15 Settembre, 2002
Commissione Welfare dell’Ulivo . Resoconto incontro di giovedì 7 ott. u.s. con il dott. Corsini.
La disponibilità e la chiarezza di analisi del dott. Giuseppe Corsini, Direttore Sociale – Direttore del Dipartimento ASSI, che ha presentato il quadro progettuale dell’Asl provinciale sulle tematiche della non autosufficienza ecc.
Commissione Welfare dell’Ulivo .
Resoconto incontro di giovedì 7 ottobre 2004
con il dott. Giuseppe Corsini.
Questa documentazione dell’incontro della
Commissione Welfare-Sanità di Cremona del
7 ottobre u.s. con il dottor Corsini, propone
sotto vari aspetti motivi di particolare
interesse, e non solo per la indubbia qualità
dei contenuti. Infatti, al di là del nostro
soggettivo giudizio di merito sulle varie
posizioni del Direttore dell’Assi, possiamo
ritrovare in esse “novità” (significative
e positive). In secondo luogo, parrebbe che
l’impostazione dell’incontro abbia permesso
ciò che difficilmente si realizza in casi
di questo genere, in cui le teorizzazioni,
le competenze, la modalità di comunicazione
(la “filosofia”) del “professionista-tecnico”
trovano difficoltà a riferirsi e a confrontarsi
con quelle degli interlocutori impegnati
nelle amministrazioni, nel sindacato, nelle
istituzioni e nelle realtà di impegno sociale.
Qui lo scambio comunicativo è avvenuto, e
con esso il confronto, effettivo e produttivo.
Ringrazio il dott. Giuseppe Corsini per la
disponibilità all’incontro e Gian Vittorio
Lazzarini per l’ottimo lavoro di sintesi
dell’incontro.
per Commissione Welfare-Sanità
Ulivo Cremona
Gian Carlo Storti
storti@welfareitalia.it
cell.335.7733661
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La disponibilità e la chiarezza di analisi
del dott. Giuseppe Corsini, Direttore Sociale
– Direttore del Dipartimento ASSI, che ha
presentato il quadro progettuale dell’Asl
provinciale sulle tematiche della non autosufficienza
(a partire dalla condizione anziana), così
come il successivo dibattito, hanno permesso
una miglior conoscenza dei problemi e delle
soluzioni strategiche, evocando nel contempo
nuove prospettive di incontro, di confronto
e di lavoro condiviso fra i vari soggetti
impegnati su questo terreno.
Ha aperto il lungo incontro Maura Ruggeri,
assessore del Comune di Cremona, che ha focalizzato
alcuni nodi problematici, emersi dopo il
nuovo assetto in cui è collocato il tema
della non autosufficienza (leggi 328 e “di
settore”; avvio dei Piani di Zona, con la
priorità assoluta data dal Distretto di Cremona
alla questione della non autosufficienza).
In sintesi:
· la persistenza delle liste d’attesa per
l’inserimento in Rsa (mediamente 450 iscritti
nel solo Distretto di Cremona), nonostante
il rapporto 1 a 1 tra dimissioni e ingressi,
segnala che, se il fenomeno va collocato
in un più ampio contesto problematico, resta
comunque un importante indicatore di bisogni
sociali
· il potenziamento dei servizi destinati
alla non autosufficienza e l’erogazione dei
“buoni” sociali distrettuali non hanno modificato
in modo incisivo la problematica delle liste
d’attesa. Serviranno strumenti integrati
di lettura del bisogno e interventi più mirati
ai soggetti e alle situazioni reali
· si rilevano inoltre alcune criticità specifiche,
come quelle relative alle norme per stabilire
la collocazione nelle liste di attesa: il
ripetersi di casi in cui sembrano essere
penalizzati soggetti che hanno un elevatissimo
grado di disabilità fisica, pare segnalare
la necessità di rivedere i criteri di commisurazione
dei bisogni “sociali” rispetto a quelli “sanitari”.
Inoltre, persiste l’impressione che molti
medici di base non siano sempre adeguatamente
coinvolti e preparati nel delicato processo
di valutazione (per esempio, sembrano spesso
molto esposti alle pressioni dei famigliari)
· viene confermata la criticità che da sempre
configura il sistema socio-sanitario: la
sua eccessiva frammentazione (che, fra l’altro,
crea particolari ostacoli alle famiglie,
specie quelle che vi si accostano per la
prima volta)
· a questo, si collega la non ancora soddisfacente
risposta ai bisogni in termini di servizi
socio-sanitari “leggeri”, di quelli domiciliari,
“di sollievo”, ecc.: servizi che per altro
devono essere meglio correlati alle offerte,
effettive e potenziali, delle Rsa
· è indubbio che tutti questi temi evocano
la necessità di impostare e di qualificare
in modo nuovo l’elaborazione, l’azione e
la collaborazione fra i vari soggetti del
Distretto.
Il dottor Corsini ha subito condiviso l’idea
che oggi è questione cruciale la definizione
delle funzioni e delle competenze dei vari
soggetti in campo e, quindi, la qualità della
loro interconnessione e integrazione: ormai
pure a livello di senso comune è chiaro che
ogni singolo “caso”, anche a secondo delle
“fasi” che attraversa, implica la progettazione
e l’intervento dell’Asl, del Piano di Zona,
del Comune … Un angolo di visuale che richiede
di collocare queste complesse tematiche nel
quadro globale dei bisogni e delle risposte
socio-sanitarie che l’Asl ha configurato.
Essendo in questa occasione impossibile presentare
le informazioni, i dati analitici e prospettici
comunicati dal dottor Corsini (anche per
mezzo delle sue numerose e ben elaborate
slide), ci limitiamo a sottolineare alcuni
elementi, soprattutto riferiti alla situazione
e ai problemi del Distretto di Cremona.
Progettualità in atto
Già ora ai Distretti compete la titolarità
della pianificazione territoriale dei servizi,
del personale e della gestione. L’Asl mantiene,
come livello centrale, il compito di programmazione,
di omogeneizzazione delle attività e dei
servizi, e quello della valutazione/controllo.
Per quanto riguarda i medici di base della
Provincia, 75 su 250 non hanno aderito al
progetto dell’Asl di governo del sistema
sanitario…tuttavia, anch’essi sono chiamati
a svolgere d’ufficio il compito di valutazione
della non autosufficienza dei loro pazienti.
Nel complesso, comunque, occorre ammettere
che vi sono ancora medici che non sono in
grado di svolgere adeguatamente questa funzione
(pertanto, è già stato programmato dall’Asl
uno specifico percorso formativo).
Progettualità 2005/2007
Gli elementi generali più significativi:
a) il nuovo Piano Socio-Sanitario sarà di
specifico riferimento distrettuale, anche
per permettere nuove forme di valutazione
(“vedere”; “correggere in itinere”; “realizzare
la co-valutazione…”)
b) mirerà in modo particolare all’affiancamento
e al sostegno alla famiglia: la cultura e
la strategia politica dell’alleanza terapeutica,
della domiciliarità dovranno fungere da perno
per l’innovazione dell’intero sistema di
cura e di assistenza. Innovazione che potrà
essere favorita anche dall’essere i 2/3 delle
strutture residenziali ormai “adeguate” ai
parametri di norma, buona premessa per puntare
alla qualità.
Il punto decisivo è l’integrazione del sistema
socio-sanitario con il sistema sociale. Oltre
che per dare una risposta efficace e valida
ai molteplici e complessi bisogni dei cittadini,
l’integrazione è richiesta anche da varie
necessità concrete, dalla gestione correlata
del Fondo Sociale Regionale – Leggi di settore,
alla conduzione unitaria di certi servizi
(Tutela Minori – C.F.I - accesso alle Rsa,
ecc.).
L’esigenza di integrazione è da più parti
e da molto tempo invocata: ma non deve essere
perseguita solo a livello di “buoni rapporti”,
ma tramite un accordo saldamente “istituzionalizzato”.
Elementi basilari di questo nuovo accordo-progetto
sono i dati che in ogni Distretto mettono
in rapporto popolazione-strutture-posti,
così come il modello dell’integrazione da
conseguire. Un modello che deve tenere conto
di un fattore spesso non adeguatamente considerato:
l’azione integrata fra il “sanitario” e il
“sociale” prefigura una visione e una competenza
specifica, nuova e diversa. Con quest’ottica
va rivisitata l’esperienza non positiva dell’Uvg:
limitandosi a spostare in altra sede, senza
risultati, il problema della difficile integrazione
fra i due ambiti (più in specifico, quello
della correlazione fra medici di base e operatori
sociali), in buona sostanza è stata una specie
di “scorciatoia”. Invece, anche per dare
effettiva centralità alla funzione di cura
e di assistenza della famiglia ed agli interventi
domiciliari e territoriali, l’Uvg viene superata
con la attivazione del Consultorio familiare
integrato, luogo di accoglienza, ascolto,
analisi, orientamento e accompagnamento (e
non solo di mera valutazione).
Il dott. Corsini ha poi mostrato in alcuni
grandi quadri le previsioni sull’incremento
(notevole ancora per decenni) della popolazione
anziana e dei suoi conseguenti bisogni (in
riferimento a diversi punti di vista: livelli
di età; situazioni che saranno nei tre Distretti,
ecc.). I quadri previsionali, che qui non
possiamo riportare, stimolano riflessioni
di grande spessore, anche per le “conseguenze”
strategiche che evocano.
Malgrado le continue e forti “impennate”
nella crescita della popolazione anziana,
le liste di attesa non sono “esplose” (anche
per il fatto che, per il tipo di ospiti delle
strutture residenziali, il turn-over si è
raddoppiato: da sei anni di poco tempo fa,
ai tre attuali). Pertanto sempre più il vero
problema è quello di meglio di durata media
nei ricoveri commisurare gli interventi e
i servizi alla specificità dei bisogni e
delle situazioni (per esempio, un ricovero
improprio toglie risorse utili ad altre persone).
In quest’ottica, si ripropone con forza il
tema della territorialità e della domiciliarità:
l’assistenza familiare può (o potrebbe) reggere
a compiti di cura anche molto “pesanti” A
questo proposito, non dobbiamo pensare come
inevitabili le combinazioni famiglia/bisogni
lievi; Rsa/bisogni gravi).
Queste analisi ci dicono che la lista d’attesa
è solo un elemento, sia pure importante,
dell’intero quadro dei bisogni, che comunque
è molto complesso ed esige riposte molto
diversificate.
Certo, occorre attuare un puntuale e corretto
esito valutativo di ciascun soggetto nelle
sue fasi ed evoluzioni, in cui siano ben
considerati e commisurati gli aspetti sanitari
e quelli sociali. Ma soprattutto è necessario
realizzare un pre-percorso più adeguato (a
questo riguardo, segnala l’ancor scarso utilizzo
dei ricoveri di sollievo), in modo da “anticipare”
le liste d’attesa, anche perché i correttivi
per renderle più funzionali sono difficili
da elaborare. Nel presentare la situazione
specifica dei soggetti presenti nella lista
d’attesa del nostro Distretto, il dottor
Corsini ha comunque condiviso l’opportunità
di ragionare insieme sulla possibilità di
nuovi criteri.
La parte finale della sua introduzione è
stata dedicata a molteplici altri dati relativi
ai tre Distretti: una ricca analisi che ribadisce
la necessità, ovviamente su basi comuni di
orientamento, di dare vita a programmazioni
differenti territorio per territorio.
Dopo aver valutato come positiva la situazione
del nostro Distretto a proposito delle Rsa
(è già attivato il rapporto 1/1 fra dismissioni
e nuovi ingressi in Rsa, a cui vanno aggiunti
i ricoveri di sollievo), ha riaffrontato
in modo più “tecnico” il tema dei principi-guida
che devono ispirare le dinamiche e gli interventi
socio-sanitari da realizzare nel territorio,
con la focalizzazione delle parole chiave
fondamentali: accesso – rete – accoglienza
– orientamento…
Il dibattito ha messo subito a fuoco le tematiche
centrali del contributo del dottor Corsini.
*Luigi Alberti ha suggerito di superare il
problema della disomogeneità dei posti nelle
strutture dei tre Distretti ridefinendo in
modo più razionale i confini territoriali.
Propone come esempio il caso di Soresina:
la Rsa non riesce a esplicare in pieno le
sue potenzialità in quanto, essendo collocata
in un Distretto, è ostacolata a rispondere
ai bisogni della zona vicina, collocata in
un altro Distretto. Inoltre, Alberti sottolinea
la necessità di utilizzare in modo più razionale
i posti letto delle Rsa, in molti periodi
dell’anno inutilmente liberi, anche destinandoli
al “sollievo”.
*Daniela Polenghi si è dichiarata favorevolmente
colpita dalla riflessione del dottor Corsini
sulla centralità e sulla “logica” dell’integrazione
fra sociale e sanitario e di conseguenza
fra i soggetti che hanno competenze in questi
ambiti. Tentando una provocazione, stiamo
tornando all’Ussl? In ogni modo, queste novità
di visuale non evocano forse un nuovo modello,
magari non previsto neppure dalla L. 328?
Ma in questo modello, si può attribuire ancora
senso alla unzione del PAC? Non si prefigura
il mantenimento di competenze e poteri all’Asl?
L’assessore Daniela Polenghi ha inoltre posto
altre questioni:
- non è positivo il fatto che circa 1/3 dei
medici di base non condivida gli obiettivi
dell’Asl per il governo del sistema di cura
e di assistenza, e si presti solo per dovere
d’ufficio alla valutazione della non autosufficienza
- resta molto difficile risolvere le difficoltà
dell’integrazione (forse l’Uvg, se rinnovata
a fondo, non è una soluzione sbagliata…).
In linea generale, è di certo utile avere
un approccio teorico corretto: ma poi, nella
realtà cosa succede e che cosa facciamo succedere?
- in tutto questo, è assolutamente centrale
il fattore-risorse: purtroppo, specie con
l’impostazione della imminente “finanziaria”,
si moltiplicano gli ostacoli per una politica
di integrazione da parte dei Comuni
- le liste d’attesa restano sempre un segnale
di disagio sociale: non sono “esplose” solo
in quanto nelle strutture entrano persone
già in gravissime difficoltà
- è d’accordo sul valorizzare il ruolo della
famiglia nella cura e nell’assistenza, ma
a patto che non si scarichi su di essa troppi
compiti, e che la sua funzione trovi appoggio
e significato in una vera logica di sistema,
in cui ogni attore, a partire da quello pubblico,
si correli con gli altri, ma assumendosi
le sue responsabilità e svolgendo i suoi
compiti.
*Mauro Bettoni, giudicando condivisibile
il “modello” d’integrazione proposto, segnala
alcune tra le più forti criticità che esso
dovrà fronteggiare: dalla permanente difficoltà
del cittadino a “districarsi” in questo groviglio
di servizi e di procedure alle obiettive
difformità di attribuzioni fra i due ambiti
istituzionali. Ritiene giusto individuare
nel Distretto il livello e lo strumento principale
di questa integrazione, che è soprattutto
di programmazione, ma, entrando nello specifico,
osserva:
a) gli ambiti sono importanti, ma ciò che
ancor più conta è la validità e l’efficacia
della programmazione globale;
b) la criticità decisiva riguarda la grande
debolezza dei soggetti in campo (si pensi
solo alla frantumazione dei servizi e alle
dimensioni dei nostri Comuni). Debolezza
sotto ogni profilo: politico, progettuale,
operativo… Serviranno politiche attive, che
stimolino e favoriscano nuovi atteggiamenti,
prima di tutto culturali e progettuali;
c) a questo proposito, occorre affrontare
il problema degli orientamenti e delle competenze
dei servizi e dei loro operatori: anche nell’ambito
del “sociale, molti di loro sanno, e bene,
“farsi carico” del “caso” specifico, pochi
sanno pensare e agire con ottica “ecologica”,
e quindi mirare all’integrazione. Senza dotare
di nuove competenze gli operatori, continuerà
a imporsi la struttura più forte e “totalizzante”,
la Rsa…
d) concorda con il dottor Corsini sul fatto
che occorre vedere il problema della Rsa
in un quadro globale, ma sapendo che si devono
superare varie strettoie: la complessità
dei bisogni e delle risposte ai bisogni richiede
un agire flessibile e differenziato che i
servizi non sono ancora in grado di esibire
in modo adeguato.
Bettoni conclude osservando che sarebbe sbagliato
mettersi a discutere se sia più importante
il fattore “sociale” o quello “sanitario”:
è l’intera rete, il complessivo sistema che
occorre considerare con ottica innovativa.
Ma proprio qui il problema delle risorse
di cui si può disporre diventa assolutamente
decisivo…
Il dottor Corsini ha dato risposta a tutte
le osservazioni qui sintetizzate. In breve:
· non esiste un problema di “confini” geografici,
ma di bisogni, che sono molto differenti
nei nostri territori distrettuali (per esempio,
le Rsa intercettano i bisogni soprattutto
delle persone oltre gli 85 anni, che però
sono in maggior numero in certe zone). La
nostra attenzione deve quindi andare soprattutto
al raccordo bisogni – strutture - servizi
– risorse… A questo proposito, egli considera
la situazione della nostra provincia favorevole:
non riceve meno risorse rispetto agli altri
territori della regione, e le sue strutture
sono già più in regola che altrove. Occorre
pertanto spendere meglio (per esempio, meno
IDR, costosissimi, a favore di altre soluzioni);
· riprende il tema dei medici di base che
non hanno aderito all’accordo con l’Asl:
questi sono mossi da varie ragioni, dalle
quali non consegue di necessità che svolgano
male il loro compito di valutazione a cui
sono comunque tenuti. In generale, i controlli
fatti sulle valutazioni dei medici di base
non hanno mostrato carenze preoccupanti (e
l’Asl persegue graduali miglioramenti per
il futuro);
· il dialogo fra sociale/sanitario è indubbiamente
molto difficile. Anche per questo, occorre
valorizzare il Consultorio, strumento per
l’integrazione e per la progettualità riferita
alla persona, e non alla mera valutazione
tipo Uvg. Tagliare o svalorizzare questo
strumento e tornare ad altro, significherebbe
lasciare l’utente in balia dell’offerta.
Tornando ai temi più generali, il dottor
Corsini non accetta che possa essere definita
“eretica” la sua idea di integrazione fra
il sociale e il sanitario, ma precisa che
l’integrazione deve essere affidata a due
entità in possesso di funzioni e di identità
chiare e forti. Non si tratta di unire due
“pezzi”, quelli più confinanti, dei due ambiti,
facendoli comunque restare tali e quali erano
prima, ma di configurarli in modo che siano
in sé capaci di creare integrazione (che,
ripete, esige culture, ottiche, logiche organizzative
e di partnership nuove e specifiche).
Da questo punto di vista, il PAC è utile,
perché può e deve creare proprio le premesse
dell’integrazione e quindi della valorizzazione
dei diversi soggetti in campo (magari ridefinendo
e riducendo il ruolo dell’Asl stessa). Tutto…
è PAC, anche i voucher, i trasferimenti monetari,
ecc.: se le linee guida del PAC favoriscono,
come devono, la messa in rete e in sistema
di tutti i soggetti e gli strumenti a disposizione,
se pongono veramente le basi per farli crescere
e orientare verso la logica e la pratica
dell’integrazione, allora anche le questioni
delle competenze, dei poteri (e, certo, dei
possibili conflitti) fra gli ambiti “sanitario”
e “sociale” possono davvero acquistare altre
e più produttive dinamiche e altre modalità
di risoluzione.
Il tema generale dell’integrazione permette
di ritornare al problema specifico delle
liste di attesa e dei criteri di valutazione
con nuovo senso problematico. Per esempio,
non bisogna mettere troppi compiti a carico
della soggettività delle assistenti sociali,
che non possono essere chiamate a “forzare”
le loro analisi per corrispondere a bisogni
particolarmente forti; piuttosto, in questi
casi si lasci un margine di scelta da parte
del livello “politico/istituzionale”.
Sempre da questo punto di vista, occorre
fare attenzione a non indebolire lo strumento
delle liste d’attesa: scavalcarle da più
parti con i “sollievi impropri”, con le “urgenze
sociali”, ecc., significa invalidarle. E’
indubbio che il governo delle liste d’attesa
resta sempre difficile (porta alcuni esempi)
e non elimina un inevitabile rischio di incertezza.
Pertanto, non bisogna assumerle come parametro
decisivo di equità (sotto alcuni aspetti,
ne sono soltanto il simulacro). Lo strumento-lista
d’attesa va visto come un utile indicatore:
non è l’unica soluzione, pertanto dovrà essere
supportato e magari sostituito da altri strumenti:
ma oggi c’è, e deve avere delineazione rigorosa,
che sia funzionale a precisi obiettivi (per
esempio, l’”urgenza” deve essere configurata
altrove).
Tutti i soggetti in campo, collettivi e individuali,
devono molto di più e meglio saper compiere,
e farlo sempre più insieme, il percorso culturale,
cognitivo e organizzativo che dal quadro
d’insieme e dai principi generali porta alle
attività settoriali e alle operatività specifiche.
Con questa visuale possiamo anche trovare
nuove risposte ad altre questioni, come quella
del perché il buono sociale non abbia saputo
“intercettare” le liste d’attesa… Possiamo
per esempio collegare lo strumento-buono
all’importante tematica delle “badanti”,
del mercato privato e sociale di cura e di
assistenza, dell’emersione del lavoro nero,
per arrivare alla qualificazione di certe
professionalità, alla valorizzazione della
donna, delle risorse familiari, di quelle
del volontariato, ecc. Si tratta per altro
di temi che un recente studio della Provincia,
di alto livello culturale, ha illustrato
efficacemente. E di temi che confermano come
l’ottica dell’integrazione premi il protagonismo,
la capacità, anche di confronto e di relazione,
di tutti i soggetti in campo.
 
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