15 Settembre, 2002
Ci serve un PD robusto: ecco come (di Enrico Morando)
*Il congresso (sede di decisione su leader, linea politica e organismo dirigente rappresentativo) del PD avrà le stesse caratteristiche dei vecchi congressi? Secondo me, no*.
Ma di cosa si sta discutendo nella Commissione Statuto del neonato Partito Democratico? A leggere i giornali, le risposte sembrerebbero essere, nell’ordine, le seguenti: 1 - se tenere o non tenere un Congresso del Pd nel 2008; 2- se ci saranno o non ci saranno, nel Pd, le «tessere».
Sempre secondo le ricostruzioni che vanno per la maggiore, su questi due temi si sarebbe sviluppato - prima nella riunione plenaria della Commissione e ora nel Comitato di redazione - un braccio di ferro tra chi vuole il Congresso subito e le tessere ancora prima e chi non vuole né l’uno, né le altre. Tra i secondi viene annoverato il sottoscritto, in sparuta compagnia, mentre tra i primi si annovererebbero «Ds e Popolari» (e io che pensavo di avere qualche titolo per essere considerato «un Ds»? Mah). Non c’è davvero da stupirsi se - sulla base di queste ricostruzioni e di qualche virgolettato sparso qua e là - anche i cittadini più attenti, informati ed interessati al progetto del Pd fanno fatica ad orizzontarsi.
Proverò dunque a chiarire la mia posizione, procedendo per punti.
1) Quando il Comitato dei 45 decise che il 14 ottobre si sarebbero eletti congiuntamente, con un solo voto, sia l’Assemblea Costituente (per approvare Manifesto e Statuto), sia il Segretario Nazionale, collegato ad una piattaforma politica e a liste di candidati, decise consapevolmente di cambiare la natura dell’appuntamento del 14 ottobre: se l’elezione dell’Assemblea che scrive lo Statuto e la Carta dei principi e dei valori ha il carattere tipico dell’atto costituente, l’elezione del leader su piattaforme e liste contrapposte ha il tipico carattere dell’atto congressuale (scegliere un leader, definire un indirizzo politico ed eleggere - con metodo proporzionale - un organismo rappresentativo).
Dato il carattere felicemente ambiguo del 14 ottobre, dunque, non si può fondatamente sostenere né che «fatto lo Statuto e la Carta dei principi l’Assemblea Costituente dovrebbe sciogliersi, per dar luogo ad un Congresso», né che il «Congresso c’è già stato, il 14 ottobre». La prima tesi risultando palesemente forzata, al punto da trascurare il carattere immediatamente «politico» del confronto tra i diversi candidati, collegati a piattaforme e liste in aperta competizione (qua e là persino troppo aspra) tra loro. La seconda apparendo troppo orientata a sottovalutare la specifica dimensione «costituente» del voto del 14 ottobre (che forse i candidati segretari avrebbero dovuto meglio alimentare, presentando loro idee guida sui fondamentali principi statutari).
In ogni caso, da questo carattere ancipite di ciò che è nato dal 14 ottobre potremo definitivamente uscire solo dopo che ci saremo dati uno Statuto e avremo interamente attuato quelle norme transitorie e fina li che avranno il compito di presiedere alla non breve fase di passaggio tra l’attuale situazione e quella «a regime» definita dallo Statuto stesso.
A proposito di norme transitorie, va semplicemente aggiunto che esse, se da un lato sono parte essenziale dello Statuto, per l’ovvia ragione che senza di loro quest’ultimo non potrebbe mai essere attuato, dall’altro non possono essere stabilite prima che siano perfetta mente definite le norme statutarie a regime (non a caso si definiscono transitorie e finali) per l’altrettanto ovvia esigenza di stabilire piena coerenza tra la gestione della transizione e la situazione a regime.
2) Chi ha il potere di decidere, nel Partito Democratico? Nei partiti che conosciamo, la risposta è stata sempre piuttosto chiara: gli iscritti al Partito, attraverso la convocazione - a scadenze statutariamente de terminate - dei Congressi. E in fatti il Congresso il momento nel quale vengono definiti, attraverso il voto di tutti gli iscritti: a - il leader; b - l’indirizzo politico; c - la composizione di un organo rappresentativo del Partito.
A questo scopo, il primo atto della regolare convocazione di un Congresso era ed è rappresentato dalla definizione della data di «chiusura» del tesseramento: attraverso quell’atto, infatti, veniva definita una volta per tutte la platea degli aventi diritto al voto (elettorato attivo).
Il Congresso (sede di decisione su leader, linea politica e organismo dirigente rappresentativo) del Pd avrà le stesse caratteristiche? Secondo me, no. Saranno identici gli oggetti della decisione congressuale. Ma a votare - scegliendo tra le diverse opzioni in campo (ciascuna composta da leader, linea, lista per l’organismo) dovranno essere tutti i cittadini - italiani o regolarmente resi denti in Italia - che lo vogliono, col solo vincolo della pubblicità di quella loro partecipazione. In questo senso, parlo di Congresso del Pd «modello 14 ottobre».
Naturalmente, considero perfettamente legittime e «democratiche» proposte ispirate al modello più tradizionale (la platea degli aventi diritto al voto è composta solo dagli aderenti permanenti - gli iscritti - al partito). Semplicemente, le considero meno coerenti con la sostanza della funzione politica che il Pd deve assumere: partito a vocazione maggioritaria, naturale asse dell’alternativa di governo al centro-destra. In parole povere: un partito il cui leader è il capo del governo (o dell’opposizione) e il cui programma è la sostanza del programma di governo. Se è un partito così quello che vogliamo, le scelte fondamentali di quel partito debbono essere proposte dai suoi iscritti, ma assunte da tutti i cittadini che desiderino parteciparvi.
3) Ma, in un partito così, che diritti e poteri avrebbero gli aderenti più attivi e permanenti, gli iscritti? E, ancora più a fondo, che incentivi all’iscrizione - alla partecipazione quotidiana - fornirebbe, un partito così? Si tratta di domande cruciali, visto che nessun partito davvero «popolare» può vivere senza un vasto corpo di persone quotidianamente impegnate a svilupparne l’iniziativa nella società e l’attività di elaborazione.
La mia risposta è che il Pd deve avere «gli iscritti», raccolti in «sezioni», territoriali e non (sui nomi, degli uni e delle al tre, mi affido volentieri a chi ha maggiore fantasia di me). E che questi iscritti debbono essere titolari di due diritti fondamentali: a) costruire e presentare - loro e solo loro - le piattaforme politiche e le candidature che compongono le diverse opzioni sulle quali i cittadini dovranno poi votare col metodo 14 ottobre e b) essere gli unici titolari dell’elettorato passivo, cioè poter essere eletti - loro e solo loro - negli organismi rappresentativi e dirigenti del partito.
Si tratta di diritti e poteri assai penetranti, in parte modificativi del metodo 14 ottobre, quando le liste e i candidati segretari sono stati «presentati» attraverso la firma di semplici cittadini, non necessariamente iscritti ai partiti che avevano deciso di contribuire a dar vita al Pd. Di diritti e poteri che - in buona sostanza - motivano e implicano una robusta strutturazione permanente del Pd (per questo aspetto, quindi, assai poco «leggero» e «liquido»).
Da L'Unità del 2 dicembre 2007 
Fonte: Libertà Eguale
|