15 Settembre, 2002
«Casa d'Italia» in Argentina
Duecento italiani invitati a pranzo da un operaio, ex emigrato
Festa siracusana in Argentina
Duecento italiani invitati a pranzo da un operaio, ex emigrato, da anni
rientrato in patria
Veronica Tomassini su La Sicilia
Uomini di tempra, uomini d'altra pasta che hanno fatto un paio di guerre,
che sono saliti sui bastioni, che hanno sfidato il fronte jugoslavo, l'esercito
nazista, ritti sull'avamposto di liberazione. Ne parliamo, oggi, pronti a
rispolverare un primitivo orgoglio che fece di Corrado Amodeo “cavaliere della
Patria”.
Storia antica, di immigrazione e fierezza, di dipartite e lunghe traversate in
piroscafo.
Oltreoceano si compì, cinquant'anni fa, il monumento all'Italia degli esuli col
fagottino, del tutto simili, per ostinazione e pazienza, al pensionato
siracusano, 85 primavere, un bel po' di amor di patria dalla sua, un sano
nazionalismo che luccica, epigrafe, nel sontuoso edificio di Mar del Plata in
Argentina, sede della prestigiosa Associazione del Puerto “Casa d'Italia”.
Questo grande uomo, piccolo di statura, dallo sguardo docile, ma tenace per
indole, coraggioso altroché e ancora adesso, che negli anni del dopoguerra,
pensate, si sposò per procura, fu uno dei paladini della prima associazione di
italiani nel mondo. Era il 1953 quando Corrado, allora giovane imbianchino,
accettò di buon grado la proposta di un gruppo di amici connazionali.
L'idea era quella di erigere una casa dedicata agli italiani, un'associazione
vera e propria. Nessuno di loro aveva granché, soldi neanche a parlarne,
tuttavia il progetto fu il loro assillo e lo fu a lungo. Finché un pranzo
decise la sorte.
Amodeo sapeva dell'esistenza di un lotto di terreno, nella zona centrale della
cittadina a cinque ore dalla capitale. Il pranzo si trasformò presto in una
sorta di asta pubblica.
In vendita c'era quel lotto che Amodeo, su un foglio, aveva suddiviso in 866
quadretti, ad ognuno dei quali corrispondeva un metro quadro.
Chi acquistò un quadretto, chi cinque, chi addirittura dieci. Il terreno
divenne proprietà della comunità. Poi, l'edificazione, la prima pietra, i
mattoni offerti da importanti industrie italiane, forti in Argentina.
Quindi l'inaugurazione ufficiale, il 3 luglio del 1955. Trascorre mezzo secolo,
Corrado Amodeo, il membro più anziano dell'associazione “Casa d'Italia”,
continua a mantenere i contatti, non dimenticando quel gioiello costruito con la
volontà e il sacrificio di gente umile. Negli anni, la sua modesta pensione di
operaio Sincat, gli consentì di raggranellare un dignitoso gruzzoletto che egli
confidò di destinare all'istituzione in Argentina.
Così fece, offrendo un pranzo a duecento italiani, proprio nel luglio scorso,
in occasione dei festeggiamenti nel cinquantenario della nascita. Corrado Amodeo
affrontò le sue dodici ore di aereo, portò con sé cinquanta bandiere della
Repubblica Italiana, da consegnare agli invitati, a quarantotto di loro (due
sarebbero rimaste all'associazione); e nel frattempo inviò una lettera al
presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, pregandolo di inviarne una
dal Quirinale. Si realizzò ogni cosa, con il tempismo che il Buon Dio affida,
di norma, ai forti, ai puri di cuore.
Fu un pranzo meraviglioso, il vecchino aveva gli occhi lucidi e tanta gente
intorno che, con la bandiera, stretta al petto, ringraziava l'italiano
portentoso, colui che aveva portato il Belpaese e la fermezza dei patrioti.
Storie d'altri tempi, di sentimenti e di amor proprio, consumate soltanto un
paio di mesi fa, in un salone magniloquente, sorto su un terreno brullo, dove un
tempo si alimentarono le speranze. Amodeo è cavaliere, sempre. Ne siamo
convinti, patrimonio da salvaguardare, perla preziosa, nascosta, dimenticata,
forse.
O forse, no, c'è ancora tempo per rimediare alla trascuratezza.
Veronica Tomassini
 
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