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15 Settembre, 2002
Natale: dal sacro al santo e al profano
Martyne Perrot: Etnologia del Natale. Una festa paradossale

Pochi giorni fa - nel centro di Cremona come in altri paesi - alla luce del pomeriggio di domenica, Santa Lucia se ne andava in giro su un carretto trainato da Babbo Natale, a distribuire caramelle ai bambini. Le si copriva più o meno scrupolosamente il viso: magari la poveretta ci vedeva poco ma i bambini l’hanno vista! E questo, nella migliore tradizione, non dovrebbe mai accadere. Una riflessione sulle tradizioni potrebbe essere un buon passatempo, sotto l’albero di natale. Appunto. Albero di Natale nel cuore della “Padania”: da quando? e perché? “… Perché niente nasce dal niente…”

«Questa festa è un momento di intensa espressione collettiva e produce una riattualizzazione ciclica delle grandi figure sociali che hanno lasciato un segno nella storia. Si tratta della carità, della solidarietà, della famiglia e dell’infanzia. La celebrazione nella forma familiare come la conosciamo oggi, cioè la famiglia radunata a tavola per il cenone con il bambino come protagonista, non ha più di centocinquant’anni: è nata alla metà dell’Ottocento in Europa e negli Stati Uniti. In quell’epoca la compassione per i bambini poveri e vagabondi (memorabilmente descritti da Dickens) diventa un motivo costante e dominante dell’immaginario natalizio. Gli antropologi e gli storici anglosassoni, analizzando il sorgere di questa nuova forma di celebrazione, hanno parlato senza esitazione di “invenzione di una tradizione”. Certo, c’è sempre un rischio nell’impiego di termini del genere, perché niente nasce dal niente: a guidare le aspirazioni di una società, a dare forma a quello di cui una società si appropria, sono la sfera rituale, quella religiosa, quella socioeconomica.»

A scrivere questo è Martyne Perrot (ricercatrice in un centro studi interdisciplinari in sociologia, antropologia e storia già diretto da Edgar Morin) nel suo libro Etnologia del Natale (edizione italiana Elèuthera, 2001).

«Mentre molte ricorrenze tendono a sparire, questa pare rafforzarsi man mano che viene adottata e reinterpretata da altre culture. In quest’ottica il Natale si presenta come esempio privilegiato che da modo di riflettere su quelli che sono talvolta sbrigativamente definiti gli effetti della “globalizzazione”.»

In realtà, M. Perrot si occupa non del solo Natale ma del ciclo dei dodici giorni dal Natale all’Epifania: «un periodo dell’anno che è sempre stato propizio alla comunicazione tra il mondo dei viventi e quello dei morti», «che non appartiene più all’anno vecchio e non è ancora di quello nuovo», tempo del meraviglioso, del magico; dodici giorni, ciascuno dei quali sta a prefigurare un mese dell’anno nelle profezie per il raccolto dell’anno nuovo…

(Sia consentita una divagazione rispetto all’ambito della ricerca della Perrot. Sono dodici anche i giorni tra Natale e Santa Lucia - nell’Europa Orientale conosciuta con nomi equivalenti e sovrapposta ad una figura femminile più da “strega buona” che da “santa”. Chi della mia generazione - forse ultima - non ha estratto un biglietto dai 12 custoditi sotto il cuscino per sapere, la notte di Natale, il nome del futuro marito…)

Non c’è spazio per accennare alle “sopravvivenze pagane” (ovvero ai riti del sacro non cristiano), al significato - o ai significati - della luce nei riti d’inverno, e non possiamo che rimandare al libro per ripercorrere le fasi del processo di consolidamento della festa cristiana così come la viviamo oggi: la festa di Natale celebrata il 25 dicembre è ancora sconosciuta ai cristiani del primi tre secoli e comincia a diffondersi da Roma dal IV secolo. Sovrapponendosi al culto del “Sol invictus”.

Non meno interessante è la “biografia di Babbo Natale” di cui potrebbe essere il - o “un” - legittimo ascendente San Nicola. San Nicola di Bari di cui la Chiesa celebra il giorno della morte - 6 dicembre - e non della nascita (privilegio concesso soltanto a Gesù, a Maria e a Giovanni Battista), vescovo dei primi secoli, autore di miracoli a beneficio, molto spesso, di bambini. Lo si rappresenta perciò, nell’iconografia popolare e “dotta”, mentre reca doni ai bambini. La Controriforma favorirà l’abbandono del santo (per troppa “popolarità”?) e la sua figura - anche nei paesi del protestantesimo che respinge il culto dei santi - si “confonderà” con una figura maschile, un “babbo inverno” un po’ ambiguo, che può portare via i bambini indisciplinati come può portare loro dei doni. Ma nemmeno la figura del vescovo buono dalla “generosità selettiva” resiste a lungo a colui che arriva dal Nuovo Mondo: Santa Claus. Il “nostro” Babbo Natale, dal berretto rosso e la barba bianca.

Questo Santa Claus - Babbo Natale ha una biografia conosciuta nei dettagli: nasce alla fine del secolo XIX in un racconto natalizio con tanto di autore, cambia fisionomia attraverso le illustrazioni, arriva agli onori di essere - per mezzo del sogno di un immigrante olandese - “fondatore” e santo tutelare di New York.

«Negli Stati Uniti la popolarità di Santa Claus continuò a crescere, sfruttando e nello stesso incarnando “l’ideologia del successo individuale e dell’importanza dei simboli della ricchezza”. Viziando sempre più i bambini, offrendo loro regali sempre più costosi e lussuosi, Santa Claus si affermava come simbolo sia della generosità nazionale sia del successo materiale, e diventa in tal modo uno strumento di promozione commerciale senza precedenti. Nel 1930 … la Coca-Cola, che vuole allargare il proprio mercato coinvolgendo un pubblico più giovane, chiese a Haddon Sublom di utilizzare Santa Claus come argomento pubblicitario. Il bianco e il rosso del marchio della Coca-Cola hanno determinato così i colori del Babbo Natale contemporaneo. La storia americana del personaggio, cominciata nel timore della miseria generata dal capitalismo nascente, riceve così una spinta propulsiva proprio grazie a uno dei simboli più popolari di quel capitalismo.»

Estrapolando pochi punti forse si è fatto scempio della straordinaria ricchezza di dati intessuti in un testo piacevolmente scorrevole come solo la migliore saggistica sa fare. Storia, antropologia culturale, folkloristica, sociologia che danno per risultato quasi un “romanzo di Natale”.

M.T.

 


       



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