso-baritoni come ruggero raimondi, 'i
ragazzi che crescono bene', e ancora bruscantini,
cappuccilli, bruson, tito gobbi, o i più
vecchi e all'epoca ormai scomparsi bastianini,
gli impareggiabili titta ruffo e l'annicchese
basiola, che tutti accontentavano.
I paragoni erano sempre d'obbligo e di protti
dissero che il suo 'cavallo di battaglia'
restava il 'rigoletto', per il quale, forse
unico al mondo, possedeva i toni, le sfumature
e l'espressività necessari per dare il giusto
spessore a un simile personaggio. forse perché
cucito addosso dagli stessi verdi e piave,
che inconsapevoli attori di un gioco dei
tempi, lo presero ad esempio per forgiare
quel loro buffone di corte. ma che il suo
"cortigiani, vil razza dannata!",
un "j'accuse" così perentorio,
che per la veridicità dei contenuti avrebbe
strappato lacrime anche ad un aguzzino, non
sarebbe mai bastato a coprire passati inganni
e obliate crudeltà, quando riecheggiavano,
parimenti e con la stessa forza, le parole
finali di un "v'ho ingannato, colpevole
fui".
Mentre rapita ascoltavo queste 'conversazioni
da grandi', guardavo più avanti, verso l'imbocco
di via strettalunga, un budello perennemente
buio come le viscere, anche d'estate, e che
i genitori più previdenti sconsigliavano
il transito alle proprie figlie, per via
della vicinanza con la caserma. e sul lato
opposto della strada, all'angolo con via
g.b. trotti, la sede del 'msi', con la sua
gigantesca 'fiamma tricolore' a guardia di
quella porta quasi sempre sprangata. lo zio
disse che c'era già colui a cui, volendo,
bastasse anche solo attraversare la strada
per recarvisi, ma al momento aveva altro
a cui pensare, come in quelle note declamate
e sofferte, a una bimba a cui era toccato
un 'destino avverso', e il tutto rimaneva
perennemente chiuso per il timore di 'atti
vandalici', una scusa buona per coprire le
ennesime bugie, in un luogo dove i 'frequentatori'
già in passato avevano preferito olio di
ricino, manganelli e violenza, a dibattiti
e discussioni, più avanti abbandonati per
lasciare il posto a bombe e stragi.
le allora ferite recenti, di piazza fontana,
piazza della loggia, l'italicus, riecheggiavano
nelle sue parole... e altre purtroppo ancora
a venire, di cui però lo zio, di lì a poco
scivolato in un mondo parallelo e distante,
a lungo 'frequentato' prima del naturale
addio, forse per fortuna sua, non ebbe mai
a sapere.
Cremona non è più una città per bimbi e per
vecchi, ma non lo è mai stata per gli handicappati,
o 'disabili', termine usato, con tanta melliflua
e ipocrita benevolenza, per distinguerci
dai 'normodotati', ma sempre meglio di quando
etichettati con 'colpito da fato avverso'
u 'offeso da destino crudele', quindi non
so come sia ora.
volere e potere sono due verbi che mal si
accostano, quando di mezzo ci sono carrozzine
e acciottolati, e quando, sebbene 'bucati',
primeggiano i ricordi di una via stretta,
lunga, buia come la pece, utile solo per
il transito di chi vi si affaccia, nolente,
magari per gli avventori di quel baretto
di via dei mille che una volta ambiva a spacciarsi
per 'english pub', più volte sorpresi ad
usarla come cloaca per smaltire le continue
sbornie, o per chi ancora nutre reminiscenze
di orbace vestite, stantie e maleodoranti,
al pari di quel fetore.
Patrizia Della Vedova
13-14.08.2010
 
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