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15 Settembre, 2002
64 anni fa la strage di Cefalonia
La testimonianza diretta di Agide Sassi, che era laggiù in quei drammatici momenti, inquadrato nella Divisione Acqui

Ci é giunta questa testimonianza da Isola Dovarese (Cr), direttamente da Agide Sassi (e dal figlio Luciano che l'ha raccolta) che era in quei momenti drammatici a Cefalonia con la Divisione Acqui.

*****

Per più di quarant’anni, cioè da quando ho cominciato a capire quale era la differenza fra presente e passato, ho avuto come dono continuo il racconto pesante, sovente arricchito di nuovi particolari, di una tragedia così grande e così difficile da capire come quella di Cefalonia.

Mio padre, Agide Sassi classe 1922, bracciante del basso cremonese, è nato a Vighizzolo di Cappella Picenardi dove, poco dopo la nascita, ha perso il padre a causa dei malanni acquisiti durante la guerra ‘15-‘18.

Arruolato nel 33° artiglieria Cremona, inquadrato nella divisione Acqui, è stato spedito insieme ad altri smarriti soldatini come lui in Grecia, nell’isola di Cefalonia dove si doveva realizzare il sogno dell’impero.

L’8 settembre fu percepito da questi soldati, come da quasi tutti gli italiani, come la possibile realizzazione del desiderio della fine di quella pazzia. Come sappiamo purtroppo non fu così.

Il democratico sondaggio effettuato dal Generale Gandin, comandante della divisione, che aveva avuto come risultato il rifiuto dei soldati di aderire all’esercito tedesco, segnò il destino di circa 7.000 uomini.

I fatti sono noti. Io riporto in breve un piccolo passaggio del racconto di mio padre relativo alla fucilazione degli uomini della sua batteria formata da circa 87 uomini:

<< Quando i tedeschi sono arrivati nel luogo dove era dislocato il mio reparto, ci hanno catturati in poco tempo. Ci hanno radunato in un unico spiazzo e hanno chiesto chi fosse il nostro capitano. Il Capitano Valgoi, un uomo robusto ed un po’ attempato che veniva da Alessandria, è uscito dal gruppo e come si è avvicinato ai tedeschi è stato colpito da una raffica di mitragliatrice posizionata davanti a noi bbbbbbbbbrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrraaaaaaaaaaammmmmmmmmmmmmmmmmm così violenta che il corpo è rimasto diviso a metà.

Poi i tedeschi hanno chiesto se c’era un altro ufficiale. Il tenente, titubante, si è presentato e anche lui, appena uscito dal gruppo, è stato colpito da una raffica di mitragliatrice dalla testa ai piedi. Noi tremavamo come foglie.

I tedeschi ci hanno disposto allora su tre file vicino un muretto a secco. Io ero nell’ultima fila a ridosso del muretto. Quando i tedeschi hanno cominciato a sparare ho visto cadere i miei compagni delle prime file. Sono rimasto travolto e sono caduto dietro il muretto rotolando giù per una piccola scarpata, dove sono rimasto immobile sotto degli sterpi fini alla fine della sparatoria.>>

Da questa prima fucilazione si salvarono solo in 13 uomini su 87 della batteria.

I superstiti delle molte fucilazioni eseguite sull’isola e quelli catturati nei giorni successivi al periodo delle esecuzioni di massa , vennero imbarcati dai tedeschi su due navi per essere spediti in Germania.

Una di queste navi, sulla quale era imbarcato anche mio padre, saltò in aria poco dopo l’uscita dal porto di Argostoli. Lui si salvò, ma molti altri non ce la fecero.

Venne poi caricato su una tradotta e portato prima in Germania e poi nei campi di concentramento in Polonia fra ebrei, “politici” ed altri soldati di varie nazionalità.

Alla fine del 1946 mio padre distrutto e trasformato nell’aspetto, riuscì a tornare al suo paese. Sua madre al momento dell’incontro non stata in grado di riconoscerlo. Mio padre ancora oggi si cruccia di questo episodio : << Neanche mia madre mi riconosceva>> .

Ora vive a Isola Dovarese in discreta salute e ritorna spesso a raccontare episodi della sua terribile esperienza : la morte dei suoi compagni di Cefalonia, la fame e le umiliazioni dei campi di concentramento, le storie degli altri internati. Fino a qualche anno fa si arrabbiava quando raccontava le sue traversie perché non veniva creduto. Raccontava, e racconta, fatti di violenza così estrema e spesso gratuita da risultare inverosimili agli ascoltatori.

Le strage effettuata a Cefalonia non ha nulla a che vedere con le azioni di attacco o di difesa di un esercito. Per questo mio padre ed io non possiamo accettare la sentenza del tribunale di Dortmund che archivia senza alcuna condanna l’inchiesta su Cefalonia dove in pochi giorni sono stati massacrati quasi 5.000 soldati italiani. Altri 2.000 soldati sono morti poi per cause diverse : i naufragi delle navi che li dovevano trasportare sulla terraferma per essere spediti nei lager, la fame e le violenze patite sulle tradotte e nei lager.

A nostro parere la sentenza di Dortmund non è accettabile sia per la mancata condanna degli imputati ancora viventi che per la dichiarazione secondo cui per la giustizia tedesca quel massacro, a causa dell’avvenuta prescrizione, non è reato.

Il nostro dolore per la mancata giustizia nei confronti dei tanti giovani caduti e dei sopravvissuti è davvero grande ed il rifiuto della sentenza è netto.

Luciano ed Agide Sassi, Isola Dovarese (Cr)

 


       



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