15 Settembre, 2002
*Nel '56 mi opposi all'invasione dell'Ungheria, Pajetta mi fece nero*
Cini, il «vendicatore» di Galileo: criticai pure il Pci - *Il Corriere della Sera* presenta il prof. Marcello Cini (di Aldo Cazzullo)
L'ombra di Galileo attendeva da quattro secoli il professor
Marcello Cini che la vendicasse. Almeno, il professor Cini ne sembra
convinto. «Sin dai tempi di Cartesio si è addivenuti, per porre fine
al conflitto fra conoscenza e fede culminato con la condanna di
Galileo da parte del Santo ufficio, a una spartizione di sfere di
competenza tra l'Accademia e la Chiesa. La sua clamorosa violazione
nel corso dell'inaugurazione dell'anno accademico de La Sapienza
sarebbe considerata, nel mondo, come un salto indietro nel tempo...».
Il professor Cini non è solo l'artefice della lettera aperta dello
scorso 14 novembre, che ha innescato l'incidente più serio con il
Vaticano da tempo immemorabile. E' uno dei grandi vecchi (84 anni,
quattro più del suo avversario Ratzinger) della cultura italiana.
Fin da quando, oltre mezzo secolo fa, Edoardo Amaldi, Enrico Persico
e Giorgio Salvini — vale a dire, la Fisica — lo chiamarono a
insegnare proprio alla Sapienza. «Cattivo maestro » si definisce
(riprendendo un'invettiva di Giorgio Bocca) nel titolo della propria
autobiografia intellettuale, pubblicata nel 2001 da Bollati
Boringhieri. Ma si capisce bene che scherza e, in fondo, si
stima. «Non posso fare a meno di domandarmi se non mi sono troppo
spesso identificato con Charlie Brown quando confessa: odio la
gente, ma amo l'umanità!», ha scritto di sé. Di Ratzinger,
invece: «Ci vuole un bel coraggio a nascondere sotto lo zerbino le
crociate, i pogrom contro gli ebrei, lo sterminio degli indigeni
delle Americhe, la tratta degli schiavi, i roghi
dell'Inquisizione... ».
Nato a Firenze, formatosi al liceo D'Azeglio di Torino, iscritto al
Pci fin dai primi anni del dopoguerra, nel '56 porta al congresso
della federazione di Catania, dove insegna, una mozione di critica
all'invasione dell'Ungheria: «Pajetta mi rispose facendomi nero, con
il sarcasmo che gli era abituale». Critico da sinistra del
togliattismo, amico di Raniero Panzieri, fu l'unico tra i docenti di
fisica — lo racconta il suo allievo Marco D'Eramo — a schierarsi con
gli studenti ribelli del '68. Cofondatore del Manifesto. E poi:
Medicina democratica, la polemica con Emilio Sereni reo di aver
esaltato lo sbarco americano sulla luna («ma quale progresso, è
stato il più fantastico spettacolo di circenses offerto alla plebe
dai tempi di Nerone! »), i protoambientalisti, la battaglia contro
il nucleare. Ma Cini ha lasciato il più ampio segno di sé con «L'ape
e l'architetto», che fu il caso politico-culturale del 1976. Un
titolo mutuato da Marx, un pamphlet a più mani per dire che la
scienza non è mai neutrale, non è indifferente alla storia, alle
idee, e soprattutto agli interessi. La reazione dei colleghi fu ora
ammirata, ora beffarda; uno di loro replicò che i corpi cadevano nel
vuoto allo stesso modo, sia che al potere fossero i democristiani,
sia i comunisti. Lucio Colletti infierì: «C'è una certa differenza
tra le verità scientifiche e la predica di un parroco o la relazione
di un segretario generale». «Il mio vero rimpianto — si immalinconì
lui — è che uno impara a vivere quando non gli serve più». Serviva
invece a respingere Benedetto XVI, che gli ha regalato una seconda
giovinezza: «Possiamo tollerare che il papa », minuscolo
ovviamente, «possa dire ai nostri colleghi biologi che non devono
prendere sul serio Darwin?».
Capelli bianchi, occhi azzurro pallido, una riproduzione di Guernica
dietro la scrivania, Cini non è mai stato un intellettuale retrivo.
Pronto già nel '94 a dichiarare la fine del paradigma delle certezze
(«Un paradiso perduto» uscì da Feltrinelli), è stato tra i primi a
occuparsi di bioetica e a denunciare «il pericolo maggiore, una
visione di onnipotenza». Critico della clonazione e della scienza
ridotta a mercato, ha ammonito a non demonizzare gli ogm — «non
fanno peggio delle sigarette e degli hamburger» — e ha invitato la
sinistra a diffidare «degli scienziati che giocano a Dio», e anche
un poco di se stessa. Proprio sul Manifesto scrisse: «Io non capisco
più cosa voglia dire l'aggettivo "comunista" che compare sulla sua
testata». Ha fatto autocritica sui figli — «dev'essere stato
difficile per loro avere un padre ingombrante, egocentrico e non
sempre presente» —, si è sporto sull'orlo di una confessione di
fallimento: «Ho passato gran parte della mia vita concentrandomi sul
comunismo e sulla fisica. Ora viviamo in un mondo in cui non c'è il
comunismo e non c'è la fisica». Resiste invece Ratzinger, il
quale «ha solo cambiato strategia. Non potendo più usare roghi e
pene corporali, ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l'effigie della
Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare
nella cittadella scientifica e metterla in riga». Sulla soglia,
però, l'attendeva il professor Cini.
Aldo Cazzullo
 
Fonte
|