Sala del Consiglio Comunale, 27 novembre 2004
Mario Coppetti, presidente dell’ANPI cremonese, presentando il percorso
umano e l’opera di don Luisito Bianchi, suggerisce che “La messa dell’uomo
disarmato. Romanzo sulla Resistenza” dovrebbe essere letto e commentato
nelle scuole. Osiamo aggiungere: proiettando l’immagine dell’abbraccio tra
don Luisito e il sindaco Gian Carlo Corada. Un abbraccio che è metafora, da
leggere alla luce delle parole di Don Luisito con le quali salutava la città di
Cremona, attraverso i suoi rappresentanti: “voi che resistete”. Resistenza:
raramente questa parola, questa “idea” ci viene posta con una così grande
potenza e valenza umana, al di sopra delle ideologie, anni luce lontana dai
calcoli della politica. Resistenza attiva: un cammino verso Giustizia e
Pace, credendole e volendole “cose pensabili”.
Quante volte don Luisito, nel suo breve intervento, avrà pronunciato le
parole “il sangue gratuitamente versato”? Ci ricordava il sangue
gratuitamente versato dei combattenti antifascisti, ci ricordava il sangue
gratuitamente versato di Cristo. Gratuitamente: nulla chiedendo in cambio.
Gratuitamente perché - Dio non voglia - a nulla è valso? Don Luisito Bianchi
ha fatto la sua scelta: essere un prete “degno del sangue gratuitamente
versato”. Perché il suo Signore oggi e ogni giorno possa rispondergli: “ne
valeva la pena”. A chi lo ringrazia per questa esemplare vita e per le sue
opere, risponde con Matteo (10, 8): “Gratuitamente avete ricevuto,
gratuitamente date”. E lui ha dato e continua a dare. Prete - operaio, prete -
scrittore, uomo. Resistente.
M.T.
Sull’attività di don Luisito Bianchi, sui libri da lui scritti è
possibile avere notizie precise sul sito: www.viboldone.it (canale:
associazione).
Qui vogliamo integralmente citare la poesia-preghiera che egli stesso ha
letto durante questo incontro - dal volume Sfilacciature di fabbrica
stampato nella Scuola Tipografica S. Benedetto di Viboldone, S. Giuliano
Milanese, 2002, pp. 58-60 - scritta (nei ritagli delle ore lavorative) durante
il periodo in cui lavorava come operaio turnista addetto alla lavorazione dell’ossido
di titanio, alla Montecatini di Spinetta Marengo, «per onestà -
spiegava al vescovo nel momento di formulargli la domanda “di trasferimento”
- dopo tanti anni che ho parlato del lavoro e della sua théologie…».
Poesie o preghiere: «Sono “preghiere”, se pregare significa essere
all’ascolto, nel buio della fede, di una Parola che dice già in sé
consolazione e salvezza; se pregare è anche esprimere la sofferenza d’una
frattura fra quello che potrebbe essere e quello che è… Soprattutto se “pregare”
è sentirsi chiesa che ha trasmesso e continuamente trasmette questa Parola e la
garantisce, e quindi è responsabile della credibilità della trasmissione.»
XI
Signore, i miei pori oggi
si sono dilatati all’improvviso
e m’hanno inzuppato anche la tuta.
È cominciato il caldo nel grande reparto,
che ci seguirà fino a ottobre e oltre,
oggi festa del tuo servo Marco
e giorno di penitenza
per tanto sangue risucchiato
dalla spirale del potere.
Sono venuto al lavoro per strade deserte
con qualche bandiera rassegnata
sulle banche e sulle caserme.
Non è giorno di gioia oggi
né per nostro fratello Marco
che scappò dalle brame del sinedrio
lasciando come segno un lenzuolo afflosciato
né per i canti di quei giorni
che adesso accenno con voce triste:
fischia il vento urla la bufera
partigiano portami via…
L’abbiamo di nuovo catturato
nostro fratello Marco
e gli abbiamo messo adosso
lenzuoli di porpora
come si addice a un cortigiano;
le nostre gole si sono chiuse
sui canti della liberazione
per paura che a quel richiamo
i morti rispondessero
e riscendessero dalle montagne
affamati ai nostri supermercati,
pidocchiosi per le nostre toilettes di lusso.
Non ci rimane più nulla di quei giorni,
tutto è in ordine
allineato come queste tine
dal ventre gravido di benessere spappolato
da tutti atteso e adorato.
Signore, ho le gambe senz’anima
che si piegano come quelle di un cavallo bolso
ma dobbiamo far fruttificare
la terra irrorata da sangue dei giusti
e allinearci in ordine
in memoria di nostro fratello Marco
e dei nostri fratelli morti in questo giorno.
Non si sente fischiare il vento
nei felpati postriboli del potere
né Paolo osa più rifiutare Marco
per non spezzare l’unità della tua chiesa.
I ribelli per amore
non hanno né imprimatur né indulgenze
sulla loro preghiera
e i fazzoletti rossi usi alla bufera
sono custoditi pieghettati
nelle capaci tasche dell’opposizione.
Vedi Signore, nel grande reparto
la follia è sempre in agguato
se ancora posso udire
nel torturante vociferare dei motori
il canto d’amore che scende dalle montagne
e vedere nostro fratello Marco
aggirarsi senza lenzuolo
fra il ginepraio delle tine
raccogliendo il canto dell’amore ribelle
in faciem Pauli.
Folle davvero io sono
nel vivere oggi saltellando sulle scale
come fossero picchi di montagne
e gettare il lenzuolo
che copre il mio corpo sudato
in pasto alle tarme
che non hanno posto nel tesoro
del Regno dei cieli.
Doppiamente folle o Signore
nello spiegare il mio canto
col fiato che mi rimane di questa lunga giornata
per credere ostinatamente
che nel deserto nasce la primavera
e al di là della notte
il sole s’annuncia.
25 aprile 1969, 2° turno