Da mesi in Italia il tema della famiglia è al centro del confronto tra forze
politiche e sociali, organizzazioni religiose e culturali. Un dibattito
importante, che coinvolge aspetti delicati della vita di milioni di persone e
investe la stessa qualità della nostra democrazia, che però sempre più sta
assumendo i toni preoccupanti di uno scontro ideologico che prevale sul merito
delle questioni.
Il merito dovrebbe riguardare i diritti civili e sociali di chiunque sceglie
di vivere liberamente le proprie relazioni affettive, indipendentemente dalla
forma di convivenza o dall’orientamento sessuale, in un contesto famigliare.
La discussione apertasi sui “dico”, soprattutto dopo il Family Day, e la
stessa Conferenza nazionale sulla famiglia promossa dal Ministro Bindi, per come
è stata impostata e gestita, rischiano di dividere il Paese in posizioni
rigidamente precostituite anziché favorire l’individuazione di soluzioni
concrete e largamente condivise, come avviene invece a livello europeo.
Tutto il dibattito di queste settimane è viziato da una lettura ideologica e
religiosa fuorviante rispetto all’esigenza di elaborare adeguate politiche di
promozione della coesione sociale, dei diritti di cittadinanza e di sostegno
alle famiglie intese come luogo di relazioni libere e plurali fra persone
impegnate nella ricerca della loro piena autonomia e del loro benessere. Prevale
una lettura distorta, che nega alla radice i diritti di quanti non si
riconoscono nel modello della famiglia tradizionale, a cominciare dalle coppie
omosessuali, e non coglie le vere cause della crisi della famiglia.
Sostenere che la famiglia tradizionale sia minacciata dall’estensione dei
diritti alle coppie di fatto è pura ipocrisia, significa non voler vedere che la
crisi della famiglia ha cause ben più profonde negli ultimi due secoli di
storia, nel liberismo globalizzato, nei processi di secolarizzazione, nelle
conquiste della scienza in tema di contraccezione e procreazione assistita.
Parlare di famiglia naturale significa accreditarne una visione fuori dalla
storia, mentre invece l’evoluzione dell’istituto della famiglia è pienamente
dentro i processi storici. Basta ricordare cosa costruì il fascismo su questo
tema e le battaglie civili che poi furono necessarie per conquistare un moderno
diritto di famiglia incentrato sulla parità dei sessi, per eliminare dal codice
il delitto d’onore e superare la condizione subalterna dei figli; e ancora i
processi di emancipazione e liberazione delle donne che hanno messo in crisi il
modello patriarcale, la liberazione sessuale che ha separato la sessualità dalla
riproduzione nella cultura diffusa del Paese, infrangendo tabù secolari.
Modificazioni su cui hanno influito fattori economici e sociali, ma anche il
portato dei cambiamenti nel costume sociale e delle lotte in nome della libertà,
della parità tra i sessi e della legittimità delle diverse forme di unioni.
Sono processi profondi e diversificati quelli che stanno mettendo in
discussione il concetto di famiglia e non certo le coppie gay, che al contrario
rivendicando i loro diritti ne rilanciano il valore sociale e culturale.
Le famiglie tradizionali in Italia sono ormai meno della metà, in alcune zone
del Paese quelle senza figli sono il doppio di quelle con prole, mentre altri
paesi europei, grazie ad appropriate politiche di welfare, registrano da anni
tassi di natalità in crescita; tasso che in Italia è invece tra i più bassi del
mondo, poco più di un figlio per donna, mentre l’età media delle madri alla
nascita del primo figlio è ormai superiore ai trent’anni. Le donne, nonostante
una consistente crescita dell’occupazione, rimangono penalizzate dalle rigidità
sociali, dalla mancanza di una adeguata rete di servizi per la prima infanzia,
di una vera flessibilità nel lavoro, di meccanismi di tutela della maternità per
le lavoratrici e di superamento della precarietà.
Particolarmente penalizzate sono le famiglie migranti che con la loro
presenza e i loro tassi di riproduzione stanno garantendo la tenuta demografica
del paese. Nonostante tanta retorica sulla famiglia, i migranti incontrano
ancora enormi difficoltà nei ricongiungimenti, perché le condizioni poste dalla
legge (casa e reddito) diventano spesso ostacoli insormontabili per la
ricomposizione di nuclei familiari. Le discriminazioni nei confronti delle
famiglie migranti passano poi attraverso il lavoro nero, l’esclusione dalle
opportunità di incontro e di socialità, le difficoltà di inserimento scolastico,
tutti fenomeni che rischiano di generare marginalità sociale e pericolose e
derive identitarie.
Mettere in campo politiche tese a promuovere i diritti di cittadinanza e la
coesione sociale, costruire strumenti per il sostegno delle persone all’interno
di una pluralità di forme di relazioni: di questo c’è bisogno, e non di
attardarsi in dispute ideologiche sul primato della famiglia naturale. Per
ristabilire le condizioni di un serio confronto su questi temi occorre anzitutto
sgombrare il campo da posizioni ideologiche e precostituite per ragionare sulle
mutazioni profonde della società, sui rischi e sulle potenzialità dei
cambiamenti in corso.
In questo senso non aiuta l’atteggiamento della Chiesa Cattolica che con il
pontificato di Ratzinger ha accentuato il richiamo alla tradizione,
all’ortodossia e al primato della morale cattolica sulla società italiana.
Posizioni a cui del resto corrisponde il fenomeno più generale e non solo
italiano di un preoccupante ritorno dei fondamentalismi. Da un capo all’altro
del pianeta, la riaffermazione della supremazia dell’istanza religiosa sugli
stati e l’abdicazione della laicità della cultura politica moderna rappresentano
il tentativo di mascherare dietro la trascendenza dei valori il fallimento di un
modello di società. In questo contesto la Chiesa cerca di coprire il vuoto
creatosi nella cultura politica democratica per riproporsi come centro esclusivo
ed ultimo dell’etica pubblica.
Per affrontare il tema delle famiglie oggi bisogna partire dalla sofferenza e
dal disagio reale di milioni di persone costrette ad appoggiarsi alle reti
famigliari in assenza di servizi adeguati. Parliamo di persone non
autosufficienti, non solo anziani, di cinque milioni di donne sole, di giovani
che non possono lasciare la famiglia d’origine a causa della insicurezza e della
precarietà del lavoro, di coppie che non riescono a trovare una casa alla loro
portata, di nuclei familiari che faticano ad arrivare alla fine del mese.
Queste persone non hanno bisogno di un’astratta esaltazione della centralità
della famiglia nelle politiche di welfare, chiedono risposte concrete e
differenziate, che valorizzino, indipendentemente dalle diverse scelte affettive
e senza alcuna discriminazione, tutti i legami che basandosi sul mutuo aiuto
diventano elemento di coesione sociale.
C’è bisogno di un nuovo welfare incentrato su politiche inclusive e non più
risarcitorie, capace di cogliere la pluralità dei bisogni di una società fluida
e dinamica. Un welfare che metta al centro le persone, donne, anziani, bambini,
giovani, diversamente abili, migranti, ciascuna con i problemi specifici del
proprio vissuto. Un welfare dotato di mezzi economici adeguati almeno alle medie
europee, governato da un forte ruolo pubblico a garanzia dell’universalità dei
diritti, decentrato sul territorio, organizzato secondo criteri di efficienza e
di integrazione fra sociale e sanitario e fra pubblico e privato sociale.
Tutto ciò non è assolutamente incompatibile con l’allargamento dei diritti e
delle tutele alle nuove forme di convivenza familiare. Non è incompatibile con
il diritto di gay, lesbiche e coppie di fatto di poter assistere il proprio
convivente in ospedale, ereditare il patrimonio comune, subentrare nel contratto
di locazione, ricevere la pensione di reversibilità. Riconoscere questi diritti
a milioni di cittadini che oggi ne sono privati non toglie niente alle famiglie
fondate sul matrimonio, può solo rendere più giusta e serena la nostra comunità
sociale.
Si tratta di prendere atto di una trasformazione profonda dei legami
familiari, e cogliervi le potenzialità di una ricerca di relazioni affettive più
forti e autentiche tra gli individui e tra questi e la società. Dare centralità
solo a un’idea statica e ideologica di famiglia finirebbe invece per vanificare
ogni sforzo di innovazione e di estensione delle politiche di welfare. Su questo
rischio dovrebbero riflettere meglio governo e forze politiche, tanto di
ispirazione laica che cattolica.
E’ una grande questione culturale che riguarda tutte e tutti, in gioco c’è il
principio fondamentale e per noi irrinunciabile che tutti i cittadini nascono
con pari dignità e devono poter contare su uguali diritti ed opportunità.
La presidenza nazionale Arci