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 Attualità

15 Settembre, 2002
*Il Pd recuperi la parola sinistra*
Parla Pierluigio Bersani. L*ex ministro lancia segnali al segretario Velttroni - (di Alessandro De Angelis su Il Riformista, 29.07.08)

Onorevole Bersani, Rifondazione ha svoltato a sinistra. È preoccupato?
«Al dì la della conta interna in cui uno ha preso l'un per cento in più dell'altro, vedo in quel che è successo dentro Rifondazione l'onda lunga della sconfitta. Un congresso è un congresso e si svolge secondo le sue dinamiche ma è l'elettorato che è rimasto spaccato tra il troppo e il troppo poco, ovvero tra chi diceva "non siamo stati coerenti a sostenere il governo" e chi diceva "si è stati troppo remissivi"».

Tra questi c'era Ferrero.
«Non credo che il processo in quel partito si è concluso. È una tappa. E non quella definitiva. Per ora convivono due linee: una idea di sinistra radicale, come rimescolo di esperienze, che si pone il problema del governo. E un'altra che vuole riconquistare il sociale allontanandosi da responsabilità di governo e rischiando di dirigersi verso l'Isola che non c'è. Il punto non è rappresentare il conflitto, come dice Ferrero, ma dove porti quella rappresentanza».

Una parola d'ordine del Prc è chiara: mai più alleanze col Pd.
«Facciamo raffreddare l'aria e poi vediamo. Noi abbiamo esperienze locali che resistono e sono efficaci».

Non esclude nulla?
«Da qui a là ci sarà occasione di riflettere. Innanzitutto dobbiamo occuparci di noi e chiarire come la nostra vocazione maggioritaria significa organizzare un campo largo di centrosinistra descrivendo limiti programmaticamente netti, cosa che forse abbiamo sottovalutato. Poi è prematuro dire che si chiudono i canali sia a Canicattì sia in Emilia Romagna».

I veltroniani dicono che i partiti riformisti non si alleano con le forze radicali.
«Sono d'accordo, ma quelle forze non hanno nemmeno buttato via la parola sinistra. Noi, il Pd, su questo dobbiamo fare chiarezza. Da dove parte la sinistra? Le dico quali sono per me i punti irrinunciabili».

Li enunci.
«Il primo è la critica alla realtà: non può essere la destra a dire che il mondo non va bene. Il secondo è un partito liberale in economia. Terzo: un partito universalistico nella risposta ai bisogni fondamentali come salute, sicurezza, istruzione, che non possono essere delegati al mercato. Quarto: un partito popolare nel linguaggio. Quinto: un partito di combattimento. Sì: deve lottare in nome di valori e di un'ideologia».

Ideologia?
«Sì. Perché pure questa storia che le ideologie sono finite è sbagliata. Il berlusconismo cosa è se non una ideologia? E il leghismo? Noi dobbiamo far capire la nostra. Sto parlando di sistemi concettuali che vengono prima di tutto e che noi dobbiamo far vivere: far capire con immediatezza che vogliamo una società in cui non si può star bene da soli. Questo è il bacino naturale della sinistra e per questo dico che la sinistra esiste in natura».

Suona come una critica a Veltroni.
«Voglio dire che non sono per buttar via le parole "sinistra", "popolare", "uguaglianza", "cattolicesimo democratico"».

In questi mesi non si sono sentite molto.
«Io vorrei che si sentissero di più. Guardi, io sono d'accordo che la comunicazione è importante ma penso che conti di più il linguaggio. Berlusconi non vince perché ha le televisioni, ma perché il suo linguaggio è in sintonia con le persone che vuole rappresentare».

E il vostro linguaggio?
«Le faccio un esempio: la parola "dialogo" penso che possa andare bene tra le Chiese, oppure tra israeliani e palestinesi, o per lunghi percorsi costituenti, ma non va bene sui temi politici: un partito di opposizione o è d'accordo o in disaccordo col governo. E se è in disaccordo ha un'altra proposta. Altrimenti il paese non ci capisce».

La crisi della sinistra radicale, quindi, vi riguarda?
«Io voglio parlare a tutta la sinistra. Se fai il deserto attorno non è che l'acqua viene da sé. E nel rivolgermi all'area di sinistra dico che non bisogna avere paura delle parole: liberalizzazioni, merito… Il punto è: dobbiamo dire meglio chi siamo».

Cioè?
«Alla Conferenza programmatica di ottobre dobbiamo fare un richiamo all'elettorato disamorato della sinistra radicale. Un partito organizzato di sinistra, popolare e cattolico-democratico deve far capire a quel mondo della sinistra radicale che non deve sentirsi abbandonato. Non significa rincorrerlo né assorbirlo. Ma delle due l'una: o ci rapportiamo a una sinistra radicale che si pone il tema del governo o andiamo avanti sapendo che la sinistra è in natura e lì c'è lavoro anche per noi».

Non siete un po' in ritardo sul tema dell'identità?
«È finita una fase costituente. Ora dobbiamo fare il partito, darci un'idea di chi siamo. La destra fa la sua politica, che non ha nulla di sinistra. E questo paese rischia di passare da un riformismo senza popolo a un populismo senza riforme. I fannulloni non coincidono con la pubblica amministrazione e gli zingari non coincidono col problema sicurezza. Noi dobbiamo fare una nostra battaglia autonoma. Dire che le riforme le vogliamo fare ma non è che si può agitare lo spettro dei fannulloni tagliando pesantemente gli stipendi di tutti».

Anche sull'opposizione: non siete stati un po' soft?
«La sconfitta ha i suoi effetti, comunque sulla Finanziaria siamo stati netti. Non si mette un euro sul potere d'acquisto, ci sono tagli o misure come la norma sui precari. E altre se ne vedranno perché si è voluta approvare notte tempo una confusa bomba a frammentazione. Insomma tagli senza riforme. Immagino che i sindacati non potranno starci. E che gli stessi imprenditori vedranno che al concreto non è tutto oro. Mi aspetto un autunno piuttosto agitato».

Che fine faranno le riforme, dopo che Veltroni ha detto che non si fida più di Berlusconi?
«Nella mia testa non c'è questa alternativa: ora mi giro più a sinistra, ora mi giro più al centro. Un partito cresce quando sa determinare un assetto gravitazionale, cioè aprire relazioni in tutte le direzioni, grazie a un progetto convincente. Ciò detto, andiamo al concreto. Vogliamo parlare di federalismo? Parliamone. Sapendo, come si dice dalle mie parti, che il maiale non è fatto tutto di prosciutto. L'ho sentito raccontare in un modo a Varese, in un altro in Sicilia. Le carte di Calderoli non hanno i numeri. Io sono disponibile al confronto ma sono loro ad avere la responsabilità di governare. Occhio alle armi di distrazioni di massa».

 


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