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15 Settembre, 2002
Una ulteriore riflessione sul sapere competente
Maurizio Tiriticco risponde ad un messaggio di Tullio De Mauro

Tullio De Mauro ha scritto:

Caro Maurizio!
Diovoglia che tu abbia ragione! Penso soprattutto alla tua conclusione. Io, per ora, mi sento sempre più risucchiato in battaglie un po' retro rispetto alle alte atmosfere epistemiche: quel 5% di adulte/i che non distinguono una lettera da un'altra, una cifra da un'altra; quel 33 o 35% che lettere e cifre una per una 'e ssape, ma nun 'e ssape accucchià; quell'altro 33% che le "accocchia", ma solo se si tratta di frasi ed operazioni elementari; e quel peso schiacciante che tutti questi percento esercitano sui ragazzini a scuola e sulla nostra vita comune in ogni suo aspetto. Ma è giusto dividersi i compiti. Un grato abbraccio,
Tullio De Mauro

E Maurizio risponde

Caro Tullio,
prima di tutto ti ringrazio di avere apprezzato il mio ultimo Per un sapere competente. In secondo luogo, sappi che le tue battaglie non sono affatto un po’ retro rispetto ad altre e che, in effetti, non viaggiano affatto in atmosfere epistemiche. Sappiamo tutti quanto ci hai aiutato a comprendere come e perché la lingua non sia semplicemente un veicolo per comunicare ma molto molto di più! Ci hai insegnato che la padronanza linguistica è la porta per altre padronanze, intellettuali, professionali, civili in primo luogo. Tutte le ricerche che da alcuni decenni ormai si conducono – ricordi Basil Bernstein, anni Sessanta – sul rapporto che corre tra lingua e classe sociale ci hanno aiutato a ritrovare i nessi tra i vari “percento” e le reali condizioni culturali di un Paese, del suo livello di crescita e delle sue aspettative.

Oggi la frontiera delle competenze, o meglio di un sapere competente, ci stimola e ci impegna sempre di più, perché investe la scuola… pardon! quello che oggi in un Paese avanzato e in una società complessa sarebbe meglio definire come Sistema Educativo: il termine scuola sa di antico e richiama un luogo circoscritto dove si fanno “cose” per bambini che non riguardano gli adulti. Oggi è – o deve essere – tutt’altra cosa!

E l’antico è ormai lontano. Dalla Lettera a una professoressa ad oggi sono passati 40 anni. Ne abbiamo fatta di strada, e devo darti atto che con la denuncia di Don Milani si sono sempre intrecciate le tue ricerche un po’ retro, terra terra se vuoi, ma è dalla terra che… nascono i fiori! Erano anche gli anni in cui Carlo Salinari ci regalava la Storia popolare della letteratura italiana (era il ’62). Due vicende, da un lato la denuncia di una scuola incapace di promuovere cultura e sviluppo sociale, dall’altro la ricerca di una produzione non-colta ma ricca di cultura “altra” da recuperare e valorizzare perché, quando una classe è veramente classe, produce sempre cultura! Di qui una constatazione: quale profonda differenza tra l’analfabetismo “colto” del nostro contadiname di un tempo e quell’analfabetismo incolto – di andata o di ritorno non importa – che oggi, in una società “senza classi” ci affligge con tutta la sua pericolosità, ma che in quegli anni Sessanta del Novecento cominciava già a far capolino. La nostra scuola media unica del ’62, dopo i primi insuccessi così duramente denunciati da Don MIlani, ha avuto il grande merito – e tu ce lo ricordi sempre – di alfabetizzare gli italiani, forse a livello strumentale, e tutto ciò lungo gli anni del boom socioeconomico all’insegna di una società migliore e di cittadini più eguali. Ma poi? La scuola dell’obbligo, laddove avrebbe dovuto crescere e far crescere, si è come avvitata su se stessa a legittimare ancora una volta, a suon di pochi ottimi e di tanti sufficienti, quella divisione tra dotati e non dotati che pensavamo di avere ormai superato per sempre.

Del resto, è stato un fenomeno che ha caratterizzato un po’ tutte le scuole obbligatorie dei Paesi ad alto sviluppo. Ne ha sofferto la competenza linguistica e, con questa, la competenza civile. Oggi, non ci resta che constatare con profonda amarezza che i “percento” negativi, italiani e non solo, hanno tutti fruito della scuola obbligatoria. Le statistiche sono quelle che sono, e i “percento” negativi diventano sempre più numerosi. Dalla ricerca Ials-Sials degli anni Novanta, pubblicata nel 2000, alla ricerca All, pubblicata lo scorso anno, ambedue curate con intelligenza e pazienza da Vittoria Gallina, i “percento” negativi sono saliti di qualche punto: e in un solo quinquennio! I dati sono quelli che mi ricordi: 5 + 33, o 35, + 33 = 71, o 73!!! Insomma, ci siamo! Il 70 per cento dei nostri concittadini ha enormi difficoltà nella competenza linguistica e in quella matematica o, se vuoi, nel semplice matematizzare. E con quale acutezza tu e Bernardini avete dimostrato la continuità e la contiguità tra il Contare e il raccontare. Eppure, non penso né alla competenza comunicativa in senso lato, che include il matematizzare e i linguaggi misti e non verbali né alla competenza che investe anche una lingua comunitaria. Anche se ormai alcuni Paesi, se non erro i Paesi Bassi, quelli scandinavi et al, si muovono tutti verso una sorta di “bilinguismo appreso”, tanto è viva la necessità di una comunicazione ad ampio raggio. Penso soltanto a quel minimo vitale che dovrebbe permettere a quel 70 per cento di concittadini di sapersi misurare giorno dopo giorno con ciò che avviene attorno a noi, o meglio con ciò che i decisori politici, palesi e occulti, giorno dopo giorno fanno e disfanno, nonostante operino in questa nostra parte del mondo in cui la democrazia dovrebbe essere più che matura e consolidata. Un sistema sociale che diffonde ignoranza è un attentato alla democrazia! Ed ora mi domando: i dati rilevati denunciano una linea di tendenza irreversibile? Mi auguro di no! Ma tra lo sperare e il fare corre un abisso! E qui c’è l’azione che il nostro Sistema Educativo deve avviare, ma subito, e con grande coraggio e lungimiranza! Qui c’è anche il tuo stimolo di studioso, di linguista, di uomo veramente politico… tra virgolette, c’è l’azione quotidiana di un ispettore in quiescenza e quella di tanti dirigenti e docenti che giorno dopo giorno hanno a che fare con i mille problemi dei ragazzi di oggi!

Ma non solo dei ragazzi, perché la via dell’omologazione ai disvalori più tristi e perversi di questa società avanzata e complessa… chiamiamola anche della conoscenza, se vuoi – con tutta l’ironia che in certi casi sembra più che opportuna – comincia nelle più tenere età. L’inchiesta/denuncia della Marida Lombardo Pijola, Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa, è semplicemente angosciante. Innocenti – si fa per dire – discoteche pomeridiane, alle sette si chiude, dirette da manager sedicenni o poco più, sollecitano spudoratamente preadolescenti a “giocare” alle veline e ai Costantini con tutte le conseguenze che puoi immaginare, nefaste per lo sviluppo distorto della coscienza di sé, del proprio corpo, della sessualità, della gestione delle emozioni. Questa società del welfare alla rovescia, del permissivismo senza freni “educa” i nostri piccoli al culto dei suoi disvalori. E – quel che è più preoccupante – i genitori sono del tutto assenti! Le famiglie non ci sono… e non per colpa dei Dico che premono, ma di una crisi che ha radici profonde in una società sempre più dis-educata!!!

Comprenderai, caro Tullio, quale compito immane spetta alle nostre istituzioni scolastiche, per di più autonome! Che non dovrebbero essere sole! Tanti tanti anni fa le prime scuolette dei nostri piccoli comuni, pur anguste e gelide, insegnavano a leggere e scrivere e far di conto a bambini che ascoltavano e parlavano solo in dialetto e che con i numeri non avevano alcuna dimestichezza. Erano battaglie impegnative, ma i nostri maestri – non c’erano solo le maestrine con la penna rossa – con grande sacrificio le vinsero e l’analfabetismo cominciò ad arretrare decisamente! Ci si batteva soltanto contro l’insipienza di tanti genitori contadini che perdevano braccia da lavoro e non comprendevano il valore di quella istruzione elementare che avrebbe fatto un Paese all’altezza dei tempi. Ma cento anni dopo quegli stessi contadini, soprattutto del Sud, hanno fatto sacrifici enormi per far studiare i loro figli ed il riscatto sociale ha visto tanti di loro diventare maestri e professori, emigrare al Nord per poi tornare a portare ai loro paesi nuovi saperi, nuove professionalità, nuovi valori.

La “scuola” aveva vinto! Oggi tutto è cambiato! E’ molto più difficile oggi confrontarsi con genitori ostinatamente assenti, convinti che i loro figli, scuola o non scuola, imparano lo stesso quello che serve. Tutti imparano a leggere, scrivere e far di conto! Basta schiacciare pulsanti di cellulari e tasti di computer! A giudizio di molti la scuola è un surplus inutile! Di qui quel brodo pericoloso da cui nascono disaffezione, insofferenza, bullismo. E su questi disagi profondi sono i pedofili che vanno a nozze!

Oggi il Sistema educativo di istruzione e formazione (in corsivo tre parole importanti, l’impegno che abbiamo assunto con la nostra autonomia verso l’intero Paese e tutti i suoi cittadini dalla nascita fino ai 16 anni e ai 18 e per tutta la vita) deve farsi carico di un compito immane, in primo luogo contro un assetto sociale che ci è nemico, che è nemico dei nostri bambini, che alletta, illude, omologa ai disvalori dei grandi fratelli e delle spose perfette. Mediaset e la Rai vanno a braccetto!

Oggi un insegnante è prima di tutto un soldato in prima linea! Se non ha consapevolezza del compito che gli viene affidato, o soffre o scoppia – il bornout! E quelli che sono consapevoli spesso sono soli! Avvertono l’indifferenza, la sufficienza, spesso l’ostilità dei genitori, avvertono che il loro ruolo non ha un riconoscimento sociale, che l’Amministrazione è lontana e che dell’autonomia si serve come alibi per non assumere impegni di grande respiro! Può sembrare un paradosso, ma da quando è stato varato il Regolamento sull’autonomia il numero delle norme è venuto sempre più aumentando invece di diminuire… per non dire di quella macchina infernale di decreti e decretini, tutti tra loro interconnessi, con cui lo tsunami della Moratti ha mandato in tilt scuole e insegnanti!

Il Ministero PI dovrebbe essere un’altra cosa dopo la riforma costituzionale del 2001, ma di fatto non lo è ancora! Certamente non è più l’amministratore occhiuto e pervasivo, ma per certi versi rassicurante, di un tempo; ma non è neanche quella istituzione della Repubblica che ha il compito della governance intelligente e lungimirante dell’intero Sistema educativo. La governance è parola grossa che richiede criteri tutti diversi da quel government di cui Cavour fu a suo tempo acuto maestro… quando gli Italiani bene o male li si doveva pur fare. A mio avviso, ci troviamo in una sorta di equilibrio imperfetto tra due antitetici modelli di governare l’intera cosa pubblica. Ed in tale situazione a soffrire di più sono la pubblica amministrazione e i servizi, dalla sanità ai trasporti alla previdenza, alla scuola soprattutto.

In tale scenario così incerto non sarà facile giungere a definire centralmente quelle competenze che poi sarà compito delle istituzioni scolastiche accertare e certificare. Non sarà facile perché quel sapere competente che i nostri cittadini dovrebbero acquisire presuppone una cultura diversa, un sapere diverso proprio da parte di chi deve assumere decisioni in merito. E’ necessario che ci sia una piena consapevolezza che ai tanti saperi cosiddetti disinteressati, che hanno giustificato la frammentazione gerarchica dei percorsi scolastici, bisogna opporre quella unitarietà del sapere che solo in seconda istanza si articola nella pluralità delle competenze.

La pratica del cacciavite è stata più che giustificata e l’ho sempre sollecitata per evitare alle istituzioni scolastiche nuovi scossoni dopo il quinquennio morattiano. Ma ora è il tempo delle scelte, di progettare il nuovo: ce lo chiede l’Europa, ma anche e soprattutto i nostri adolescenti sempre più allo sbando. Sul sapere competente la nostra amministrazione si deve esprimere, però non certamente con le indicazioni della circolare 28, che a quadrimestre avanzato impone agli insegnanti della scuola media di certificare competenze impasticciate e ripetitive con un modello di diploma che i partner europei non esiterebbero a giudicare risibile. Con tale scelta, dirigenti e insegnanti sono nel pallone e… se la caveranno solo aggiogando i buoi… al carro del padrone!

Tutto ciò è molto triste perché non possiamo limitarci a… sperare che ce la caviamo! E’ troppo poco! Ed è dannoso! E tu, Tullio con le tue battaglie un po’ retro ci sei assolutamente necessario!

Roma, 2 maggio 2007

Maurizio Tiriticco

 


       



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