15 Settembre, 2002
Appunti per un quadro di riferimenti teorico al *partito democratico*
Luciano Bonet, giugno 06 - docente di Sociologia Politica alla Facoltà di Sc. Politiche di Torino
Nella discussione sul nuovo Partito democratico (PD), è pericolosamente e colpevolmente assente qualsiasi richiamo a modelli e teorie dei partiti in quanto tali, confermando la tendenza compulsiva della politica a farsi sempre più intellettualmente sciatta e metodologicamente “autoreferenziale”.
Propongo dunque qui uno schema d’analisi del tutto svincolato dall’agenda quotidiana (di cui ne costituisce però la premessa), convinto che se non si recupera un modo di ragionare più ampio, gli esiti dell’operazione in corso -a confronto delle aspettative diffuse- saranno deludenti, se non fallimentari. Senza contare che il volontarismo politico (specie se retto da una forte etica della convinzione), rischia spesso di fare danni e, comunque, di scontrarsi sempre e puntualmente con la logica stringente delle interazioni sociali, e/o con la loro stessa imprevedibilità.
In altri termini, il mio non è un discorso sul “dover essere”, ma è, da un lato, un invito ad esplorare le condizioni preliminari che lo rendano possibile; dall’altro, è un invito a mettere in discussione lo stesso “dover essere”, se questo è accettazione di umori e stereotipi diffusi ma non sottoposti a sufficiente vaglio critico.
Svilupperò (schematicamente) i seguenti punti:
1) come e perché nasce, ed eventualmente muore, un partito politico;
2) i partiti storici, organizzati, ideologici, di massa e la democrazia
3) la “rivoluzione silenziosa” delle culture politiche dagli anni ’70 in poi;
4) la crisi delle democrazie occidentali;
5) un quadro di riferimenti possibile per un “partito democratico”.
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