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15 Settembre, 2002
«Che Guevara visto da un cristiano»
Intervista di ADISTA a Giulio Girardi sul suo ultimo libro

ROMA-ADISTA. La contraddizione, all'apparenza, sembrerebbe enorme: un teologo cristiano che scrive un libro su un ateo materialista, un sacerdote sostenitore della nonviolenza attiva che si misura con la vita di un guerrigliero marxista. Eppure nell'ultimo libro di Giulio Girardi, "Che Guevara visto da un cristiano" (Sperling & Kupfner 2005, pp.306, euro 11,50) di queste contraddizioni non c'è traccia: le due visioni della vita e del mondo, quella del credente e quella del rivoluzionario, non solo non emergono come antitetiche, ma il teologo, nel corso della sua indagine, trova moltissimi punti di contatto tra l'etica laica praticata da Che Guevara ed il progetto di amore liberatore contenuto nel messaggio evangelico. Ed è proprio alla luce del messaggio di Gesù che Girardi ritiene la testimonianza di un militante rivoluzionario laico come il Che un imprescindibile punto di riferimento per ciascun cristiano che voglia vivere con radicale coerenza l'amore evangelico: non un amore astratto, autoreferenziale, ma un amore trasformatore, che sappia aprirsi al mondo (un amore che il Che avrebbe definito "internazionalista"), e comprendere e fare proprie le istanze di quella larga parte della popolazione mondiale che vive oppressa ed esclusa.
Segno di questa sintesi possibile (ed auspicabile) tra marxismo "umanista" e professione militante di fede è Camillo Torres, prete guerrigliero morto combattendo in Colombia nel 1966, cui Girardi dedica, non a caso, l'ultima parte del suo libro. Non si tratta (Girardi lo chiarisce più volte all'interno del volume), di raccontare miti del passato quasi si trattasse di fare "archeologia rivoluzionaria", ma, come scrive il teologo, di cogliere, nella biografia di questi rivoluzionari, "germi di un futuro ancora in gestazione".
Di seguito l'intervista che ci ha rilasciato Giulio Girardi su alcuni dei contenuti del suo libro. (Valerio Gigante)

Perché hai scritto questo libro?
Credo che un buon punto di partenza per rispondere sia l'analisi del titolo del libro, frutto di un fecondo scambio di idee con Gianni Minà e Antonella Bonamici: il riferimento all'autore come "cristiano" non vuol essere un'appropriazione del guerrigliero eroico da parte del cristianesimo. Quella del Che è in realtà una dedizione eroica, ma laica. La ricostruzione della sua figura di cui il libro vuol essere un timido tentativo, intende appunto mostrare la possibilità e l'esisten-za di un'etica laica. Questo è forse difficile da ammettere per un cristiano abituato a ritenere che un'etica autentica non sia possibile senza un fondamento religioso. Difficile da ammettere particolarmente all'epoca di papa Ratzinger, che ritorna con insistenza - per esempio nel suo dialogo con i giovani - sullo stretto rapporto tra etica e religione cristiana; così nessuno spazio rimane aperto alla generosità laica. Né alle religioni non cristiane, con le quali pure si dice di voler tenere aperto il dialogo.
Qual è allora la caratteristica di questa "etica laica" del Che che ti ha maggiormente colpito?
La prima sorpresa per un cristiano che accosti l'etica rivoluzionaria del Che è, appunto, che egli non è cristiano. La seconda sorpresa è che l'ispirazione profonda della sua vita, della sua morte, della sua militanza, del suo progetto politico, del suo marxismo, è l'amore storicamente efficace. È, in altre parole, una solidarietà dagli orizzonti mondiali. A questa conclusione sono pervenuto sia riflettendo sull'impressio-nante coerenza che caratterizza la vita e il pensiero del Che, sia cercando di identificare il filo conduttore della mia ricerca. Mi ha confermato in questa convinzione un colloquio appassionante che ho avuto con Aleidita, figlia del Che. Mi ha parlato di un dibattito, cui aveva partecipato, tra diversi amici di suo padre, che si domandavano quale fosse il carattere fondamentale della sua personalità. Aleidita ricordava di essere intervenuta affermando con sicurezza: "Il carattere fondamentale del Che, quello che unifica tutta la sua vita, è l'amore". Aleidita poi richiamava la mia attenzione, con evidente commozione, su un aspetto inatteso della sua personalità di guerrigliero, quello della tenerezza. In realtà, il tratto fondamentale della personalità del Che è proprio la tenerezza, che egli non perde mai, per sua madre e suo padre, per la zia Beatriz, per le mogli Hilda Gadea e Aleida Marsch, per i figli ed anche per i tanti compagni e compagne di lotta. Nel fragore della battaglia, egli trova il tempo e la fedeltà per scrivere loro lettere affettuose.
In questo senso, un'espressione particolarmente eloquente di questa doppia dimensione dell'amore, si trova nel famoso testamento lasciato dal Che ai suoi figli: "Soprattutto siate capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo".

[L’intervista completa su ADISTA - link in fondo pagina]

 


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