15 Settembre, 2002
Alitalia, i nomi dei colpevoli (di Massimo Giannini da repubblica.it)
ORA saranno soddisfatti. I *difensori della nazione* e i *paladini dell'occupazione*.
ORA saranno soddisfatti. I "difensori della nazione" e i "paladini dell'occupazione". Il Pdl che ha appena vinto le elezioni e il sindacato che ha appena perso la faccia. Il ritiro di Air France significa la fine dell'Alitalia e certifica la sconfitta dell'Italia.
Si compie il destino di un'azienda depauperata e depredata da decenni
di cattiva gestione finanziaria e di pervasiva "usucapione" politica.
Si chiude nel peggiore dei modi un "buco nero" costato alla
collettività 15 miliardi in 15 anni, 270 euro per ogni cittadino,
neonati compresi.
Solo le false anime belle, adesso, possono far finta di meravigliarsi
per la rottura decisa dai francesi. Cosa si aspettavano, dopo che una
partita strategica come Alitalia è stata giocata strumentalmente in
un'ottusa campagna elettorale, come un derby pecoreccio tra Malpensa
e Fiumicino? Cosa speravano, dopo che il futuro industriale del
nostro vettore aereo è stato consumato inopinatamente in un assurdo
negoziato "peronista", come una banale vertenza sui taxi? In questo
sciagurato Paese, purtroppo, funziona così. Ma nel resto d'Europa,
evidentemente, il mercato ha ancora le sue regole, i suoi tempi, i
suoi effetti.
Ci sono nomi e cognomi, nell'elenco dei colpevoli di questo bruciante
fallimento del Sistema-Paese. Sul fronte politico, Berlusconi ha
brillato per l'insostenibile leggerezza con la quale ha maneggiato
l'affare Ali-France, e per l'insopportabile cinismo con il quale ha
sventolato il pretestuoso vessillo dell'"italianità" a fini di
marketing elettorale. La sua crociata anti-francese non ha conosciuto
confini diplomatici né limiti etici. In un vortice di annunci auto-
smentiti, ha posto veti impropri. Ha inventato cordate improbabili, a
metà tra il pubblicistico e il familistico. Ha messo in pista
concorrenti immaginari, come l'Aeroflot dell'amico Putin, che
gentilmente si è prestato al gioco nella ridente cornice sarda di
Villa Certosa, dove il luogo della vacanza personale si traveste da
sede della rappresentanza istituzionale. Jean-Cyrill Spinetta ha
sopportato anche troppo le intemperanze del premier in pectore.
Piuttosto che perdere altro tempo e farsi dire no dal nuovo governo,
ha preferito giocare d'anticipo.
Sul fronte sindacale le colpe sono anche più gravi. Epifani, Bonanni
e Angeletti, e con loro la colorita galassia degli "autonomi", hanno
brillato per l'inaccettabile miopia con la quale hanno affrontato la
drammatica crisi dell'Alitalia, alla quale hanno dato da sempre il
loro fattivo contributo. Per troppi anni, dai tempi di Aquila
Selvaggia, le confederazioni e i mille cobas sparsi nei nostri cieli
hanno usato la compagnia come una zona franca, nella quale i livelli
retributivi e le quote occupazionali erano le sole "variabili
indipendenti" da tutti gli altri parametri aziendali: dall'efficienza
del servizio alla produttività del lavoro. Cgil, Cisl e Uil si sono
distinte per l'intollerabile demagogia con la quale hanno cercato
fino all'ultimo di intralciare il piano industriale dell'unico
partner di livello mondiale che aveva accettato di sporcarsi le mani
nel disastro dell'Alitalia. All'insegna della più insensata difesa
corporativa. Dal cargo, da salvare nonostante abbia 5 aerei con un
organico di 135 piloti e fatturi 260 milioni con una perdita di 74
milioni. Ad Alitalia Servizi, da salvare grazie a Fintecna in
un'operazione impensabile perfino al tempo dell'Efim e degli altri
carrozzoni pubblici delle PpSs. Anche in questo caso, Spinetta non
poteva continuare con questo indecoroso tira e molla. Ha preferito
anticipare i tempi, con tanti saluti alla gloriosa Triplice.
Il governo Prodi non ha gestito al meglio questa privatizzazione. Ma
Tommaso Padoa-Schioppa ha avuto almeno il merito di aprire
la "pratica", dopo un'intera legislatura nella quale il vecchio
governo della Cdl si era ben guardato dal farlo. E di avvisare tutti
una settimana prima del voto: "Serve un segnale immediato - aveva
detto all'Ecofin in Slovenia - perché se la decisione sull'offerta
Air France viene rimandata a dopo le elezioni il commissario sarà
inevitabile". Così è stato. Così sarà. Ora l'Alitalia svola verso il
baratro. In cassa ci sono soldi per un altro mese, non di più. Il
Consiglio dei ministri che si riunirà oggi può fare solo due cose:
approvare il prestito-ponte da 100 milioni, e decidere il
commissariamento della compagnia. In ogni caso, è una lezione
amarissima per tutti. Per il leader del centrodestra che ora dovrà
evitare almeno il fallimento, dopo aver dimostrato tutta la sua
improvvisazione politica e il suo ritardo di fronte alle sfide del
libero mercato. E per i leader confederali, che non sono stati capaci
di cogliere "l'ultima chiamata" e hanno mostrato tutto il loro
incolmabile deficit culturale rispetto alle logiche della
globalizzazione.
In questa fiera delle irresponsabilità, ancora una volta, le
due "caste" hanno dato il peggio di sé. Sulle spalle dell'Italia, che
vorrebbero "rialzare". E sulla pelle dei lavoratori, che dovrebbero
tutelare.
 
Fonte La Repubblica
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