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15 Settembre, 2002
Pier Luigi Bersani a Cremona.
Venerdi 7 ha ruisposto a numerose domande.

Pier Luigi Bersani a Cremona.
Venerd' 7 marzo alle ore 21 in Sala Rodi ha risposto a numerose domande.

Numerose donande sono arrivate via internet. Le abbiamo messe su un file.Scarica le domande che sono state rivolte a Luigi Bersani.
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Di Seguito un artilo di Pier Luigi Bersani

Una strategia per reagire
di Pier Luigi Bersani

La crisi industriale nella quale l'Italia si trova oramai immersa riguarda sicuramente i mercati mondiali e, soprattutto, la situazione europea; tuttavia il caso italiano possiede alcuni connotati specifici che riguardano soltanto noi, rispetto ai quali molto si sarebbe potuto fare e molto si dovrebbe fare subito, anche se il governo in carica in nessun modo mostra di voler imboccare la strada giusta. Sono tre i fattori di novità con i quali la nostra economia deve fare i conti. Il primo consiste nella tumultuosa accelerazione dei processi di globalizzazione che ha cambiato e sta seguitando a cambiare la tradizionale divisione internazionale del lavoro.
Da ciò deriva una instabilità degli assetti noti e una incertezza generalizzata sulla possibile evoluzione, della quale soffrono in particolare i Paesi più esposti nel commercio internazionale, come l'Italia. Di conseguenza le imprese esitano nell'avviare programmi di sviluppo e i consumatori esitano nell'impegnare le proprie risorse. Il secondo fattore di novità riguarda l'Europa e l'Italia in particolare: è l'adozione dell'euro. L
a nascita dell'euro ha cancellato in radice la risorsa tradizionale delle svalutazioni competitive, su cui le imprese italiane in particolare avevano per decenni costruito la propria capacità di competere. Per di più, nell'ultimo anno l'euro si è significativamente rafforzato erodendo ulteriori margini all'appetibilità delle nostre produzioni. Il terzo fattore consiste nel carattere dello sviluppo attuale: si tratta infatti di uno sviluppo che premia le produzioni a più elevato contenuto tecnologico e che dipende in larga misura dalla diffusione delle nuove tecnologie. Questi tre fattori rappresentano un insieme di novità che segna un vero passaggio da una fase ad un'altra negli equilibri e nei rapporti economici. E per l'Italia arrivano al pettine alcuni nodi storici. Innanzi tutto la debolezza strutturale del sistema delle grandi imprese. Le grandi imprese italiane sono poche e sono caratterizzate da un irrisolto rapporto con la governance dell'impresa e con il sistema finanziario. Ciò dipende in larga misura dalla loro struttura proprietaria che è rimasta sostanzialmente di carattere familiare e non è stata in grado di stabilire un rapporto con il mercato finanziario tale da dare all'impresa la solidità necessaria. Adesso, davanti alla mutata situazione e alle novità che incalzano, le grandi imprese reagiscono con un ripiegamento che le induce a sottrarsi alla concorrenza abbandonando i settori più esposti alla competizione e rifugiandosi in quelli più riparati sui mercati interni e sulle utility, meglio se tariffati.
Gli effetti di questo ripiegamento li abbiamo sotto i nostri occhi: sono sempre di meno gli attori in grado di tenere i mercati internazionali, si moltiplicano le spinte in senso neomonopolista nei servizi interni, il sistema del credito è chiamato a farsi quasi azionista per forza del sistema delle imprese e a finanziare questo ripiegamento con un effetto indiretto di restrizione del credito a disposizione delle piccole e medie imprese. Il secondo nodo storico con il quale siamo alle prese, riguarda proprio le piccole e medie imprese. Esse costituiscono la grandissima maggioranza del sistema produttivo nazionale e sono sicuramente lo zoccolo sul quale ha poggiato, negli ultimi decenni, la nostra capacità di crescita.
Tuttavia si tratta di un sistema che resta circoscritto in ambiti di specializzazione dai quali non siamo riusciti ad uscire, rimanendo imprigionati in settori fortemente esposti alla concorrenza resa, in quei settori, più difficile oggi a causa del rafforzamento dell'euro. Si tratta di una rigidità che ci ha precluso l'affermazione piena in settori a più elevato contenuto tecnologico, caricando di troppa responsabilità i settori tradizionali di eccellenza, come il made in Italy e la meccanica, oggi particolarmente esposti all'aggressività di nuovi competitori. Come reagire? Bisogna partire da quello che c'è, dai settori nei quali comunque siamo presenti e abbiamo, quindi, una capacità operativa immediata, che è quella oggi necessaria. Allora occorre dare subito, con urgenza, un segnale capace di infondere fiducia nel sistema delle piccole e medie imprese: bisogna comunicare con forza che non sono sole, che c'è un impegno pubblico ad accompagnarle e sostenerle in questa sfida verso un orizzonte che ancora non si vede. Perciò su due fronti si dovrebbe intervenire con decisione e immediatezza: quello dell'innovazione tecnologica dei prodotti e quello dei costi.
Sul primo fronte, sarebbe necessario un intervento rilevante nel sostegno ai programmi di innovazione delle imprese: esattamente il contrario dei tagli decisi dal governo. Sul fronte dei costi, si dovrebbe intervenire abbattendo gli oneri sociali per i settori a più alta intensità di mano d'opera. In questo modo si darebbe il segnale chiaro che il Paese intende scommettere e impegnarsi sul serio per dare al sistema un ruolo e uno spazio nel futuro prossimo.
Oltre agli interventi di urgenza, naturalmente, restano le questioni strutturali di cui sembra ci si sia del tutto dimenticati. La questione del rapporto con il sistema finanziario, di cui si è parlato per le grandi imprese, per le piccole è di gran lunga più decisivo. La sottocapitalizzazione è un male endemico e le politiche per combatterlo sembrano del tutto abbandonate. A
ltrettanto strategica è la costruzione di reti di sostegno per l'internazionalizzazione, là dove produzioni anche eccellenti e potenzialmente competitive, stentano a raggiungere i mercati esteri a causa delle dimensioni troppo piccole dell'azienda. E poi l'intervento pubblico nella ricerca, che il governo attuale sta spregiudicatamente riducendo: soprattutto oggi, in presenza di una riduzione del contributo alla ricerca da parte delle grandi imprese, il ruolo pubblico dovrebbe farsene protagonista sia sostenendo la ricerca di base, sia dando stimolo ai brevetti, sia favorendo il trasferimento delle innovazioni.
Ciò che va evitato è l'incoraggiamento implicito al ripiegamento del sistema produttivo che si produce inevitabilmente abbassando l'asticella delle presetazioni richieste alle imprese. La strada non è quella di concedere sconti, ma quella di sostenerle nell'impegno e nella competizione a più elevato livello. Se si attenua la normativa sulla trasparenza dei bilanci, se si varano leggi sull'emigrazione dettate dalle emozioni o dalla propaganda, se si immagina di riformare la scuola in maniera tale da costruire barriere fra il sapere e il fare, se si varano agevolazioni generiche alla Tremonti piuttosto che crediti d'imposta per l'innovazione, se si strizza l'occhio alle infedeltà fiscali, è come se, non potendo più svalutare la moneta, si fosse deciso di svalutare il sistema.
Ma questo ci mette fuori da ogni possibilità di competere. L'asticella, invece, va tenuta ben alta, e bisogna aiutare le imprese a compiere bene il salto necessario per superarla.
 


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