15 Settembre, 2002
Barack Obama: Citizen of the world
Stefano Silvestri su www.affarinternazionali.it - *Non sappiamo ancora se Barack Obama riuscirà a farsi eleggere presidente, ma intanto la sua settimana di viaggio in Asia ed Europa...*
Non sappiamo ancora se Barack Obama riuscirà a farsi eleggere presidente, ma intanto la sua settimana di viaggio in Asia ed Europa
è stato un evento politico non indifferente, il cui impatto è andato
al di là della semplice campagna elettorale. Erano ormai anni che non
si vedeva più un uomo politico americano avere un simile successo di
pubblico. È sin troppo facile fare dell'ironia e notare che non
saranno certo gli europei a decidere l'andamento delle elezioni
americane: il fatto à che il viaggio di Obama, particolarmente in
Europa, ha dimostrato che gli Stati Uniti possono facilmente
ritrovare la loro popolarità e forse anche il loro "soft power". Cose
che gli otto anni di presidenza di George W. Bush sembravano aver
sepolto una volta per tutte.
Gli osservatori americani sono naturalmente più critici, e molti
rilevano come Obama non abbia mostrato l'appeal di un Ronald Reagan,
e come il suo discorso a Berlino, ai piedi della Siegessäule non
abbia avuto (né in verità avrebbe potuto avere) l'impatto storico di
quello di John F. Kennedy davanti alla Brandenburger Tor (Ich bin ein
Berliner), se non altro perché la situazione è oggi molto diversa.
Tuttavia Obama è riuscito comunque a far vibrare le antiche note del
sogno americano e della nuova frontiera, ed ha riproposto l'immagine
universale degli Stati Uniti, e non semplicemente quella della loro
forza militare, raccogliendo facilmente il consenso dei suoi
ascoltatori.
Un'analisi più spassionata di questo fenomeno deve riconoscere che la
sostanza politica del discorso di Obama non è stata certo esaltante.
Su questo piano si è mantenuto su una linea di sostanziale ortodossia
con i grandi orientamenti tradizionali della politica estera
americana, come del resto ha fatto in tutte le altre tappe del suo
viaggio, in Afghanistan come in Iraq, Giordania e Israele, a Parigi e
a Londra. Abbondavano le formule retoriche: "Vi parlo come un
orgoglioso cittadino degli Stati Uniti e un concittadino del
mondo", "cadono i Muri", "uniti si vince", eccetera.
Un concetto però, variamente modulato, spiccava in modo
significativo: è necessario accrescere (o ricostruire) la "fiducia"
tra gli alleati. Una affermazione spesso collegata con l'altra sulla
necessità di una migliore strategia "politica" oltre che militare,
per riuscire a chiudere le troppe crisi aperte. Nulla di sostanziale
dunque, e del resto non era questo il suo ruolo, ma una scelta netta
a favore della politica sulla forza e dell'azione multilaterale su
quella unilaterale. In altri termini, il senatore e candidato
presidenziale Obama risponde efficacemente ad un evidente bisogno di
America, presente in giro per il mondo: di una certa America che a
molti sembrava scomparsa.
L'operazione non è priva di rischi. Un analogo approccio aperto e
volontarista del presidente Kennedy, al suo primo incontro con i
sovietici, convinse questi ultimi che avevano a che fare con un "peso
leggero", e probabilmente li spinse sulla strada avventurosa della
installazione di missili nucleari a Cuba. Kennedy ne uscì più che
bene, ma il mondo corse il rischio di una guerra nucleare. D'altro
lato Obama suscita anche importanti aspettative cui forse, se verrà
eletto, non potrà sempre dare risposte positive, e corre quindi il
rischio di deludere chi oggi lo applaude.
Ma al di là della prudenza e dello scetticismo, vedere un possibile
futuro presidente americano compiere un bagno di folla all'estero,
malgrado i molti timori di un possibile attentato alla sua persona, e
ricevere le ovazioni della folla, è comunque una svolta gigantesca,
che ci riporta indietro nel tempo, a quando la fiducia nell'America e
il gradimento per la sua politica erano ancora altissimi. Il fatto
che questo possa ancora avvenire, malgrado la fine della Guerra
Fredda e la scomparsa della minaccia comunista, è un segnale
confortante della solidità dei legami transatlantici.
Stefano Silvestri è Presidente dello Iai
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