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15 Settembre, 2002
La nuova Unione per il Mediterraneo tra luci e ombre (R. Aliboni - da Affari Internazionali)
Il 13 luglio scorso si è svolto a Parigi il vertice dei Capi di stato e di governo dell'area euro-mediterranea ....

Il 13 luglio scorso si è svolto a Parigi il vertice dei Capi di stato e di governo dell'area euro-mediterranea, facendo seguito all'iniziativa del presidente francese Nicolas Sarkozy per l'istituzione di un'Unione per il Mediterraneo (UpM), già più volte commentata su queste colonne. Al vertice sono risultati rappresentati al massimo livello tutti i paesi, con l'eccezione della Libia. Si è trattato perciò di un grande successo, innanzitutto della Francia e del suo presidente e, in secondo luogo, dei paesi dell'Unione europea che hanno fatto propria l'iniziativa nel Consiglio europeo del 13 marzo scorso.

Gattopardo in salsa francese?
I 43 paesi rappresentati a Parigi hanno approvato una Dichiarazione che lancia l'UpM e ne descrive obiettivi e principali linee istituzionali, rinviando il completamento di queste ultime alla riunione dei ministri euro-mediterranei degli Esteri che ci sarà a novembre.

Il processo di nascita della UpM è stato lungo e tortuoso. L'UpM approvata a Parigi è ben diversa dalla proposta originaria di Sarkozy. Quella proposta riguardava solamente il Mediterraneo. Essa intendeva lanciare un'iniziativa diversa dal Partenariato euro- Mediterraneo (Pem) e dal processo di Barcellona, lasciandoli entrambi al loro destino, un destino ritenuto fallimentare e inconcludente. Ma ciò ha suscitato nell'Unione europea preoccupazioni circa la coesione comunitaria e indotto la Germania a promuovere l'inglobamento dell'iniziativa francese nel processo di Barcellona. Ciò è di fatto avvenuto sotto l'insegna di una sorta di endiadi – "Processo di Barcellona: Unione per il Mediterraneo" - che include vecchie e nuove componenti del processo in un progetto dal sapore un po' gattopardesco il cui profilo concreto è difficile predire.

Così, Sarkozy ha sacrificato la sua idea di Mediterraneo alla coesione europea, ma l'Unione europea ha ingoiato un progetto di rinnovamento della sua politica mediterranea eterogeneo nei suoi fini all'acquis del Pem, per mediocre che sia. La fusione dei due filoni risulta, con ogni evidenza, faticosa e non è escluso che la cicatrice non cesserà di vedersi.

Come si prefigura dunque l'UpM?
La Dichiarazione di Parigi semplicemente riassume in numerosi punti quella di Barcellona, anche laddove quest'ultima si è mostrata meno attuabile e realistica. Per esempio, il punto 5 riporta fedelmente tutto quello che nella Dichiarazione di Barcellona proveniva dall'esperienza della Csce (le misure di fiducia, la non proliferazione, il criterio di sufficienza degli armamenti difensivi, etc.) e che è stato ben presto decisamente accantonato. La Dichiarazione di Parigi sottolinea l'acquis e la sua preservazione. Mantiene gli strumenti del Partenariato e sottolinea la validità di quanto è stato costituto sul piano dei rapporti bilaterali: gli Accordi di Associazione e la Politica europea di Vicinato.

La novità sta nella governance: una co-presidenza e un segretariato congiunto, che testimoniano il passaggio dal Partenariato come politica dell'Ue all'UpM come accordo fra stati sovrani, sia pure con la partecipazione e l'appoggio della Commissione. Nel nuovo assetto ciò che è forse più significativo è l'istituzione di un Comitato congiunto permanente - simile al Coreper dell'Ue - che rappresenta i governi e per il quale passerà tutto quello che bolle nella pentola delle vecchie strutture del Partenariato e in quella delle nuove strutture dell'UpM.

Mentre le vecchie strutture continueranno ad occuparsi delle materie che sono sempre state di competenza del Partenariato, le nuove strutture, in particolare il segretariato congiunto, si occuperanno del lancio e dell'esecuzione di alcuni grandi progetti trasversali e regionali, nel campo dell'ambiente, dell'energia, dei trasporti e dell'addestramento, etc. La Dichiarazione di Parigi contiene in annesso una lista, che si suppone indicativa, di tali progetti. L'esecuzione di questi grandi progetti trasversali di carattere economico, sociale e infrastrutturale è quello che caratterizzava la proposta originaria di Sarkozy e costituisce parte del valore aggiunto dell'UpM.

Sebbene la Dichiarazione di Parigi riprenda i temi di quella di Barcellona e ne rivendichi l'acquis, è evidente che si sono volatilizzati i proponimenti di coesione politica euro-mediterranea che stavano in cima alla Dichiarazione di Barcellona e si sono invece affermati gli obiettivi di irrobustire la coesione economica e tecnica della regione. Tuttavia, è vero che, se questi obiettivi tecnico-economici verranno raggiunti, la gestione congiunta che oggi viene inaugurata dall'UpM e la sua maggiore rappresentatività politica potranno dedicarsi più efficacemente che nella passata esperienza anche a quegli obiettivi di coesione politica (la risoluzione dei conflitti, il disarmo, etc.) che sono rimasti finora niente più che delle ambizioni sbagliate.

Più politica europea
L'UpM ha dunque un potenziale positivo e, in effetti, l'altra faccia del suo valore aggiunto è la maggiore eguaglianza e il più autentico partenariato cha la formula inter-governativa consente rispetto alla semplice associazione all'Ue dei paesi del sud Mediterraneo. Non è detto, in realtà, che questa maggiore legittimazione dei partner del Sud porti a un dialogo politico più intenso e cooperativo. Al contrario, i paesi in questione sono ora più liberi di dire di no e di frustrare gli obiettivi che l'Ue si ripromette dalla UpM. Il successo dell'UpM dipenderà dalla capacità di fare politica dei paesi dell'Ue e dell'Ue stessa. Quindi, dipenderà dallo sviluppo della Pesc e dalla coesione politica europea.

Il Pem pretendeva di realizzare una cooperazione che prescindeva dalla capacità dell'Ue di contribuire a risolvere i problemi di sicurezza dei partner meridionali. Questo ha condannato il Pem all'insuccesso. L'UpM sembra nascere con la consapevolezza che è necessaria più "politica", ma va detto che se questa "politica" si limiterà al livello di rappresentatività e legittimità e non affronterà utilmente i problemi sul tappeto, la più alta legittimità non servirà a nulla (anzi renderà più impermeabili i partner agli obiettivi che l'Ue si ripromette di raggiungere nella regione). Nel vertice del 13 luglio a Parigi, il presidente Sarkozy ha introdotto temi politici (il riavvicinamento francese alla Siria; l'incoraggiamento al processo di Annapolis). Va aggiunto però che la capacità politica non può essere quella di un singolo paese europeo, per quanto autorevole. Ci deve essere una più forte coesione politica europea.

Nel complesso, la nuova politica euro-mediterranea si presenta con un maggiore potenziale politico (che frutterà però solo se l'Ue sarà capace di fare più politica), e con una struttura a due velocità (un vecchio apparato condotto essenzialmente dalla Commissione e un nuovo apparato con organi politici e tecnici congiunti che dovrebbe fornire la maggiore dinamica che serve a far avanzare la cooperazione euro- mediterranea).

Questa formula può avere successo ed è auspicabile che lo abbia. Non ci si deve nascondere, tuttavia, che l'UpM assieme alle sue buone potenzialità riflette anche una buona parte delle involuzioni correnti nella politica europea e internazionale.

In questo senso, appare innanzitutto rilevante l'estendersi della dimensione governativa a scapito di quella comunitaria. La Commissione che era il segretariato del processo di Barcellona, resta ora segretariato del processo pregresso, mentre delle nuove attività – i grandi progetti comuni – si occuperà il segretario congiunto dell'UpM. Inoltre, l'intero processo, sarà ora orchestrato dal Comitato congiunto permanente. La rinazionalizzazione dell'Ue trova nell'UpM e nella riforma del processo di Barcellona un'ulteriore espressione.

In secondo luogo, anche se la Dichiarazione di Parigi ne parla, rifacendosi all'acquis del processo di Barcellona, le ambizioni europee di riforma nei paesi del sud Mediterraneo - in parallelo alle riforme dell'allargamento - sono naufragate e con esse anche le ambizioni di promuovere i diritti umani. Il passaggio dalle riforme alla stabilità è una tendenza che si è sempre più affermata a partire dall'11 settembre. L'UpM è parte di questa tendenza: in essa di riforme non si parla affatto e neppure di diritti dell'uomo.

Dunque, luci ed ombre. Ma questo non dovrebbe costituire motivo di estraniazione. Al contrario, malgrado tutti i suoi evidenti difetti, l'UpM merita di essere appoggiata e di guadagnare la fattiva cooperazione dei paesi interessati, per evitare che, come sempre, la seconda versione sia solo una farsa.

Roberto Aliboni è vicepresidente dell'Istituto Affari Internazionali

 


       CommentoFonte affarinternazionali.it



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