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15 Settembre, 2002
Oltre la retorica della famiglia
Un documento dell'Arci Nazionale. «Allargare i diritti di tutte e di tutti»

Da mesi in Italia il tema della famiglia è al centro del confronto tra forze politiche e sociali, organizzazioni religiose e culturali. Un dibattito importante, che coinvolge aspetti delicati della vita di milioni di persone e investe la stessa qualità della nostra democrazia, che però sempre più sta assumendo i toni preoccupanti di uno scontro ideologico che prevale sul merito delle questioni.

Il merito dovrebbe riguardare i diritti civili e sociali di chiunque sceglie di vivere liberamente le proprie relazioni affettive, indipendentemente dalla forma di convivenza o dall’orientamento sessuale, in un contesto famigliare.

La discussione apertasi sui “dico”, soprattutto dopo il Family Day, e la stessa Conferenza nazionale sulla famiglia promossa dal Ministro Bindi, per come è stata impostata e gestita, rischiano di dividere il Paese in posizioni rigidamente precostituite anziché favorire l’individuazione di soluzioni concrete e largamente condivise, come avviene invece a livello europeo.

Tutto il dibattito di queste settimane è viziato da una lettura ideologica e religiosa fuorviante rispetto all’esigenza di elaborare adeguate politiche di promozione della coesione sociale, dei diritti di cittadinanza e di sostegno alle famiglie intese come luogo di relazioni libere e plurali fra persone impegnate nella ricerca della loro piena autonomia e del loro benessere. Prevale una lettura distorta, che nega alla radice i diritti di quanti non si riconoscono nel modello della famiglia tradizionale, a cominciare dalle coppie omosessuali, e non coglie le vere cause della crisi della famiglia.

Sostenere che la famiglia tradizionale sia minacciata dall’estensione dei diritti alle coppie di fatto è pura ipocrisia, significa non voler vedere che la crisi della famiglia ha cause ben più profonde negli ultimi due secoli di storia, nel liberismo globalizzato, nei processi di secolarizzazione, nelle conquiste della scienza in tema di contraccezione e procreazione assistita.

Parlare di famiglia naturale significa accreditarne una visione fuori dalla storia, mentre invece l’evoluzione dell’istituto della famiglia è pienamente dentro i processi storici. Basta ricordare cosa costruì il fascismo su questo tema e le battaglie civili che poi furono necessarie per conquistare un moderno diritto di famiglia incentrato sulla parità dei sessi, per eliminare dal codice il delitto d’onore e superare la condizione subalterna dei figli; e ancora i processi di emancipazione e liberazione delle donne che hanno messo in crisi il modello patriarcale, la liberazione sessuale che ha separato la sessualità dalla riproduzione nella cultura diffusa del Paese, infrangendo tabù secolari. Modificazioni su cui hanno influito fattori economici e sociali, ma anche il portato dei cambiamenti nel costume sociale e delle lotte in nome della libertà, della parità tra i sessi e della legittimità delle diverse forme di unioni.

Sono processi profondi e diversificati quelli che stanno mettendo in discussione il concetto di famiglia e non certo le coppie gay, che al contrario rivendicando i loro diritti ne rilanciano il valore sociale e culturale.

Le famiglie tradizionali in Italia sono ormai meno della metà, in alcune zone del Paese quelle senza figli sono il doppio di quelle con prole, mentre altri paesi europei, grazie ad appropriate politiche di welfare, registrano da anni tassi di natalità in crescita; tasso che in Italia è invece tra i più bassi del mondo, poco più di un figlio per donna, mentre l’età media delle madri alla nascita del primo figlio è ormai superiore ai trent’anni. Le donne, nonostante una consistente crescita dell’occupazione, rimangono penalizzate dalle rigidità sociali, dalla mancanza di una adeguata rete di servizi per la prima infanzia, di una vera flessibilità nel lavoro, di meccanismi di tutela della maternità per le lavoratrici e di superamento della precarietà.

Particolarmente penalizzate sono le famiglie migranti che con la loro presenza e i loro tassi di riproduzione stanno garantendo la tenuta demografica del paese. Nonostante tanta retorica sulla famiglia, i migranti incontrano ancora enormi difficoltà nei ricongiungimenti, perché le condizioni poste dalla legge (casa e reddito) diventano spesso ostacoli insormontabili per la ricomposizione di nuclei familiari. Le discriminazioni nei confronti delle famiglie migranti passano poi attraverso il lavoro nero, l’esclusione dalle opportunità di incontro e di socialità, le difficoltà di inserimento scolastico, tutti fenomeni che rischiano di generare marginalità sociale e pericolose e derive identitarie.

Mettere in campo politiche tese a promuovere i diritti di cittadinanza e la coesione sociale, costruire strumenti per il sostegno delle persone all’interno di una pluralità di forme di relazioni: di questo c’è bisogno, e non di attardarsi in dispute ideologiche sul primato della famiglia naturale. Per ristabilire le condizioni di un serio confronto su questi temi occorre anzitutto sgombrare il campo da posizioni ideologiche e precostituite per ragionare sulle mutazioni profonde della società, sui rischi e sulle potenzialità dei cambiamenti in corso.

In questo senso non aiuta l’atteggiamento della Chiesa Cattolica che con il pontificato di Ratzinger ha accentuato il richiamo alla tradizione, all’ortodossia e al primato della morale cattolica sulla società italiana. Posizioni a cui del resto corrisponde il fenomeno più generale e non solo italiano di un preoccupante ritorno dei fondamentalismi. Da un capo all’altro del pianeta, la riaffermazione della supremazia dell’istanza religiosa sugli stati e l’abdicazione della laicità della cultura politica moderna rappresentano il tentativo di mascherare dietro la trascendenza dei valori il fallimento di un modello di società. In questo contesto la Chiesa cerca di coprire il vuoto creatosi nella cultura politica democratica per riproporsi come centro esclusivo ed ultimo dell’etica pubblica.

Per affrontare il tema delle famiglie oggi bisogna partire dalla sofferenza e dal disagio reale di milioni di persone costrette ad appoggiarsi alle reti famigliari in assenza di servizi adeguati. Parliamo di persone non autosufficienti, non solo anziani, di cinque milioni di donne sole, di giovani che non possono lasciare la famiglia d’origine a causa della insicurezza e della precarietà del lavoro, di coppie che non riescono a trovare una casa alla loro portata, di nuclei familiari che faticano ad arrivare alla fine del mese.

Queste persone non hanno bisogno di un’astratta esaltazione della centralità della famiglia nelle politiche di welfare, chiedono risposte concrete e differenziate, che valorizzino, indipendentemente dalle diverse scelte affettive e senza alcuna discriminazione, tutti i legami che basandosi sul mutuo aiuto diventano elemento di coesione sociale.

C’è bisogno di un nuovo welfare incentrato su politiche inclusive e non più risarcitorie, capace di cogliere la pluralità dei bisogni di una società fluida e dinamica. Un welfare che metta al centro le persone, donne, anziani, bambini, giovani, diversamente abili, migranti, ciascuna con i problemi specifici del proprio vissuto. Un welfare dotato di mezzi economici adeguati almeno alle medie europee, governato da un forte ruolo pubblico a garanzia dell’universalità dei diritti, decentrato sul territorio, organizzato secondo criteri di efficienza e di integrazione fra sociale e sanitario e fra pubblico e privato sociale.

Tutto ciò non è assolutamente incompatibile con l’allargamento dei diritti e delle tutele alle nuove forme di convivenza familiare. Non è incompatibile con il diritto di gay, lesbiche e coppie di fatto di poter assistere il proprio convivente in ospedale, ereditare il patrimonio comune, subentrare nel contratto di locazione, ricevere la pensione di reversibilità. Riconoscere questi diritti a milioni di cittadini che oggi ne sono privati non toglie niente alle famiglie fondate sul matrimonio, può solo rendere più giusta e serena la nostra comunità sociale.

Si tratta di prendere atto di una trasformazione profonda dei legami familiari, e cogliervi le potenzialità di una ricerca di relazioni affettive più forti e autentiche tra gli individui e tra questi e la società. Dare centralità solo a un’idea statica e ideologica di famiglia finirebbe invece per vanificare ogni sforzo di innovazione e di estensione delle politiche di welfare. Su questo rischio dovrebbero riflettere meglio governo e forze politiche, tanto di ispirazione laica che cattolica.

E’ una grande questione culturale che riguarda tutte e tutti, in gioco c’è il principio fondamentale e per noi irrinunciabile che tutti i cittadini nascono con pari dignità e devono poter contare su uguali diritti ed opportunità.

La presidenza nazionale Arci

 


       



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