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15 Settembre, 2002
Alitalia, tutti giù per terra
Un fallimento annunciato? Si poteva fare diversamente? E adesso? La crisi di Alitalia pone domande anche sul futuro.....

Un fallimento annunciato? Si poteva fare diversamente? E adesso? La crisi di Alitalia pone domande anche sul futuro e sulla capacità dell’Italia di essere protagonista in Europa e nel mondo. Abbiamo chiesto a una persona più che informata dei fatti, e che si firma Barone Rosso, di proporci una riflessione per approfondire seriamente la vicenda. Manda la tua proposta.

Si è letto e visto di tutto, in questi giorni, intorno al caso Alitalia. Da battute macabre ad applausi senza senso, accuse velenose e prese di distanza sospette. Fino alla triste conclusione delle accuse reciproche.

In realtà il risultato è drammatico per il sistema Paese nel suo complesso e purtroppo non è la prima volta. Nel corso degli ultimi vent'anni abbiamo assistito all'uscita di scena dell'Italia da vari settori industriali. E' stato così nella chimica, nell'elettronica, negli apparati di telecomunicazione o nella produzione dei treni.

La "bandiera" da difendere è stata ammainata decine di volte anche di recente, come testimonia l'emblematico caso della telefonia, con tre operatori stranieri su quattro a contendersi il mercato nazionale.

Accusare Berlusconi di faciloneria è facile, e magari giusto, ma non serve ad andare in profondità. Il governo di centrodestra, e spiegheremo "tecnicamente" il perché, ha illuso la compagnia, i lavoratori e gli italiani che "finalmente" si era trovata la soluzione giusta con il "piano Fenice".

Ma prima di parlare dell'oggi (e naturalmente del domani), è bene capire come e perché siamo arrivati a questo punto. Negli ultimi anni il mercato, a livello mondiale, è andato sempre più consolidandosi: aziende che si fondono l'una con l'altra, la ricerca esasperata di complementarietà geografiche, i grandi vettori a caccia di dimensioni sempre maggiori. Oggetto di queste operazioni non sono solo le aziende in difficoltà, ma si mettono insieme anche aziende sane, per integrarsi e coprire il mondo con rotte e servizi, come è il caso di British Airways e Iberia. Stesse logiche industriali accompagnano le scelte di chi ha deciso di operare non su scala globale, ma su specifici segmenti di mercato come i charter e i low cost (sia in Germania che in Spagna si stanno mettendo insieme operatori di questo tipo). Certo, ci sono ragioni contingenti, legate ad esempio al prezzo del petrolio ma la regola di base nel settore è una sola: ogni volta che l'industria ha visto drammaticamente lievitare i suoi costi ha messo insieme soluzioni e rimedi per superare gli shock esogeni. Se a ciò si aggiunge l'esigenza di affacciarsi sul mercato globale, perché oggi la forza del business è data dall'offerta di maggiori destinazioni e servizi (i passeggeri di tutto il mondo sono sempre più fidelizzati attraverso operazioni di marketing), si capisce bene che immaginare di risolvere i problemi con le proprie forze non solo sia una follia industriale, ma corrisponda a una visione strategica globale totalmente miope.

I fondamentali del trasporto aereo, cioè le motivazioni che ne sottendono le ragioni industriali e finanziarie, sono profondamente mutati. Mentre fino a una decina di anni fa le compagnie aeree europee generavano utili prevalentemente sul medio raggio e l'Alitalia non si sottraeva a questa regola, progressivamente la profittabilità si è spostata sul lungo raggio a livello continentale (la concorrenza di treni veloci e low cost si è fatta micidiale) e si è assistito a una erosione dei margini. Alitalia si è trovata ad essere una azienda sola, una sorta di vecchia zitella aggrappata attraverso il turismo al mercato italiano, ma con una impostazione strategica destinata ad erodersi. Anche in questo caso è mancata la visione comparata, se è vero come è vero che la stessa Air France sta studiando di uscire dal mercato domestico per puntare su partnership su rotaia, con interconnessioni e intermodalità. Alitalia, diversamente dalle altre compagnie europee, non ha mai affrontato una pesante fase di riorganizzazione. Lo hanno fatto ad esempio British Airways già negli anni ‘80, Air France e Lufthansa all'inizio degli anni '90 con esternalizzazioni, riduzione di personale, nuovi modelli di business. Da noi si sono cercate scorciatoie, ma la salutare cura da cavallo non è mai stata fatta. Quello che oggi va scoppiare è la conseguenza di tutto ciò: assistiamo al crollo di un sistema di privilegi e di scaricabarile senza senso, messi in moto per ragioni politiche e sindacali, ma mai con la consapevolezza di essere responsabili di un bene del Paese.

Brutalmente, non ci sono più soldi. Finisce il carburante, si accende la spia e gli aerei restano negli hangar. Non è uno scenario apocalittico, ma quello che avverrà nei prossimi giorni se non si farà strada la logica del confronto serio da parte di tutti.

Si dice spesso che Alitalia ha costi elevati, ma si è arrivati al paradosso in cui laddove i lavoratori hanno concesso aumenti di produttività, l'azienda non ne ha beneficiato perché non aveva la struttura produttiva che supportasse ad esempio un maggiore impiego di piloti. La compagnia ha sempre sofferto negli ultimi anni di nanismo, chiusa in sé stessa forse nel convincimento di essere imbattibile (anche Ryanair ha un modello esclusivo, ma con ben altre agilità industriali). Invece la nostra compagnia di bandiera manteneva all'interno i problemi, aggravati dalle gravissime responsabilità degli stakeholders. Da una parte la politica fintoliberista di un centrodestra che, non si deve dimenticare, è stato nel 2003 protagonista dell'ultima, inutile ricapitalizzazione della società. Dall'altra un sindacato frammentato (basti pensare al numero di sigle presenti ai tavoli) e interessato più ai privilegi che allo sviluppo. A tutto questo aggiungiamo scelte sbagliate da un punto di vista manageriale e abbiamo chiara la situazione.

Come si ricorderà, durante il governo Prodi, l'opposizione aveva pesantemente attaccato la maggioranza sul principio dell'italianità a proposito delle vicende di Telecom e Autostrade, imputando al centrosinistra una eccessiva autarchia e invocando il "mercato" e il capitale qualunque fosse la sua bandiera.

Improvvisamente, nella campagna elettorale, Berlusconi usa proprio la questione Alitalia per vestirsi di tricolore e considerare la proposta Air France come una sorta di "attentato" al nostro Paese, con motivazioni addirittura risibili (la "deportazione" dei turisti in Francia). Forse solo nella concezione di questa politica si pensa che Spinetta avrebbe preso ordini dal ministro del turismo francese.

In realtà il governo di centrosinistra si era reso conto dell'impossibilità di andare avanti così e aveva avviato il processo di privatizzazione, in modo talmente trasparente da essere criticato proprio per la complessità delle regole poste ai soggetti interessati. Al contrario, era complesso l'oggetto da vendere, specie dopo i tanti, troppi anni di abbandono di Alitalia. Adesso c'è anche chi cerca di confondere le acque, paragonando l'esclusiva di Air France a quella per Cai e "dimenticando" che la trattativa con la compagnia francese era frutto di un lungo processo che aveva dapprima portato alla creazione di una "short list" e poi all'individuazione di un possibile acquirente. Con Cai, invece, siamo di fronte (purtroppo si rischia di dire eravamo di fronte) a un'operazione in cui si toglievano perfino i debiti pur di far rilevare ai privati la parte "buona" della società.

Mentre tutto il mondo va alla ricerca di dimensione, l'Alitalia - attraverso questa operazione - avrebbe diminuito la propria, diventando sempre meno una azienda-network e somigliando sempre più a una compagnia regionale, ambito dove maggiore è la concorrenza e dove inevitabilmente, ammesso che avesse cominciato a respirare, si sarebbe riproposto uno dei problemi di sempre, appunto quello della dimensione e della relativa efficienza operativa.

E adesso? Il modello liberista puro è spietato: Alitalia fallisce e qualcuno, sul mercato, interverrà. Il caso delle compagnie americane, con la liberalizzazione del 1978, è un caso di scuola. L'Europa non ha mai seguito questa logica ma, come abbiamo visto, ha cercato di affrontare per tempo i problemi. Noi abbiamo ostinatamente percorso una terza via, quella della scommessa industriale a spese del contribuente, ignorando regole comunitarie e scenari globali. Di fatto la situazione è questa. Scongiurando che questo stato di incertezza possa provocare reazioni fatali da parte di uno tra i tanti fornitori (ricordiamoci che il fallimento di alcune compagnie aeree è stato legato alla semplice chiusura di una fornitura), decisivo diventa il ruolo del Commissario, ma anche quello della politica e del sindacato. Non si può pensare che Alitalia sia una questione da sbandierare in campagna elettorale o dal salotto di Porta a Porta. Il centrosinistra aveva proposto un percorso serio e rigoroso, il centrodestra ha preferito gli slogan e gli ultimatum. Abbiamo visto com'è finita. Ma non vogliamo, per il bene di Alitalia e dell'Italia, che finisca davvero così.

di: Barone Rosso

19 settembre 2008

 


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