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15 Settembre, 2002
Ma Dante, con le competenze, che ci azzecca?
Gemma Donati scrive, Maurizio Tiriticco risponde

Gentile Ispettore, ho seguito con molta attenzione la Sua corrispondenza con il Prof. Ranocchietti, il quale Le rappresenta, sempre con molta puntualità, i numerosi interrogativi a cui gli insegnanti del biennio dovranno rispondere a partire dal prossimo settembre, quando questo diventerà obbligatorio. Ho letto le Sue risposte, e ho fatto di più: ho letto il documento della commissione Allulli e i documenti europei che riguardano le competenze che i giovani dovranno acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria. So che dovranno essere competenze largamente comuni – non a caso si tratta di competenze per l’esercizio della cittadinanza attiva – al fine di favorire la circolazione dei giovani e dei titoli di studio in tutti i Paesi dell’Unione.

Comprendo anche che una puntuale conoscenza della lingua greca, quella che sta tanto a cuore al collega Ranocchietti, non sia di per sé determinante dopo i primi due anni del ginnasio ai fini dell’acquisizione delle competenze linguistico-comunicative. Se lo fosse, dovremmo pensare che tutti i “competenti linguistici” del pianeta dovrebbero necessariamente essere passati attraverso lo studio del greco antico! E così non è!

Ma il mio problema è un altro. Pensando alle competenze linguistiche di un quarto livello europeo, quelle che si acquisiscono con il diploma a 19 anni di età (se ho letto bene il documento relativo agli otto livelli delle qualifiche europee), come la mettiamo con Dante Alighieri? O meglio, come la mettiamo con l’insegnamento triennale della nostra letteratura? E, se vuole, con quello di tutte le discipline che servono più a far maturare pensieri e riflessioni che non sempre, a mio avviso, sono riducibili o traducibili – direbbe Lei – in competenze, in precisi e certificabili savoir faire. So benissimo che a questo riguardo c’è una carenza dei nostri esami di Stato conclusivi dell’istruzione di secondo grado. Lei stesso ci ricorda sempre che, mentre la legge 425 del ’97 recita chiaramente che, alla conclusione dell’esame, la commissione è tenuta a certificare le competenze, le conoscenze e le capacità acquisite dal candidato, in effetti i diplomi che rilasciamo non certificano un bel nulla al di là dei punteggi ottenuti. Il che certamente non rende leggibili a livello europeo i diplomi da noi rilasciati. Ma, quando il Ministero si deciderà ad indicarci queste benedette competenze, che ne sarà di Dante? Come direbbe qualcuno: ci azzecca o non ci azzecca Dante con le competenze linguistico-comunicative? E’ un nodo che va sciolto! O forse al Ministero non hanno idee chiare in merito, ed è per questa ragione che il diploma che rilasciamo è ancora sperimentale e provvisorio, come del resto tante altre cose della nostra scuola?

Le invio i più cordiali saluti,

Gemma Donati

PS – Ha visto come sono brava? Insegno matematica in un liceo scientifico, ma so benissimo che quel c’azzecca con l’apostrofo, di cui è piena la nostra stampa, è un grossolano errore! Non so se il Dante studiato al liceo mi ha aiutato a scrivere… e a pensare soprattutto! Ma – repetita iuvant – questo Dante ci azzecca o no con le competenze? GD

***

Gentile Professoressa,

prima di tutto va chiarito che le competenze non sono un’invenzione del demonio, escogitata per mettere in difficoltà insegnanti e studenti. In secondo luogo va detto che la svolta verso le competenze – se vogliamo metterla in questi termini – costituisce un punto di attenzione per certi versi nuovo che la scuola – e non solo la nostra – deve far proprio, oggi, in una società che è così diversa da quella di appena alcuni anni fa.

In qualche parte ho scritto che il nostro sistema nazionale di istruzione ha conosciuto due grandi fasi: la prima, dall’Unità ad oggi, centrata sui Programmi ministeriali, assolutamente prescrittivi, e fondata su precisi contenuti disciplinari: la seconda, dagli anni Settanta del secolo scorso fino alla fine degli anni Novanta, centrata sulla programmazione curricolare e sugli obietti di apprendimento, in modo che si potesse rispondere alle esigenze della cosiddetta scuola di massa. Dagli anni Novanta, con il varo dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, con le modifiche apportate al Titolo V della Costituzione e, soprattutto, con i profondi cambiamenti verificatisi nel mondo delle professioni, della organizzazione del lavoro, anche per l’apporto della ricerca scientifica e delle applicazioni tecnologiche, l’attenzione si è spostata sulle competenze. E si tratta di un fenomeno che non riguarda solo il nostro Paese, ma tutti quelli dell’Unione europea e delle società ad alto sviluppo.

Ovviamente, la competenza non riguarda il saper fare tout court, ma “quel” saper fare ad ampio spettro che è strettamente necessario oggi per inserirsi produttivamente nel variegato mondo del lavoro, delle relazioni e delle responsabilità sociali, che è ben diverso da quello di qualche decennio fa. Sotto questo profilo, la competenza è ciò che invera le conoscenze, delle quali costituisce un valore aggiunto, quell’imprinting – potremmo dire – che garantisce al soggetto che apprende e ai cittadini tutti la misura dell’apporto sociale che ciascuno di noi deve essere in grado di offrire in termini di saperi e di responsabilità.

Nei documenti che ha letti avrà constatato che di competenze si danno due accezioni: vi sono competenze che riguardano la cittadinanza cosiddetta attiva, cioè il sapersi inserire positivamente e produttivamente in una società che, se offre sempre maggiori garanzie democratiche, esige anche apporti individuali di maggior peso; e vi sono competenze che riguardano l’esercizio della professionalità, ad ogni livello di responsabilità.

Alla fine dell’obbligo di istruzione, ciò che dobbiamo chiedere ai nostri giovani è di avere acquisito le competenze cosiddette di base, relative alla literacy, alla numeracy, al problem solving, e quelle relative, appunto, alla cittadinanza attiva. Ed a questi livelli Dante, come il greco antico, ci può interessare – nessuno intende negarne il valore – anche se non sono strettamente necessari alle finalità su indicate.

Ma dopo le cose cambiano in relazione ai percorsi che sono scelti dagli studenti che hanno assolto l’obbligo di istruzione. A questo punto, il discorso si fa più difficile in quanto l’intero secondo ciclo, come Lei sa, deve essere totalmente riordinato nei prossimi due anni. In linea di massima, posso ricordarLe che sono stati individuati quattro percorsi: quello dei licei, o degli studi umanistici e sociali, e quello della istruzione tecnica e professionale, di competenza statale; quello della formazione professionale regionale e quello dell’apprendistato. Sono percorsi che, a partire dai 16 anni di età, si svilupperanno con cadenze temporali da definire. E’ importante sottolineare che non si tratterà di canne d’organo, ma di percorsi articolati in modo da garantire e sollecitare i passaggi orizzontali da parte degli studenti. Va anche considerata la prossima istituzione dell’Istruzione tecnica superiore, interrelata con la formazione professionale e con il mondo del lavoro, successiva ai diplomi e alle qualifiche di secondo e terzo livello.

Ed è in tale scenario che dobbiamo decidere se e come Dante ci azzecchi oppure no. In tale nuovo contesto sia i passaggi in orizzontale che quelli in verticale (il passaggio da un anno a quello successivo ed i possibili rientri) dovranno essere regolati da una progressiva certificazione delle competenze, con cui sarà definitivamente superato il meccanismo promozione-debiti-bocciatura. Qui giocheranno moltissimo le vocazioni, le inclinazioni, le attitudini o che so io, che gli studenti manifesteranno e che la scuola dovrà intercettare superando, ovviamente, l’ordine gerarchico a cui siamo abituati da anni, per cui vi sarebbero percorsi per i meritevoli e percorsi per gli incapaci, in quanto tutti saranno di assoluta pari dignità.

Ed in tale prospettiva Dante ci azzecca e come! Non essendoci più né i Gianni né i Pierini – e la sfida del sistema di istruzione a cui dobbiamo dar vita consisterà in primo luogo in questo, che potremmo definire una reale democratizzazione degli insegnamenti – Dante potrà essere fruito a due livelli: il livello del necessario bagno linguistico che tutti i nostri studenti continueranno a fare dopo il primo bagno “obbligatorio”; ed il livello di coloro che mostreranno una particolare inclinazione per Dante e la sua opera. Nel primo caso, le competenze linguistico-comunicative via via acquisite riguarderanno pur sempre la comunicazione stessa, con tutte le necessarie implementazioni. Nel secondo caso, le competenze linguistiche avranno un carattere più specialistico ed investiranno in modo specifico e precipuo l’ambito linguistico-letterario.

Gli “esiti di apprendimento rilevanti” per il livello 4 individuato dalla Raccomandazione europea riguardano “conoscenze pratiche e teoriche in ampi contesti in un ambito di lavoro o di studio” nonché “una gamma di abilità cognitive e pratiche necessarie per creare soluzioni a problemi specifici in un ambito di studio o di lavoro”.

Con le opportune curvature, concretamente potremmo individuare due tipologie di competenze in ordine ai due casi precedentemente indicati, competenze che in linea di massima potremmo descrivere così: lo studente A utilizza la lingua con correttezza e pertinenza sia nei rapporti interpersonali che nel letto/scritto; lo studente B utilizza la lingua con correttezza e pertinenza e analizza e commenta con cognizione di causa testi letterari anche di particolare complessità. Ovviamente, per ambedue i casi saranno necessarie ulteriori specificazioni. Comunque, lo studente B si avvierà con molta probabilità a studi umanistici o tenterà la carriera del giornalismo, della saggistica, della produzione letteraria o della critica. Lo studente A, a sua volta, avrà acquisito tutte quelle competenze linguistiche necessarie ad altre tipologie di studio o di lavoro, non meno impegnative e gratificanti delle precedenti.

Ed un ultimo nodo mi sembra importante sottolineare: il fatto che la certificazione delle competenze non costituisce un insieme di voti negativi o positivi, sempre rivolti al passato, ma è in grado di indicare per il futuro, e sempre in positivo – perché una competenza c’è o non c’è! – che cosa uno studente ha imparato ad essere e a fare non solo in ordine alle conoscenze apprese, ma anche in relazione agli atteggiamenti e alle attitudini che è venuto man mano maturando.

Per queste ragioni, gentile Gemma, io penso che Dante ci azzeccherà molto di più di quanto… non ci azzecchi oggi… con la scuola che stiamo a poco a poco, e con tanta fatica, lasciando alle spalle!

Ovviamente per farne una nuova e diversa!

Distinti saluti

Maurizio Tiriticco

Roma 20 maggio 2007 – ricordando Don Milani! 


       



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