15 Settembre, 2002
Serve un nuovo patto fiscale (di Waletr Veltroni)
Lettera indirizzata al direttore di Repubblica dal candidato leader del Partito democratico
Il candidato leader del Partito democratico, Walter Veltroni
Caro direttore, Eugenio Scalfari ha ragione: l'esasperazione della
discussione pubblica in materia di politica fiscale è la cartina di
tornasole di una fase di difficoltà nei rapporti fra istituzioni e
cittadini, fra politica e Paese. Luigi Einaudi, nel 1945, scrisse
che "gli uomini vogliono istintivamente rendersi ragione del perché
pagano; e se quella ragione non è spiegata chiaramente gridano
all'ingiustizia".
Dagli anni '90 la pressione fiscale italiana ha raggiunto livelli
europei. In alcuni anni è diventata superiore alla media
dell'Unione.
È aumentata così la percezione di un divario tra i sacrifici
richiesti e le prestazioni fornite dallo Stato. Esse permettono ai
cittadini italiani di fruire di servizi pubblici, come sanità e
istruzione, ben più universali e meno costosi di quelli di altri
paesi. Ma un divario esiste e dipende dal servizio di un pesante
debito pubblico, i cui interessi si mangiano ogni anno quasi cinque
punti di Pil. Ne consegue che se non si incide qui - riducendo il
debito e riqualificando la spesa pubblica - il cittadino continuerà
ad avere difficoltà a capire se quanto paga è il giusto.
Quella parte dell'opposizione che incita allo sciopero fiscale non è
solo composta da "persone che hanno governato per cinque anni con la
più ampia maggioranza della storia della Repubblica senza riuscire
nemmeno ad abbassare l'Irap", com'è stato ricordato da Luca
Montezemolo. È composta da chi, in cinque anni di governo, ha
aumentato di due punti e mezzo di Pil la spesa corrente primaria,
più di 30 mld di Euro, senza neppure avviare quella riforma del
welfare per i giovani che ha visto invece un importante primo passo
nell'accordo di luglio fra Governo Prodi e Sindacati. E' il mediocre
funzionamento dello Stato una delle eredità più pesanti del passato
remoto e recente. Non si possono aspettare decenni per un ponte o
un'autostrada. E' la competitività italiana a rimetterci.
Quindi, è indispensabile che il Partito Democratico assuma un
preciso vincolo: ogni euro di nuova spesa corrente dovrà essere
ricavato da un risparmio. Così proseguendo negli anni - e con un
buon ritmo di crescita - la spesa corrente primaria potrà essere
stabilizzata, in rapporto al Pil, poco al di sotto delle dimensioni
attuali. Come? Abbandonando la logica dei tagli orizzontali e
giustificando ogni spesa di ogni apparato pubblico dal primo
all'ultimo Euro. Poi, misurazione dei risultati, a partire dai
dirigenti, premio al merito, penalizzazione del disimpegno;
ristrutturazioni e razionalizzazioni nella pubblica amministrazione;
eliminazione delle tante duplicazioni e sovrapposizioni di funzioni
e uffici pubblici oggi esistenti. In questo modo potranno essere
finanziate quelle politiche per la qualità e la mobilità sociale -
un sistema universale di ammortizzatori sociali, gli asili nido, la
non autosufficienza - che sono indispensabili per lo sviluppo e la
coesione.
Le risorse per la spesa in conto capitale? Anche qui non potremo
contare su aumenti tributari. Occorre sempre più ricorrere a schemi
di finanziamento e di gestione attrattivi per capitali privati in
cerca di impieghi poco rischiosi e, per la parte pubblica, a nuove
politiche del patrimonio. O si gestisce questo patrimonio in modo da
ricavarne le risorse necessarie per pagare una quota significativa
degli interessi sul debito. O si adottano soluzioni per
un'alienazione parziale e selettiva di questo patrimonio, garantendo
la piena tutela dei beni culturali e ambientali. In entrambi i casi,
è necessaria un'intesa tra Stato centrale ed Autonomie regionali e
locali. Il centro-destra si è mosso su una linea opposta: ha
finanziato nuova spesa permanente con i proventi una tantum delle
dismissioni, non ha ricercato il consenso degli enti locali, ha
alienato "all'ingrosso" e non selettivamente. In ogni caso, hic
Rhodus: senza chiamare l'attivo patrimoniale a concorrere alla
riduzione del debito, sarà quasi impossibile quel rapido salto negli
investimenti materiali (strade, porti, ferrovie, aeroporti,
metropolitane) e immateriali (la formazione, e cioè i cervelli dei
nostri ragazzi) che solo può far tornare a crescere la produttività
del sistema.
Ecco allora, nella strategia in dieci mosse che penso per il Partito
Democratico, il primo impegno. Se saremo in grado di seguire gli
indirizzi appena descritti su spesa e debito, accompagnandoli a
quella radicale azione di riduzione dei costi della politica e di
robusta iniezione di criteri meritocratici nella gestione di tutti i
pubblici servizi, potremo credibilmente assumere l'impegno a ridurre
la pressione fiscale, stabilizzandola nel tempo almeno due punti di
Pil sotto il livello del 2006.
Secondo, a mutare deve essere la composizione interna della
pressione fiscale, che oggi è sperequata a svantaggio dei
contribuenti leali e a favore di quelli meno onesti. I dati delle
entrate 2006 e 2007 ci dicono che - finita l'era dei condoni - il
Paese si è messo sulla strada giusta: l'area dell'evasione resta
molto grande, ma ha cominciato a ridursi. Merito del Governo Prodi
e, in particolare, del Vice Ministro Visco. È arrivato il momento
che aspettavamo da tempo: quello di restituire ai contribuenti
leali - lavoratori dipendenti, autonomi, famiglie e imprese - tutto
quello che si ricava dal successo nella lotta all'evasione.
Terzo, un nuovo patto fiscale si scrive non solo con i controlli
severi, ma anche con la semplificazione. Un esempio concreto sarebbe
il varo di un regime semplificato per le microimprese (fino a 25-30
mila Euro di ricavi), 800 mila piccoli contribuenti per i quali è
sensato riunificare tutti gli adempimenti in un solo atto. E'
indispensabile poi semplificare i pagamenti (fisco telematico per
tutti) e promuovere tutte le forme di ravvedimento operoso.
Quarto, un importante elemento di fiducia è l'impegno dello Stato
alla certezza delle regole fiscali: mai e poi mai, per nessuna
ragione, norme fiscali con effetti retroattivi.
Quinto, il tema del trattamento fiscale della famiglia è legato al
nuovo patto intergenerazionale di cui ho parlato al Lingotto, basato
sul contrasto di tutte le nuove povertà: un capitolo che considero
un fronte essenziale per il Partito Democratico (lotta al
precariato, tutele sociali per i giovani, casa, aiuto alle famiglie
con bambini). Indirizzi in questo senso sono emersi nella Conferenza
sulla famiglia di Firenze, condotta con competenza dal Ministro
Bindi. Siamo nelle condizioni, nell'arco di pochi anni, di varare
un'ambiziosa riforma dei sistemi di sostegno fiscale alle famiglie,
con la costruzione di un unico istituto che riunifichi detrazioni e
assegni familiari. Una vera e propria "dote fiscale" per i figli e
per la famiglia, che riduce automaticamente l'imposta sui redditi e,
per coloro che stanno sotto i livelli minimi di imponibile, diventa
un'"imposta negativa", e cioè un contributo monetario al nucleo
familiare da parte dello Stato. Si tratterebbe di un grande passo
avanti nell'equità e nella lotta alla povertà: 2.500 euro per ogni
figlio (con cifre declinanti all'aumentare del reddito familiare)
corrisposti tramite detrazione e, per l'eventuale differenza, se
l'imposta da pagare non è abbastanza alta, con un trasferimento
monetario diretto.
Sesto, mi sembra ottima l'idea di uno scambio tra minori incentivi e
contributi alle imprese e minori imposte: una strada che può portare
a ridurre di cinque punti l'aliquota dell'imposta sulle società.
Settimo, il sistema di ammortamento fiscale degli investimenti va
aggiornato al nuovo contesto tecnologico: oggi l'obsolescenza delle
macchine è veloce e il Paese ha tutto l'interesse a sostenere cicli
accelerati di investimenti delle imprese. Anche sulle spese per
ricerca e sviluppo occorre studiare proposte innovative, ad esempio
schemi per la loro deducibilità anticipata.
Ottavo, un accorto uso della leva fiscale deve favorire anche i
redditi da lavoro dipendente. Va in questa direzione l'accordo di
luglio, che consegna alla contrattazione decentrata spazi più ampi
per generare aumenti di produttività e per redistribuirne i vantaggi
ai lavoratori, contribuendo così alla soluzione di quella questione
salariale che si è da tempo riaperta. Andrà prevista una graduale
restituzione del "drenaggio fiscale", anche per favorire lo
svolgimento della futura tornata contrattuale.
Nono, il Governo ha avviato, riducendo il cuneo fiscale, un
intervento sull'Irap, venendo incontro a richieste disattese dal
precedente esecutivo. Nell'immediato, si è fatto davvero molto. Nel
lungo periodo, mi chiedo se non sia possibile proseguire su questa
strada, ampliando l'area della deducibilità dell'Irap e definendo
misure compensative per una sanità risanata e affidata a manager
scelti con criteri obiettivi.
Decimo, il Partito Democratico dovrà impegnarsi per un federalismo
moderno e solidale. Mentre la precedente legislatura è passata
invano, in un anno il Governo ha messo a disposizione del Parlamento
un pacchetto di possibili riforme: codice delle autonomie,
federalismo fiscale, riforma delle Conferenze inter-istituzionali.
E' l'occasione per semplificare l'azione pubblica nel nostro Paese,
per definire "chi fa cosa" in un sistema di governance multilivello
che oggi è spesso bloccato dai veti incrociati.
La lotta alle povertà vecchie e nuove, la creazione di opportunità
per le imprese, la crescita e la più equa distribuzione della
ricchezza sono tutte facce della stessa medaglia. Il giorno in cui
il centrosinistra italiano avrà accettato questa sfida, sarà il
giorno in cui potrà aspirare a diventare maggioritario.
 
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