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15 Settembre, 2002
FEDERALISMO E GEOGRAFIA CRITICA IN ARCANGELO GHISLERI di MARCO PEZZONI
La forza di Arcangelo Ghisleri è la sua capacità di visione, la sua fiducia nella ragione e nella conoscenza. Una capacità di visione globale del mondo, geografica e politica, sociologica e storica.

FEDERALISMO E GEOGRAFIA CRITICA IN ARCANGELO GHISLERI di MARCO PEZZONI
La forza di Arcangelo Ghisleri è la sua capacità di visione, la sua fiducia nella ragione e nella conoscenza. Una capacità di visione globale del mondo, geografica e politica, sociologica e storica.
L'impressione è che in gran parte degli estimatori si sia sottovalutata la rilevanza dell'attività scientifica e geografica di Ghisleri, quasi fosse un lavoro quantitativamente imponente ma aggiuntivo.
Al contrario, la ricerca scientifica da un lato e l'attività didattica e divulgativa dall'altro sono l'espressione più diretta della sua concezione di geografia militante e della sua vocazione di organizzatore della cultura. Già alla fine dell'800 suoi testi di geografia furono adottati nelle scuole pubbliche; in particolare Ghisleri si specializzò nella redazione di Atlanti che meglio rispondevano ai criteri che preferiva: quello del metodo descrittivo e quello di una cartografia di sintesi che poco si prestavano ad un uso ideologico, sia da parte di chi esaltava la geografia coloniale, sia da parte di chi pensava ad una geografia giustificatrice di politiche di potenza e d'espansione territoriale sul suolo europeo.
Di più : la conoscenza geografica non solo entra a far parte della coscienza e della mente di Ghisleri, si integra con il suo repubblicanesimo democratico e con il suo federalismo, spesso ne illumina e orienta le valutazioni e le scelte politiche.

Tra Cattaneo e Salvemini
Mazziniano e, allo stesso tempo, vicino per sensibilità a Carlo Cattaneo per l'approccio positivistico ai problemi, Ghisleri sa ben distinguere tra analisi della realtà e dei processi nazionali e internazionali e istanze morali e ideali. Sta qui forse la causa profonda del suo "socialismo rientrato" (la convinzione che le buone istituzioni vengono prima delle conquiste sociali perchè solo una libertà piena può portare alla giustizia sociale), ma anche della sua intransigente pregiudiziale antimonarchica a favore della Repubblica come priorità assoluta, convinto com' è che solo nuove istituzioni nazionali e sovranazionali possano garantire conquiste e diritti civili, sociali e politici. Solo una riforma dello Stato in senso democratico e regionalista è anche la risposta più efficace alla "questione meridionale", come drammaticamente e lucidamente sollevata da Salvemini.
“ Non la tutela del Nord bisogna sostituire alla strapotenza immorale delle camorre amministrative” scrive Salvemini, ma la “ base solida di forze lavoratrici sulla quale crescano spontanei i partiti rinnovatori”.
E ancora “ Non basta che l’idea federalista venga affermata nelle pagine di un libro; bisogna che diventi programma politico dei partiti democratici. Il federalismo è utile economicamente alle masse del Sud, politicamente ai democratici del Nord, moralmente a tutta l’Italia”. ( Critica sociale, agosto-settembre 1900).
E' bene ricordare che Salvemini rilancia e rilegge la questione meridionale anche alla luce della lezione di Carlo Cattaneo e della sua concezione federalista, grazie proprio alle indicazioni di Ghisleri con il quale era entrato in contatto epistolare dopo il suo trasferimento a Lodi come insegnante.
Sin dalla fondazione a Cremona nel 1879 del Circolo Cattaneo, il giovane Ghisleri è già un convinto sostenitore di una Repubblica fondata sulla piena autonomia dei Comuni e delle Regioni, alle quali va attribuito il potere legislativo. Nella relazione tenuta all' VIII congresso nazionale del Partito repubblicano, svoltosi a Forlì nel 1903, Ghisleri contesta i provvedimenti speciali invocati dal Governo Giolitti per il Mezzogiorno e sostiene che la "legislazione speciale" non sarebbe stata utile "se non allorquando uscirà da assemblee legislative regionali, libere e sovrane per tutto quel che riguarda gli interessi locali, i quali non siano in contrasto con gli interessi generali della nazione".
In queste parole si vede chiaramente il tentativo di conciliare Cattaneo e Mazzini anche sul terreno del federalismo “interno” o sub-nazionale, ( quello che in un saggio del 1945 dedicato a Cattaneo, Norberto Bobbio chiamerà degli “Stati Uniti D’Italia”), visto che su quello sovranazionale ed europeo le posizioni dei due grandi coincidevano ampiamente già nelle impostazioni iniziali.
Per Ghisleri la lezione di Cattaneo come “teorica della libertà” comporta che il progetto repubblicano diventi riforma dello Stato e “ democrazia in azione”, che i partiti siano espressione della società e non di un ristretto ceto politico, che si arrivi al più presto al suffragio universale perché si realizzi davvero quello che lo stesso Ghisleri chiama “ padronanza popolare e libertà”.( cfr. capitolo 3° di “Democrazia in azione. Il progetto repubblicano da Ghisleri a Zuccarini”, 1996, di Marina Tesoro ).
Nell’intenso scambio epistolare tra Ghisleri e Salvemini, tra il 1900 e il 1902, emerge ad un certo punto in ambedue, uno repubblicano e l’altro socialista, la consapevolezza dell’inadeguatezza dei rispettivi partiti e la comune convinzione della necessità in Italia della nascita di un grande “ partito democratico”.
Quello che motiva Salvemini è l’evoluzione del suo pensiero verso il liberalsocialismo, poi ripreso e sviluppato dai suoi allievi Carlo Rosselli ed Ernesto Rossi e la polemica con Turati che metteva in secondo piano le riforme istituzionali e assegnava ai governi borghesi il compito di democratizzare il Paese.( capitolo 4° di “ Federalismo e Regionalismo”, Laterza 1994, di Zeffiro Ciuffoletti).
Quello che muove Ghisleri è ancora la lezione di Cattaneo a favore di una democrazia radicale, senza quella paura nutrita dai conservatori e dai moderati verso il popolo e nel coinvolgere pienamente il popolo ; ma anche la sua conoscenza del contesto internazionale non solo dal punto di vista geografico ma anche storico-politico. Dopo una viaggio negli Stati Uniti, scriverà che il federalismo aiuta lo sviluppo della democrazia e che sono “ beate le società che lo intesero e lo realizzarono”.

Colonialismo e politiche di potenza
In un'epoca attraversata da una crescente febbre coloniale e da disegni imperiali che proiettano sul mondo intero interessi economici, commerciali, militari Arcangelo Ghisleri rimane contrario alle ambizioni uscite dalla Conferenza di Berlino ( 1884-85) che sancisce le regole diplomatiche per la corsa alla spartizione dell'Africa fra le diverse potenze coloniali. In questi anni si assiste ad una moltiplicazione esponenziale di studi geografici sull'Africa e sul cuore verde dell'Africa in tutta Europa, in supporto alle ambizioni coloniali , ma anche per rispondere alle curiosità di opinioni pubbliche poco preparate a conoscere l'Altro che, in assenza di un confronto interculturale, comincia a essere definito a partire dai soli paradigmi dell'Occidente.
Verso il passaggio del secolo la geografia politica si trasforma per molti studiosi in geopolitica, una nuova disciplina
troppo spesso al servizio dei disegni imperiali e di potere, attenta alle relazioni internazionali degli Stati e alle loro ambizioni di oraganismi inclini a crescere territorialmente e ad espandersi economicamente. I fondatori di questa prospettiva sono il tedesco Ratzel (il più grande e innovativo) e lo svedese Rudolf Kjellen ( il più ideologico, inventore del termine "geopolitica", precursore dei vari fascismi europei).
Ghisleri non condivide questa impostazione, convinto com'è che la geografia sia una scienza che debba offrire strumenti conoscitivi, anche i più raffinati, all'intera società umana: alla politica spetta poi la responsabilità di utilizzarli nel modo migliore. Una costante del suo pensiero sarà sempre la distinzione tra scienza ( tutto ciò che è conoscenza e ricerca) e competenza ( la sfera delle attività e decisioni politiche).
Ghisleri viaggia su di un'altra lunghezza d'onda , ben consapevole della lezione mazziniana che riconosce ad ogni popolo legittimi diritti di liberazione nazionale e di autogoverno. Anzi, nel primo esilio svizzero, a cavallo del secolo,
si avvicina a esponenti del socialismo pacifista e umanitario operanti a Lugano, fra i quali Giuseppe Rensi e Angelo Crespi che, nel 1907, daranno vita alla rivista "Coenobium" famosa per aver fatta propria la formula "guerra alla guerra".
Rientrato in Italia, a Bergamo, inizia a lavorare a quella che lui stesso definisce " l'opera mia maggiore": l' Atlante d'Africa. E' un'opera che descrive non l'Africa degli africani ma quella degli europei, che accetta il dato di fatto coloniale al punto che l'Africa politica risulta definita nei suoi confini regionali in base al criterio della spartizione coloniale.
Come è possibile che un geografo anticolonialista costruisca un atlante del colonialismo ? A questa "apparente contraddizione" risponde il bel libro a cura di Emanuela Casti "Arcangelo Ghisleri e il suo clandestino amore", edito dalla Società geografica italiana. Dobbiamo tener conto che 25 anni dopo la Conferenza di Berlino il colonialismo si
è ormai imposto con la forza di un processo inarrestabile, come oggi potremmo leggere i processi di globalizzazione. Ghisleri anticolonialista continua a non condividere e a non giustificare le decisioni politiche che promuovono il colonialismo, ma capisce che non si può tornare indietro, che l'Africa sarà costretta ad attraversare l'esperienza dura e ingiusta del colonialismo per andare oltre. Così anche gli europei sono chiamati a conoscere meglio il mondo, per non aggiungere agli errori dovuti all'uso della forza e delle guerre coloniali, anche l'errore dei pregiudizi e di una cattiva conoscenza degli altri popoli e delle altre civiltà.
La geografia diventa dunque " una disciplina strategica in grado di creare una competenza politica" ( op. citata pag. 47). Anche se solitario, Ghisleri mantiene contatti con le maggiori scuole di pensiero europee : conosce bene la "geografia coloniale" francese e, ancora prima, la geografia umana del grande Vidal de la Blanche; dal tedesco Ratzel assume il concetto di antropogeografia, cioè del rapporto e delle influenze vicendevoli tra la Terra e l'uomo. Tra il 1880 e il 1891 Ratzel “ conia a breve distanza le definizioni di “geografia culturale” e di “geografia umana” ( vedi il libro “ La geografia culturale” di Paul Claval, De Agostini, 2002).
Ghisleri conosce e apprezza Elisèe Reclus, a cui del resto si ispira per il suo metodo naturale dell'apprendimento della geografia che consiste nello stimolare la fantasia e l'immaginazione dei ragazzi.
Nelle dispute internazionali dei geografi tra le posizioni deterministe e quelle possibiliste, si schiera con queste ultime perché non è la natura o l'ambiente a decidere in ultima istanza, ma nella storia umana e nella società che interagisce in modo profondo con il territorio c'è spesso la possibilità di un intervento consapevole da parte degli uomini.
Non solo sul terreno degli studi geografici, ma anche su quello dei processi e avvenimenti politici lo sguardo di Ghisleri spazia ben oltre la dimensione nazionale.

Per gli Stati Uniti d’Europa
A differenza dell'amico Filippo Turati, conosciuto in età giovanile quando frequentava il Liceo di Cremona dove
si era trasferito per studiare dal paese natale di Canzo, che, nella sua maturazione politica, si concentrerà sulle drammatiche condizioni interne all'Italia e sulla trasformazione del socialismo italiano in riformismo; più in
sintonia con l'altro amico giovanile Leonida Bissolati che, con Treves, diventerà uno dei massimi esperti di politica internazionale del Partito socialista italiano, Ghisleri monitorerà con attenzione il quadro europeo in continuo movimento, seguendo da un lato le convulsioni interne all'impero austro-ungarico e, dall'altro, il gioco delle alleanze
in grado di ridisegnare gli equilibri e gli assetti europei.
Pur di togliere l'Italia dall'isolamento internazionale, saranno in tanti all'inizio a guardare con simpatia alle mosse
della Germania, da storici come Chabod allo stesso Bissolati.
Ghisleri invece capisce subito non solo l'errore per l'Italia di schierarsi con la Triplice, ma il pericolo rappresentato
dall' ambizione paneuropea della Germania, arrivando alle stesse conclusioni del geopolitico inglese MacKinder che formula la teoria dell'Heartland ( che sarebbe il cuore dell'Eurasia) e la previsione del rischio Germania perché se controllerà l'Europa orientale, controllerà il mondo.
Il rischio dell'imperialismo tedesco e la necessità di fermarlo porterà Ghisleri su posizioni interventiste , forse, più del suo irredentismo. Basti pensare al suo celebre "manifesto agli italiani" dell'11 agosto 1914 che, accanto alla liberazione di Trento e Trieste, pone l'obiettivo strategico del rifacimento della carta d'Europa secondo il principio della federazione delle nazionalità liberate: " a guerra finita per la nuova alleanza dei popoli, per gli stati Uniti d'Europa".
Dunque battere la Germania significa innanzitutto tenere aperta per tutta l'Europa la possibilità di una evoluzione democratica e federalista e, intanto, far emergere quei "popoli senza storia" come era stato progettato ottanta anni prima da quegli esuli che, in rappresentanza di diverse nazionalità oppresse, diedero vita a Basilea con Mazzini alla Giovine Europa ( 15 aprile 1834)
Ghisleri si impegnerà dietro le quinte per il successo della "Conferenza delle nazionalità oppresse" che si concluderà con il " Patto di Roma" del maggio 1918, decisivo per il riconoscimento del diritto nazionale di cecoslovacchi e Jugoslavi. Così come si opporrà al nazionalismo che pretendeva l'annessione all'Italia della Dalmazia, preferendo invece perseguire l'accordo diplomatico con la neonata Jugoslavia sull' Istria.
Ma l'occhio di Ghisleri è attento anche ai nuovi equilibri internazionali che si stanno costruendo sulle macerie della prima guerra mondiale, ai negoziati di pace, ai tentativi di costituire una Società delle Nazioni che garantisca il rispetto del diritto internazionale, memore di quelle splendide frasi scritte da Cattaneo nel suo libro sull'insurrezione di Milano nel 1848: " avremo pace vera quando avremo gli Stati Uniti d'Europa".

Diritto internazionale e il tabù della sovranità degli Stati

Pur apprezzando le buone intenzioni del presidente statunitense, si rende conto della difficile applicabilità dei 14 punti avanzati da Woodrow Wilson alla Conferenza di Versailles e, chiamato a far parte di una Commissione incaricata di incontrare gli esperti di Wilson, porrà la questione della fragilità di un ordine internazionale fondato solo sugli Stati nazionali. Non diversamente dalle posizioni di un giovane economista, Luigi Einaudi, che negli scritti firmati con lo pseudonimo Junius analizza i limiti della nascente Società delle Nazioni: organismo che si arresta di fronte al tabù
della sovranità degli Stati nazionali, invece di orientarsi verso la promozione di un federalismo sovranazionale, unico assetto in grado di fermare in Europa il rigenerarsi di fattori di guerra.
Per ammissione dello stesso Altiero Spinelli, sarà anche la riflessione su quei problemi lasciati irrisolti o sviliti dalla pace di Versailles, a spingere nel 1941 alla stesura del Manifesto di Ventotene , dov'era confinato con Ernesto Rossi e Eugenio Colorni.
Purtroppo, prima di riprendere il giusto cammino democratico, l'Europa dovrà fare i conti con due guerre mondiali che alcuni storici vedono come un'unica e lunga guerra civile europea.

Forse non si sottolinea mai abbastanza quanto i nazionalismi, la logica ferrea della sovranità assoluta degli Stati, le ambizioni egemoniche, infine i totalitarismi abbiano sacrificato e calpestato anche in Europa diritti umani, diritti dei popoli e delle minoranze, libertà civili e politiche, autonomia delle scienze e dignità delle culture politiche; quanto poi sia costato conquistare o riconquistare la democrazia.
La geografia politica e, ancora di più, la geopolitica è stata coinvolta in questi tragici avvenimenti e nei suoi esiti. Considerata come un arma al servizio del potere, è stata utilizzata dall'Inghilterra per la propria libertà di commercio;
dalla Francia per sostenere il Fronte di colonizzazione e la propria missione civilizzatrice nei territori d'oltre mare; dagli Stati Uniti per legittimarsi come grande potenza navale (la blue water strategy di Alfred Thayer Mahan); dal nazismo per garantirsi il proprio "spazio vitale" fino ad arrivare al "potere attivo della razza" sullo spazio ( Johann Ulrich Folkers ); dai vari fascismi per sostituire "ordine" a "libertà", moderne forme autocratiche alla democrazia popolare ( Rudolf Kjellen).
Anche l'opera di Friederich Ratzel (1844-1904), padre fondatore della moderna geografia politica e della geopolitica, è stata reinterpretata e manipolata nelle parti che risultano più funzionali ai disegni del nazismo, il concetto di "spazio vitale", prima di tutto.
Ecco perché Yves Lacoste, fondatore nel 1976 della rivista geografica francese Herodote, ha affermato che la geopolitica che oggi mira alla comprensione del sottosviluppo e delle disuguaglianze Nord-Sud, al riscatto dei popoli e delle minoranze senza storia, deve assai più a geografi controcorrente come Reclùs che alla " concezione Hitleriana" che ha promosso la geopolitica a scienza strategica di regime.
Possiamo pensare ad Arcangelo Ghisleri in Italia come ad Elisèe Reclùs (1830-1905) in Francia, geografo libero e libertario.

La geografia libertaria di Reclùs
Reclùs, in stretto rapporto con i comunardi di Parigi, dopo i fatti del 1871 è costretto a rifugiarsi in Belgio, dove pubblica 6 volumi de " L'homme e la Terre" e ben 19 volumi della Nouvelle Geographie Universelle. Per lui la geografia è lo studio della Terra come casa del genere umano. Libero dal nazionalismo e da ogni pregiudizio razziale, credeva fermamente che le risorse del mondo dovessero essere utilizzate a beneficio di tutti i popoli: per raggiungere una giustizia sociale su scala planetaria era dunque necessario riconfigurare la superficie politica del mondo.
Non molto diversamente si muove in Italia e poi in Svizzera, dove si rifugerà due volte ( circa 6 anni per volta) Arcangelo Ghisleri.
Tra la geografia tedesca che è geografia dello Stato o degli Stati, e la geografia francese che è geografia delle Nazioni, Ghisleri è sicuramente per la scuola francese. Ma il concetto di nazione da cui parte è di stretta derivazione cattaneana. Nessuna concessione a micro o macro-nazionalismi, dunque. Riconoscimento fortissimo del primato della società civile rispetto a orientamenti di partiti o a ragioni di Stato. Preferenza e precedenza per la sovranità popolare rispetto alla sovranita' statuale: la sovranità popolare può infatti articolarsi su più livelli istituzionali , anche sovranazionali.
Riconoscimento del legame territoriale per ogni comunità linguistica, civile, culturale e religiosa senza sacralizzare i confini che sono naturali, idrografici, e insieme storici . E, soprattutto, senza giustificare l'identificazione di ogni etnia con un proprio Stato. E' il caso dei Balcani che Ghisleri studiò più volte, sostenedo sempre le ragioni della convivenza multienica e l'organizzazione federale del territorio.
Presentando nel 2002 una edizione completamente rinnovata del suo " Manuale di Geopolitica", Carlo Jean ha scritto: "La geopolitica, in quanto disciplina, ha subito una notevole evoluzione concettuale negli anni Novanta: si sta affermando la cosiddetta "geopolitica critica", che esalta gli aspetti soggettivi e contingenti del ragionamento geopolitico, là dove la geopolitica del passato si incentrava su un approccio deterministico o possibilistico /probabilistico".

Contro fascismi e razzismi: per una democrazia su scala internazionale
Se così è, Ghisleri è un antesignano della geopolitica critica : ne sono esempi la sua polemica con Giovanni Bovio, contro il razzismo e il preteso diritto coloniale delle " razze superiori" a esportare forme di civiltà, questione che apre
il capitolo attualissimo del rapporto tra Occidente e culture extraeuropee a favore di un mondo cosmopolitico, multipolare e policentrico, non asservito ad un pensiero unico.
La sua opposizione all'avventura coloniale in Libia; la sua opposizione al fascismo e alla cattiva geografia del fascismo che la riteneva poco più che strumento di propaganda, invece che di analisi e di conoscenza; la previsione del
fallimento dell' avventurismo militare di Mussolini, incapace di muoversi in un quadro internazionale complesso e di valutare rapporti di forza , potenzialità economiche e militari proprie e altrui.
Sempre la rivista Herodote ha spiegato l'eclisse della geografia politica dopo la seconda guerra mondiale con il suo coinvolgimento in progetti politici aberranti: colonialismo, fascismi, nazismo.
Dopo la decolonizzazione e la guerra fredda, durante la quale anche l'URSS ha elaborato proprie posizioni e dottrine geostrategiche subordinate a logiche di potenza e ad aree di influenza a sovranità limitata, la fine del bipolarismo e la globalizzazione hanno riportato in primo piano le esigenze di una nuova geopolitica , meno predittiva e più capace di ipotesi e descrizioni di scenario
Il primo scenario che siamo chiamati a costruire è quella di un mondo multipolare, attraverso il rafforzamento delle istituzioni internazionali da riformare in senso sempre più democratico, cominciando dall'ONU. Il secondo scenario è quello del governo politico della globalizzazione che sta mettendo in crisi la sovranità degli Stati nazionali : un recupero di sovranità è possibile solo se si rilancia per l'Europa e per altre aree del mondo progetti di federazione vera .
Come non vedere che anche in queste grandi prospettive siamo tutti un po’ debitori ad Arcangelo Ghisleri e alla sua visione . Allora perché non riconoscerlo come uno dei Padri fondatori della Repubblica e della democrazia italiana,
ma anche come una coraggiosa e intransigente voce profetica che dal passato ci sollecita alla costruzione di una democrazia su scala internazionale, rispettosa delle differenze e dei diritti della persona, a cominciare dalle minoranze e dai più deboli.

Marco Pezzoni

cr 19 sett 2010

 


       



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