15 Settembre, 2002
Sergio Baratto: Cinque anni
«Carlo è vivo e lotta insieme a noi»… «No, non è vero, è morto: … se lottasse in mezzo a noi pochi conoscerebbero il suo nome e la sua faccia…»
Cinque anni.
È stato detto che eravamo faine della condiscendenza, nuovi mafiosi in tuta
nera, padri disgraziati, psicologie fragili, utili idioti. Che eravamo
ignoranti, velleitari, che avevamo poche e sbagliate idee, che se i nostri
intenti si fossero tradotti in fatti, per il terzo mondo sarebbe stata la
rovina; che eravamo antioccidentali, antimodernisti, fiancheggiatori morali del
terrorismo, brodo di coltura della sovversione, figli e nipotini plagiabili dei
cattivi maestri. Che, in definitiva, eravamo stupidi, manovrabili, pericolosi e
delinquenti.
Eppure, di quelle giornate, io mi ricordo tutt'altro. Il bruciore del gas CS
sulla pelle, gli occhi gonfi, la gola chiusa. Il sibilo dei candelotti, la fuga
scomposta. Un'ambulanza dai vetri spaccati e un uomo con il sangue sulla faccia.
Mi ricordo le espressioni sconce di quegli otto omuncoli, impettiti davanti alle
telecamere nei loro completi scuri. Mi ricordo di aver pensato che, con tutto
quel caldo, i loro piedi dovevano per forza imputridire dentro quelle scarpette
eleganti da statisti di vaglia.
Mi ricordo il sorriso cattivo di un ufficiale di polizia in borghese mentre gli
sfilavo davanti impaurito, con le mani in alto.
Mi ricordo le braccia sottili di un ragazzo di fronte a una pistola.
Non lo conoscevo, ma era come un fratello.
*
Un anno dopo sono tornato. C'erano iniziative sparse qua e là per il centro e su
tutto aleggiava lo stesso caldo cocente dell'anno prima. Alle 17,27 piazza
Alimonda si è fermata. Io c'ero arrivato da una stradina laterale, all'ultimo
momento, convinto per sbadataggine che mancasse ancora qualche minuto. Avevo
appena comprato e intaccato un enorme pezzo di focaccia. Ho deglutito in fretta
e ho interrotto la masticazione. La gente riempiva la piazza, tutti in piedi e
in silenzio. Poi, quando i sessanta secondi simbolici sono terminati, si è
levato un coro: "Carlo è vivo e lotta insieme a noi". Io mi sono irritato,
ricordo di aver pensato tra me e me "No, non è vero, è morto: se fosse vivo non
saremmo qua a gridare slogan del cazzo, se lottasse in mezzo a noi pochi
conoscerebbero il suo nome e la sua faccia…". La stupidità consolatoria di
queste frasi menzognere è però irresistibile. Anche a me è successo di
sorridere, leggendo a sorpresa su qualche muro, nei luoghi e nei momenti più
inaspettati, "Carlo vive".
[…]
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Sergio Baratto: Cinque anni
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