15 Settembre, 2002
Quando col Muro crollò il socialismo reale (di A. Occhetto)
Stiamo sicuramente parlando dell’evento degli eventi del XXI secolo. Un evento che dal punto di vista geopolitico chiude la storia del secondo millennio.
Stiamo sicuramente parlando dell’evento degli eventi del XXI secolo. Un evento che dal punto di vista geopolitico chiude la storia del secondo millennio. Il secolo breve si era aperto con l’altro atto straordinario che ha dettato per settanta anni l’agenda politica del pianeta: i dieci giorni che sconvolsero il mondo della Rivoluzione di ottobre.
Dieci giorni che fecero del comunismo il fulcro centrale di ogni altro avvenimento, che coagularono in fronti contrapposti due mondi separati e avversi, e che, tranne durante la indimenticabile pagina della resistenza al nazismo, si contrastarono senza esclusione di colpi. Lo scontro per molto tempo non fu solo tra destra e sinistra, ma anche tra comunismo e anticomunismo. Fu tra un’idea di uguaglianza senza libertà e una idea di libertà senza uguaglianza. E sulla contrapposizione tra queste due belle parole che la Rivoluzione francese aveva unite sulle sue bandiere libertarie e insieme egualitarie si era aperto l’abisso della violenza nel quale scorreva il sangue di crimini indicibili. Il terrore, la tortura, il dispotismo divennero, in ambo i campi, strumenti leciti per combattere una guerra senza esclusione di colpi.
Nello stesso tempo i democratici sinceri, che avevano fatto della libertà l’inizio e la fine di ogni agire umano, e che militavano in entrambe le parti, non riuscivano a prevalere, se non in alcuni casi di grande rilievo come quello della promulgazione della Costituzione democratica e antifascista su cui si fonda lo Stato italiano, quello dello Stato sociale della grande tradizione socialista e democratica europea e, per alcuni aspetti, quello del kennedismo negli Usa e del messaggio di pace e di tolleranza di Papa Giovanni.
Il 9 novembre del 1989 venne ancora una volta dalla Russia una notizia che chiudeva quella pagina insieme appassionante e dolorosa che si era aperta proprio in quel paese. Dico dalla Russia perché la caduta del Muro suggella la fine del generoso tentativo gorbacioviano di riformare il socialismo reale, dimostrando in modo inequivocabile l’irriformabilità di quei regimi.
Con la caduta del muro di Berlino crollava tutta l’impalcatura bipolare su cui per decenni si era fondata la politica internazionale e interna di tutti, o quasi tutti, i paesi del mondo. Segnava la fine della spartizione del mondo in due blocchi contrapposti, faceva uscire dalla storia il cosiddetto socialismo reale, apriva la strada al crollo definitivo dell’Urss, mutava la configurazione dello scontro politico all’interno dei vari stati nazionali, modificava le alleanze e i blocchi politici, apriva la strada a una scomposizione e ricomposizione delle forze in campo, ridisegnava la mappa delle diverse aree geopolitiche. Soprattutto, metteva fine alla guerra fredda e al rischio di una guerra calda tra i blocchi combattuta con le armi termonucleari, con la conseguente distruzione della civiltà umana. La liberalizzazione di Gorbaciov è stata, dal punto di vista della sicurezza e della pace, un merito storico di cui non gli si darà mai sufficientemente atto.
La caduta del Muro faceva cadere tanti altri muri politici, morali, ideali che avevano diviso tra di loro le diverse forze della democrazia e della sinistra.
Per questo quel indimenticabile ‘89 ha assunto un valore paradigmatico per la stessa politica italiana e per ciascuno di noi che in quel crocevia della storia ha avuto funzioni di grande responsabilità politica.
Capimmo subito che non ci trovavamo dinnanzi ad un evento da commentare dall’esterno, ma che ci trovavamo al cospetto di un avvenimento che coinvolgeva direttamente il nostro agire politico e il nostro stesso modo di essere.
Io ho avuto modo di vivere l’evento a Bruxelles, al parlamento europeo, dove mi ero recato per incontrare Kinnock, il segretario laburista che più d’ogni altro aveva rinnovato il suo partito. L’incontro s’inquadrava nella mia instancabile missione per porre il problema della nostra entrata nell’Internazionale socialista. Nel mezzo di quell’incontro arrivarono le notizie della caduta del muro di Berlino. Guardai assieme al leader britannico le immagini trasmesse dalla televisione. Le picconate, le urla di gioia, le danze, l’esultanza di migliaia di giovani che saltavano di là e di qua del muro. C’era commozione e incredulità nelle strade di Berlino. Il mondo era stupito, come si intravede dalla stessa prima pagina dell’epoca ripubblicata da l’Unità.
Ai giornalisti che mi interrogarono a caldo risposi: «Siamo di fronte ad un mondo profondamente diverso da quello che abbiamo imparato a conoscere dal 1945 in poi». E aggiunsi: «Ora l’epoca della guerra fredda è per davvero finita. Fino ad oggi l’equilibrio mondiale si è fondato sull’incontro e scontro tra i due blocchi. Oggi si devono trovare nuovi equilibri e si tratta di governare i tumultuosi processi in corso».
Ma ben presto si capì che non era sufficiente l’interpretazione politologica.
Le solite parole sulla necessità di un rinnovamento suonavano ridicole. Si rendeva ormai necessaria una politica non ideologica ma positiva, da parte di tutte le forze democratiche occidentali, perché le trasformazioni erano così radicali che non investivano più solo l’Est ma tutto il mondo, e l’Europa in particolare. Per questo dissi a caldo, davanti a Kinnock, che annuiva, che saltavano tutti gli assetti del dopoguerra e tutte le forze più avvertite erano ora obbligate a ridefinirsi. Era l’annuncio del nuovo inizio e del concetto che la campana del nuovo inizio avrebbe suonato per tutti.
Il problema che si apriva con la caduta del Muro non era dei soli comunisti, ma di struttura generale del mondo, di destino delle grandi forze storiche.
Sotto questo profilo si può storiograficamente dire che la caduta del Muro ha coinvolto la politica interna italiana più di ogni altro paese dell’Europa occidentale. Naturalmente se si elude, su un terreno del tutto diverso, l’unificazione tedesca.
E la svolta della Bolognina fu l’evento più significativo di quell’anello che congiungeva, nell’interpretazione del valore della caduto del Muro, politica internazionale e politica interna. Una interpretazione esclusivamente internazionale di quell’evento è, a mio avviso, estremamente limitata e parziale, così come una interpretazione solo nazionale della svolta sarebbe molto provinciale.
Fin dalle prime interpretazioni e giustificazioni della necessità di un nuovo inizio si capì che con la caduta del Muro di Berlino la situazione politica generale aveva subito un’accelerazione di proporzioni incalcolabili, e che non ci trovavamo solo davanti ad eventi che tendevano a cambiare la configurazione degli assetti mondiali così come erano scaturiti dalla seconda guerra mondiale. Si trattava di qualcosa che chiamava in causa la spartizione di Yalta, e che avrebbe aperto la strada all’esigenza di un diverso governo del mondo, a partire dal riconoscimento della autodeterminazione dei popoli. Non a caso ponemmo subito il tema della unificazione tedesca, come obiettivo politico immediato. Nello stesso tempo incominciava ad apparire chiaro che ciò che era accaduto a Berlino si presentava come il catalizzatore di un processo già in corso che, in un certo senso, avrebbe sgretolato un mondo, colpito non solo nell’immagine, ma anche nella possibilità di presentarsi come una realtà che, sia pure attraverso vie autoritarie, avrebbe potuto, in qualche modo, costituire una tappa, per quanto terribile, verso il socialismo. Ne conseguiva che il processo da cui aveva preso il nome il comunismo internazionale si trovava a fare i conti con uno sconvolgimento che presentava tutte le caratteristiche di una crisi storica.
Era il crollo di quel collettivismo burocratico che aveva finito per negare e offuscare gli ideali del socialismo democratico e per recare un danno inestimabile a tutte le forze che volevano mantenere aperta la via del rinnovamento delle società capitaliste, anche attraverso un profondo, ma democratico, mutamento del modello di sviluppo.
Nello stesso tempo il crollo del muro di Berlino non avrebbe dovuto sostituire i due centri del governo del mondo della guerra fredda, quello di Mosca e quello di Washington, con l’unilateralismo degli Usa ma con una nuova forma di democrazia planetaria che avesse al proprio centro una Organizzazione delle Nazioni Unite profondamente riformata. Purtroppo siamo ancora molto lontani, se si esclude l’unica vera grande novità rappresentata dalla costituzione della Unione europea, da una effettiva riorganizzazione democratica delle relazioni internazionali.
In buona sostanza, per non rimanere sotto le macerie del socialismo reale la via obbligata non era quella di uscire dal crollo del comunismo da destra; si poteva ancora tentare una fuoriuscita da sinistra, senza regalare la parola libertà alla destra.
Non a caso il richiamo che nel momento della svolta io feci alla sinistra diffusa e sommersa segnava le prime note di una sinfonia più ampia, quella della costituente di una nuova forza della sinistra e dell’ulivismo.
Il crollo del Muro poteva riunificare quelle forze democratiche e di sinistra che fino a quel momento si erano combattute perché si erano collocate ai lati opposti della barricata. Per questo dicemmo che ci doveva guidare una grande visione, la visione di una grande forza democratica che rispondesse alle esigenze della nazione. «Solo rispondendo all’esigenza oggettiva di fornire al paese una sinistra capace di affrontare la grande questione democratica che ci sta dinnanzi, assolveremo anche ad una funzione più generale di ricomposizione della sinistra»: così dicemmo con la svolta. E così dobbiamo ancora fare.
Per questo quell’evento non recava con sé solo la distruzione ma anche la possibilità di raccogliere energie nuove, la possibilità di mettere in moto le forze disperse di una sinistra diffusa, di una sinistra sommersa e scoraggiata.
Questa potenzialità è stata colta solo in parte e oggi molte cose sono da rifare. Rimane per fortuna la fine di una contrapposizione micidiale che avrebbe portato l’umanità verso la catastrofe.
A patto che non si costruiscano ad arte, come purtroppo sta avvenendo, altri muri, che non si passi dalla guerra ideologica a quella di religione, dai muri di pietra agli scudi stellari. Ma questi sono problemi di altre prime pagine che verranno commentate fra qualche anno e da altri.
 
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