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15 Settembre, 2002
Welfare Locale "Il documento integrale di Cgil-Cisl-Uil"
Dopo un primo approfondimento unitario sulle II.PP.A.B., CGIL-CISL-UIL propongono oggi una seconda e più compiuta riflessione sul welfare locale .

Cgil-Cisl-Uil di Cremona hanno definito un importante documento sui temi del welfare locale. Il tema è significativo e denso di significato ..." fortemente solidaristico e responsabile".
Lo scopo del documento, come si evince dalla premessa "non è altro che una realistica lettura dei bisogni dei cittadini che quotidianamente segnalano le loro difficoltà; a ciò si accompagna una serie di proposte, alcune delle quali indubbiamente innovative, che, se attuate (anche in modo graduale, ma attuate), potrebbero certamente favorire un nuovo modello di welfare locale – più maturo, responsabile e comunitario – in grado di fornire risposte che oggi non vengono date, o date solo in parte"
Uno sforzo notevole, una piattaforma che vuole indicidere sul processo politico che porterà alle prossime elezioni amministrative.. Un marcare da un lato l'autonomia del movimento sindacale rispetto al quadro politico e dall'altro di incalzarlo per ottenere risultati concreti a vantaggio dei propri rappresentati, dei cittadini. Sicuramente sulla base del confronto che si aprirà i partiti, gli scheramenti politici, le coalizioni si rapporteranno o meno nella stesura dei lori programmi.
Un percorso quindi interessante ed importante per la nostra realtà.
Va dato atto al sindacato confederale di aver compiuto una scelta coraggiosa, ancor piu' importante perchè unitaria. E il nostro territorio ha bisogno appunto di scelte forti, solidali e responsabile.
Di seguito offriamo l'intero documento
la redazione di welfare cremona news

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Il documento integrale di Cgil-Cisl-Uil "per un welfare cremonese, fortemente solidaristico e responsabile"
1 - Premessa
Dopo un primo approfondimento unitario sulle II.PP.A.B., CGIL-CISL-UIL propongono oggi una seconda e più compiuta riflessione sul welfare locale – stesa con il contributo e la collaborazione delle Federazioni di CGIL-CISL-UIL del Pubblico Impiego e dei Pensionati – utile sicuramente a divulgare significativamente il pensiero unitario, ma anche, e soprattutto, per indicare un terreno concreto di prospettiva e di confronto con tutte le Istituzioni Locali.
Il frutto del presente documento non è altro che una realistica lettura dei bisogni dei cittadini che quotidianamente segnalano le loro difficoltà; a ciò si accompagna una serie di proposte, alcune delle quali indubbiamente innovative, che, se attuate (anche in modo graduale, ma attuate), potrebbero certamente favorire un nuovo modello di welfare locale – più maturo, responsabile e comunitario – in grado di fornire risposte che oggi non vengono date, o date solo in parte.

2 – Lo scenario
Si discute oggi, e tanto, di stato sociale e della sua riforma, con alle spalle uno scenario di cambiamenti epocali.
Basti pensare alle profonde trasformazioni sociali sin qui osservate (e che coinvolgono fra loro le società dell’occidente) per capire veramente quanto i cambiamenti siano veloci e le loro dinamiche assolutamente irrefrenabili; e gli esempi non mancano:
- un ben diverso e più importante ruolo della donna rispetto al passato;
- un ribaltamento della consistenza demografica;
- il lavoro che è cambiato e che cambia;
- la crescita culturale dei singoli e una consapevolezza più alta di sé e dei propri diritti;
- l’immigrazione, come fenomeno nuovo per un paese come il nostro, abituato non tanto ad accogliere quanto a far emigrare i suoi cittadini.
In tutti questi anni, un poco alla volta, sono andati cambiando i costumi e sono cambiati i bisogni e se ne sono aggiunti di nuovi a fianco di quelli originati dalla condizione di povertà che, in modo intollerabile, continua ad opprimere milioni di persone in Italia ed in Europa
In un tale contesto:
- la sanità e l’assistenza devono prendere misure diverse e ampliare l’area e la qualità degli interventi;
- la non autosufficienza – condizione alla quale deve essere riconosciuto il diritto universale alla cura – ha costi sociali ed economici talmente elevati da chiedere risposte che costano e che tardano a venire;
- la casa è uno dei fondamentali diritti di cittadinanza, non disgiunto dal diritto al lavoro ed è inaccettabile che si pretenda di soddisfare il bisogno di produrre delle imprese con lavoratori cui si nega un’abitazione.
Allo stesso modo, in tutti questi anni, in Italia e un poco alla volta, sono andati cambiando i soggetti deputati a rispondere ai bisogni. Mentre si incomincia a discutere di welfare europeo, i poteri si sono spostati dallo Stato alle Regioni, ai Comuni. Il processo non è lineare; interferenze e contraccolpi sono molti, ma la riforma del Titolo V° della Costituzione e molte recenti leggi segnano passaggi definitivi nella mappa delle competenze.
Ed è la Regione che oggi ha competenze decisionali, poteri concorrenti con lo Stato e poteri esclusivi: decide le politiche della casa, quelle sanitarie, quelle assistenziali.
Si afferma, almeno sul piano teorico (seppure non compiutamente sul piano fattuale) il criterio della sussidiarietà, che è stato invocato e che è uno dei portati migliori del federalismo.
Cambiano, in questo modo, i modelli gestionali nella sanità, nelle politiche assistenziali e nelle politiche abitative, più di quanto già non sia avvenuto nel tempo e in modo più celere.
E vanno cambiando anche le risorse destinate alle politiche sociali e, di conseguenza, la quantità e la qualità del welfare erogato dalla Regione.
Diventa così a rischio l’universalità dei diritti costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini, uno dei pilastri del nostro sistema di coesione sociale.
Si riducono perciò anche le risorse a disposizione per garantire la spesa sociale: ce ne vorrebbero di più, ma sembrano essere sempre meno e comunque insufficienti per tenere il passo dei costi.
L’Italia, che dovrebbe aumentare il rapporto tra spesa sociale e P.I.L., vede, invece, il suo Governo perseguire la riduzione delle tasse.
Con quali riflessi sul welfare di questi paesi è facile comprendere: un esempio? È facile auspicare (e sostenere) la riduzione delle tasse; ma quando ciò avviene – e magari in una situazione di congiuntura negativa come quella attuale – a fronte di una riduzione delle entrate si fa quasi sempre largo una riduzione della spesa e, quindi, dello stato sociale: lo sanno bene i cittadini di questa Regione che si sono visti aumentare considerevolmente le imposte locali e diminuire i servizi.
Anche da ciò nasce e cresce la necessità, all’interno di un quadro generale di riferimento, di concentrarsi localmente, concretamente, sulle cose possibili, per poter offrire alla comunità locale risposte che attenuino le difficoltà, i disagi e le sofferenze.
3 – Alcune considerazioni
È questo un terreno di sfida alta per tutto il sindacato; tema di un confronto per evitare, come propone qualche Ministro e come molti hanno teorizzato anche in Regione Lombardia, che la mancanza di risorse – e quindi di risposte – da parte del pubblico diventi il modo per indurre i cittadini a rivolgersi al mercato privato delle tutele, per trasformare il welfare nel nuovo grande business di inizio millennio, campo di raccolta per le assicurazioni, differenziando, nelle prestazioni e nella modalità con cui sono erogate, cittadini agiati e cittadini poveri, secondo un modello che si è affermato in altri luoghi dell’occidente, ma che CGIL-CISL-UIL continuano a considerare iniquo e da respingere.
CGIL-CISL-UIL riconfermano la convinzione che è il Sistema Pubblico a dover garantire a tutti le prestazioni essenziali.
Programmazione, linee guida, gestione delle risorse, determinazione delle condizioni di accesso, garanzia e controllo dell’erogazione, modalità di accreditamento dei soggetti eroganti sono compiti che devono restare in capo alle Istituzioni Pubbliche.
Quali debbano essere queste istituzioni va definito secondo criteri che devono consentire di coinvolgere al massimo grado le istituzioni più periferiche, perché più vicine al soggetto beneficiato dall’intervento, in una logica di welfare community (di comunità che si prende cura, come giustamente prevede la Legge 328 sui temi socio assistenziali e socio sanitari), ma salvaguardando l’esigenza di massimizzare la capacità di intervento, valorizzando la dimensione regionale, quando sono necessarie forti economie di scala, come per le politiche abitative.
Se è chiaro tale contesto, se è chiaro chi fa e garantisce le regole, CGIL-CISL-UIL, in una logica condivisa di complementarietà del soggetto privato (no profit o profit) nel sistema pubblico, ritengono sbagliata la competizione sul soggetto chiamato ad erogare le prestazioni; ritengono importante garantire comunque diritti e tutele degli operatori coinvolti.
Va però evitata, come invece è successo in sanità in nome di una male intesa “libertà di scelta” (si diceva del cittadino, ma si intendeva dell’imprenditore sanitario), una proliferazione artificiosa di soggetti erogatori privati che producano aumenti reali di spesa.
Di tale errore si sta scontando il prezzo nella difficile tenuta della spesa sanitaria e nell’imposizione dell’addizionale Irpef. Oltre a ciò, sull’onda di questa decisione imposta, la Regione Lombardia ha anche reintrodotto i ticket sui farmaci, sul pronto soccorso, ed ha aumentato quelli sugli esami di laboratorio e della specialistica in netto contrasto con le precedenti assicurazioni che prevedevano la non reintroduzione dei ticket in presenza della stessa addizionale regionale Irpef.
Queste decisioni introducono il fatto che le prestazioni sociali non sono, già oggi, erogate tutte allo stesso modo per tutti.
Mentre alcuni interventi di welfare sono garantiti in rapporto al bisogno a prescindere dalle condizioni del soggetto (il medico di famiglia, il ricovero ospedaliero, …), altri sono erogati anche in relazione alle possibilità economiche dei soggetti interessati (il fondo sostegno affitti, …).
La differenziazione nell’erogazione delle prestazioni sociali passa attraverso modalità di determinazione del diritto di accesso o di determinazione del grado di compartecipazione ai costi del servizio, i più diversi fra loro e, proprio perché diversi, fra i più iniqui: tariffa agevolata nel trasporto solo per chi ha la pensione minima e nulla più; gratuità dei medicinali per il pensionato al minimo o sociale; calcolo del solo reddito per erogare il buono scuola, senza nulla considerare del patrimonio. E via continuando per numerose diversità valutative tra Assessorati della stessa Giunta Regionale che forse, anzi sicuramente, operano più a “compartimenti stagni” che in “sinergica integrazione” fra loro.
Per questo è giusto rivendicare a gran voce un modello di valutazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e di carico familiare che, pur nella considerazione delle diversità delle prestazioni erogate, abbia carattere di sostanziale omogeneità valutativa, capace di realizzare il massimo di equità, di sostenere con più efficacia le situazioni di maggior disagio ed utile anche a scoraggiare e ad individuare le solite furbizie del caso. Di dare aiuto a chi ha bisogno, di far partecipare alla spesa, laddove si rende necessario, in ragione dell’effettiva condizione. In poche parole CGIL-CISL-UIL e sostengono il modello universale (un welfare che riguardi tutti) e selettivo (anche se non nello stesso modo): è sempre da evitare di “fare parti uguali tra diseguali”.
Per questo è altrettanto giusto rivendicare con forza l’estensione dell’ISEE a tutto il campo delle prestazioni sociali, adottando tutti i necessari correttivi con il chiaro ed equo intento che tale strumento accertativo possa davvero individuare l’effettiva e reale capacità di spesa dei singoli.
“La portata di un ponte si misura dalla forza del pilone più debole. La qualità di una società dovrebbe infatti misurarsi nella qualità della vita dei suoi membri più deboli; e poiché l’essenza della morale è la responsabilità che ci si assume per l’umanità degli altri, quello è anche il metro del livello etico di una società.”
(Z. Bauman)
“In Italia il 30% della parte più povera della popolazione riceve il 10% dei trasferimenti sociali, contro il 30% del resto dell’Europa. In paesi come Olanda e Danimarca la spesa sociale porta a ridurre l’incidenza della povertà di circa l’80%; in Italia siamo al 50%. Di conseguenza da noi il 30% povero della popolazione riceve il 12% del reddito disponibile, contro una media europea del 16%.”
(Centro Studi)
4 - Le proposte
Le citazioni prima riportate sono davvero importanti; da una parte viene esplicitata una idea forte di società solidale nel momento in cui si raccomanda vera attenzione ai più deboli; dall’altra la realtà fa ben comprendere quanto ci sia ancora da fare per cercare coerenza fra le cose che si dicono e quelle che si fanno.
Infatti cresce costantemente il numero delle persone in stato di difficoltà, aumenta l’area dell’emarginazione e delle diseguaglianze accrescendo ancor di più – ovviamente – le classi sociali più fragili, le loro condizioni socio-economiche, ma anche quelle legate alla loro salute sulle quali è necessario intervenire con politiche collegate ad interventi sociali mirati.
Sarebbe sterile pensare ad aumentare la qualità della vita e del benessere dei cittadini per preservarne la salute se non si dovesse riscoprire il valore autentico della prevenzione nella vita, nel lavoro, nell’ambiente che ci circonda; anzi significherebbe non considerare l’essere umano come una persona e la sua salute come un bene.
Non si può quindi parlare di welfare solidaristico se a monte delle proprie idee non si colloca quella primaria legata alla diffusione e alla promozione del benessere sociale privilegiando prioritariamente gli strati più deboli per reddito e cultura.
E in un tale contesto diventa indispensabile contribuire a creare ambienti di vita e di lavoro salubri, ad eliminare le condizioni di rischio così pesantemente presenti in questa Provincia, a favorire nuovi e più sofisticati strumenti di vigilanza anche nel quadro del sistema agro alimentare accentuando, all’occorrenza, il meccanismo sanzionatorio.
Certo, la prevenzione costa, rappresenta un impegno economico importante, forte e certo, ma anche un sicuro risparmio sui costi sociali e sanitari futuri: chi non segue e non seguirà questa strada dovrà necessariamente fare i conti con esosità sociali future spaventose e forse insostenibili.
Le proposte che qui vengono espresse rappresentano un’esposizione diretta delle responsabilità di CGIL-CISL-UIL: piacerebbe riscontrare analoga assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni locali, della politica, degli operatori sociali, ecc.. e da parte di chi, direttamente o indirettamente, viene coinvolto dai ragionamenti che seguono.
A – L’assistenza
Se l’Italia e la Lombardia hanno riscontri demografici sicuramente improntati ad un invecchiamento della popolazione costante e veloce (specialmente se raffrontati con tutti gli altri paesi industrializzati), la provincia di Cremona presenta proiezioni ancora più accentuate e in tal senso sarebbe un errore non tenerne conto in qualsiasi analisi, nelle scelte politiche e nelle previsioni di un welfare comunitario.
Diventa difficile, se non impossibile, programmare e organizzare un buon servizio di assistenza con scarse risorse economiche e si è consapevoli di quale scure si sia abbattuta sui Comuni ad opera del Governo nazionale e della Giunta Regionale.
Ma se il Governo nazionale e quello regionale hanno dimostrato poca sensibilità per questo diritto a tutela delle persone più deboli, che invece dovrebbe qualificare il grado di civiltà di un Paese che si considera moderno, è evidente che la reazione dei Comuni non può più essere limitata alla sola denuncia e la soluzione non può essere solo l’arte dell’arrangiarsi. E’ più che mai necessario attuare, seriamente e concretamente, politiche sinergiche territoriali per fronteggiare questa deregulation sociale.
Se tale affermazione appare ovvia, il conseguente comportamento di buona parte delle amministrazioni locali risulta però più improntato alla provvisorietà e alla sottovalutazione: né è esempio la forte differenziazione degli stanziamenti sul sociale riscontrabile oggi fra i vari comuni che, il più delle volte, offrono alla collettività risposte assolutamente inadeguate alle nuove necessità e ai reali bisogni prodotti proprio anche dall’aumento della popolazione anziana.
Non tutti infatti hanno inteso lo spirito della L. 328, specialmente laddove è chiaramente detto che agli stanziamenti previsti da tale normativa devono aggiungersi le risorse messe in campo dalle singole comunità locali.
C’è bisogno di una maggiore consapevolezza dei bisogni e di aiuto alle famiglie oggi sicuramente - e purtroppo - lasciate troppo sole, deboli nel contesto sociale e forse anche lontane dal luogo dove si devono intercettare i bisogni, si interpretano le domande di assistenza e si individuano le fonti del disagio.
C’è quindi bisogno di mettere in rete tutte le competenze e le risorse del territorio, oggi peraltro quasi completamente orfano di servizi dedicati alla prevenzione delle diseguaglianze e dell’emarginazione, anche per garantire un sistema solidaristico che necessita di strutture adeguate per garantire servizi di qualità e la loro continuità rispetto ad una domanda in forte aumento e connotata anche da tratti di novità.
C’è la necessità che tutti i Comuni aumentino responsabilmente le risorse da mettere in campo per fronteggiare le tante difficoltà del sociale, imitando (e mettendosi quindi sullo stesso piano) quelle realtà virtuose che per prime hanno capito quanto una solidarietà matura e consapevole, a tutela dei diritti delle persone più deboli, non sia un investimento sbagliato.
In una tale ottica è assolutamente da evitare che le risorse aggiuntive che le Amministrazioni Locali sapranno mettere a disposizione vengano impiegate in una miriade di interventi sicuramente dispersivi e antieconomici: è sempre più necessario invece che tutte le risposte locali diventino sistema, individuando forme più ampie di gestione (dal distretto, al sub-ambito), stimolando e valorizzando nuovi soggetti erogatori (associazioni, consorzi, rete di servizi, ecc., …) anche per favorire il miglior impiego delle proprie risorse.
Ancora troppo spesso le Amministrazioni Locali e le Istituzioni Sociali pensano ad un utilizzo delle imprese no profit e alla cooperazione sociale più come uno strumento per ridurre i costi dei servizi che come strumento di responsabilizzazione civile. Così non si incentiva né la professionalità degli operatori, né la valorizzazione dei servizi offerti, specialmente quando quegli stessi servizi vengono erogati nelle zone oscure del precariato o del lavoro nero o sommerso, peraltro ben sostenuto dall’inerzia di chi dovrebbe controllare e non controlla.
Anche da ciò si registra l’esigenza di CGIL-CISL-UIL di impegnarsi con il Terzo Settore a modificare una cultura amministrativa che ha cercato di affrontare, in questi anni, la crisi del vecchio modello assistenziale solo appaltando una serie di servizi all’esterno senza attivare prioritariamente una programmazione e riorganizzazione efficace, predisponendo anche severi meccanismi di selezione e controllo e che non è riuscita a promuovere forme di partecipazione e collaborazione con le forze sociali.
Discorso a parte merita invece i recenti approcci con i Distretti, con i Piani di Zona (che devono evolvere positivamente ed ampliare il loro raggio d’azione) e sui primi risultati prodotti, quale, ad esempio, l’individuazione dei criteri per l’erogazione dei Buoni Sociali Mirati.
A tale riguardo le Confederazioni Sindacali hanno già espresso alcune loro considerazioni che, per una completa informazione, due di esse vengono qui riportate:
“… Vi è la conferma dell’inadeguatezza delle risorse disponibili e ciò riduce di molto l’efficacia dell’intervento”. (da qui l’appello affinché le Amministrazioni Comunali stanzino risorse aggiuntive sul sociale, come alcune di loro hanno già operato in tal senso) “Risulta infatti, e per l’ennesima volta, come gli interventi della Regione Lombardia mirino a creare aspettative ed assumano il carattere della temporaneità scaricando su altri soggetti istituzionali oneri non reggibili”;
“Cgil, Cisl, Uil ritengono positivo il risultato raggiunto dagli Uffici di Piano, sulla uniformità dei criteri di accesso alla provvidenza economica del buono… Va ricercata ogni possibile convergenza affinché i valori del Buono Sociale Mirato possano risultare identici in tutti e tre i distretti; in difetto di ciò si potrà assistere a sicure discriminazioni, specialmente fra comuni confinanti, ma appartenenti a distretti diversi”.
A tali considerazioni si aggiunge una ulteriore che riguarda i famosi criteri per l’accesso (75 anni - 100% invalidità – reddito). Su tale questione CGIL-CISL-UIL non ritengono equa la rigidità prestabilita, utile forse – e per modo di dire – alla scrematura delle istanze (in virtù delle scarse risorse economiche a disposizione), ma non adeguata ad una corretta lettura del bisogno. Un esempio per tutti il limite d’età: tutti sanno che la non autosufficienza non ha età.
In un equo welfare locale non giova a nessuno sostenere un sistema di attenzione dove il cittadino o è dentro o è fuori dallo stesso sistema; appare molto più efficace, invece, individuare non tanto i fattori di inclusione (o di esclusione), quanto invece individuare gli indicatori del disagio e su questi poi costruire una graduatoria sulle singole priorità individuali.
Da ultimo – e non perché meno rilevante – la questione delle II.PP.A.B. e il loro forzato coinvolgimento nei contenuti della L.R. 1/2003 sulla loro trasformazione in una diversa natura giuridica.
Attorno a tale questione si è sviluppato un dibattito sicuramente acceso, ma che, tranne qualche sporadica eccezione, non ha fatto maturare una reale presa di coscienza: si è assistito – per fortuna non sempre e non dappertutto - ad una inaspettata rinuncia dei Comuni al proprio ruolo, che il più delle volte si sono appiattiti acriticamente sulle posizioni delle II.PP.A.B.. Si è registrato, infatti, un affrettato orientamento pressoché generalizzato di privatizzazione (anche escludendo a priori le opportunità offerta dalla legislazione in merito alle possibili fusioni).
Ciò non ha permesso di dare spazio sufficiente alla giusta logica di interventi in favore dell’utenza (e degli operatori del settore), ma ha spostato l’attenzione alla convenienza dell’Ente ed eccessiva preoccupazione di perdere il controllo dei patrimoni e del suo ruolo politico. Solo ultimamente, per la verità, si stanno registrando novità nei ragionamenti e nei comportamenti che sembrerebbero essere maggiormente rispettosi del dialogo, dei contenuti e del confronto.
Sul tema CGIL-CISL-UIL si sono da tempo pronunciate privilegiando, in buona sostanza, l’Azienda di Servizi alla Persona, senza con questo porre barricate ideologiche su eventuali altre scelte: si è sempre sostenuto (e nella premessa viene ancora riportato) che l’attività di programmazione e controllo dev’essere sempre in capo al Sistema Pubblico e la nomina degli Amministratori da parte dei Consigli Comunali è, in un tale contesto, sicuramente buona cosa, sia che si tratti di A.S.P., sia che si tratti di Fondazioni.
In definitiva le scelte devono avvenire nel massimo raccordo con i rispettivi Enti Locali, valutando singolarmente ogni realtà, gli obiettivi che si pone e collegandoli alle prospettive del territorio, avendo riguardo che tutti i soggetti derivanti dalla trasformazione restino, comunque, parte integrante di quella rete di servizi che va potenziata e non smantellata.
Certo che, assistere ad una probabile privatizzazione così spinta – almeno da come si stanno delineando i vari orizzonti – anche in contro tendenza rispetto ad altre significative realtà regionali, non può non preoccupare, soprattutto per come sembrano privilegiarsi le scorciatoie rispetto a scelte, forse anche più faticose, ma indubbiamente più giuste; e un esempio è rappresentato proprio dai tanti studi di fattibilità, commissionati ai vari esperti di turno, più utili a dimostrare i reali vantaggi della privatizzazione piuttosto che rimarcare le potenzialità del pubblico (che tanto ha saputo dare sino ad oggi), la ricchezza professionale indubbia delle sue risorse umane e i vantaggi per l’utenza.
Le II.PP.A.B., o meglio quello che saranno di esse (A.S.P. o Fondazioni), hanno (e avranno!) bisogno di ragionare in rete, di integrazione, di sinergie, di economie di scala, di interscambio di esperienze, di utilizzo convenzionato della dirigenza; e ciò soprattutto in un momento in cui la Regione Lombardia penalizza tali realtà con contributi (a fronte di prestazioni) sicuramente insufficienti se paragonati ai costi reali sostenuti e alla qualità del servizio erogata.
Ma se la generalità delle scelte sarà indirizzate verso il privato, altro che integrazione, reti, sinergie, economie! Scatterà, come sempre è stato nel privato e come sempre sarà e come è già avvenuto per la sanità, un sistema basato sul mercato e sulla competizione, regolati esclusivamente da logiche economicistiche. Miopia, pura e semplice miopia, quella stessa che ha impedito, già nel passato, ai Consigli di Amministrazione di vedere più in là della propria singola struttura per sperimentare nuove e importanti forme di collaborazione con altre simili realtà.
Il tema sulle II.PP.A.B. consente un aggancio poi ad altre tre questioni: la prima, in merito alle rette per il ricovero nelle R.S.A; la seconda, in merito alle liste d’attesa dei cremonesi per il ricovero nelle R.S.A.; la terza, sull’applicazione dell’accordo del 17 gennaio 2003 fra Regione Lombardia e CGIL-CISL-UIL.
Sulla prima questione CGIL-CISL-UIL ritengono sia sbagliato “fare parti uguali tra diseguali” e per questo chiedono l’estensione tendenziale dell’ISEE a tutto il campo delle prestazioni sociali; perciò ritengono di aprire il dibattito sulla possibilità dell’ applicazione differenziata delle rette nelle R.S.A. con l’introduzione dell’ISEE alla quota della retta alberghiera, come metodo di differenziazione sociale.
Sulla seconda e più complessa questione, il panorama è più articolato. Esiste un numero considerevole di non autosufficienti in lista d’attesa per mancanza di “letti finanziati” (in virtù delle forti limitazioni previste dal PSSR). Molte Case di Riposo, per scongiurare i cosiddetti “letti accreditati vuoti” hanno da tempo rapporti con le AA.SS.LL. di altre province, “vendendo” alle stesse i posti letto non riservati ai cremonesi. Tale situazione è destinata a mutare nel corso del tempo perché – ad esempio – l’area milanese, oggi in sofferenza di posti in R.S.A., si sta attrezzando al riguardo. Diventa quindi prioritario affrontare da subito tale questione per non doverla affrontare in situazioni più difficili per le stesse R.S.A. e per il personale da esse dipendente.
In una tale ottica CGIL-CISL-UIL propongono che, nel corso del tempo e con tutta la gradualità necessaria, quei posti eccedenti debbano essere riservati anch’essi ai cittadini cremonesi in lista d’attesa, non certo caricando sulle singole famiglie tutta la retta dei solventi (assolutamente insostenibile), ma solo la stessa retta già pagata dai ricoverati in convenzione; la restante parte potrebbe essere caricata sulla fiscalità generale dei cremonesi, anticipando così, localmente e solidaristicamente, la specifica tassa di scopo che da troppo tempo è chiamata in causa e che da troppo tempo non viene istituita.
Sulla terza questione: molte RSA hanno provveduto ad aumentare le rette a fronte di un aumento dei costi, dato per certo dai Gestori. L’accordo fra Regione Lombardia ed OO.SS. del 17 gennaio scorso ha previsto un aumento del contributo – per la parte sanitaria – di oltre il 5% rispetto agli anni precedenti (seppur suddiviso fra le tre classificazione degli ospiti) con l’obbligo di ridurre le rette (pari alla quota del maggiore contributo ricevuto dalla Regione) e di rimborsare agli stessi ospiti, nel caso in cui l’aumento della retta sia già stato applicato, la quota equivalente all’aumento del contributo regionale. L’applicazione di tale accordo è rivendicato da CGIL-CISL-UIL nella sua intera esigibilità.
Per quanto riguarda la retta, meglio, alla sua determinazione: è del tutto assurdo che la famiglia del ricoverato non possa conoscere l’entità dello specifico onere in termini preventivi (entro la fine dell’anno). Da ciò nasce l’istanza a tutte le R.S.A. affinché favoriscano un corretto rapporto con i ricoverati e con i familiari indicando agli stessi gli oneri alberghieri in termini preventivi reali, coinvolgendo preventivamente le OO.SS. nella sessione di formulazione del Bilancio di Previsione.
B - La sanità
Affrontando il tema della sanità in generale non si può non rilevare come, nel corso del tempo, la Politica a livello locale abbia perso, di fatto, quasi ogni significato; altri oggi sono i soggetti che regolano la domanda e la contrattazione, che, nella realtà, si consuma quasi esclusivamente a livello regionale, ben sapendo che forse altri sarebbero i livelli da presidiare per valorizzare la capacità d’intervento del sindacato confederale; si pensi, ad esempio la Conferenza Stato-Regioni dove veramente vengono (unilateralmente) definite le regole del gioco al massimo livello; o il livello locale, che deve essere salvaguardato nelle sue particolari specificità attraverso un negoziato vero e proprio con l’A.S.L. che, invece, ha poteri assoluti di decisione e che, in definitiva, risponde solo alla Regione e non certo, in termini concreti, alla Comunità Locale.
Oggi – sul tema della salute, ma non solo, – è l’A.S.L. ad essere l’unico responsabile sulla programmazione degli interventi e sulla realizzazione della rete di risposta a tutela dei cittadini; A.S.L. che è sicuramente però più attenta ai conti che la Regione Lombardia impone che a fornire risposte concrete e sufficientemente adeguate ai reali bisogni della collettività (la limitatezza complessiva degli stanziamenti sui voucher, il ridimensionamento dei posti letto nelle R.S.A, il potere unico di riconoscere specifica valenza economica ai progetti di prevenzione rappresentano solo dei piccoli esempi).
Eppure la salute del cittadino entra a pieno titolo in un ragionamento complessivo sul welfare e la contraddizione sta proprio qui: di fronte ad una questione politica quale quella della salute, la Politica a livello locale non riesce a confrontarsi o ad essere incisiva. Basti pensare alla Conferenza dei Sindaci – unico strumento di formale visibilità politica – e al suo limitato ruolo, vanificato peraltro da qualche silenzio di troppo e da qualche no mai detto (non è politicamente corretto approvare per poi lamentarsi!). Ogni Sindaco si assuma la propria responsabilità.
Con questo non si può affermare che la sanità cremonese sia all’anno zero: tutt’altro. Offre servizi di eccellenza ed altamente qualificati anche se ci sono, come sempre, spazi per un suo miglioramento. Si pensi, ad esempio, al fenomeno di ricerca di prestazioni collocate fuori provincia o ai tempi di attesa generalmente molto dilatati nelle strutture pubbliche specialmente per l’attivazione di visite mediche specialistiche o esami strumentali sofisticati, che, spesso, inducono il cittadino a ricorrere alle strutture private (tanto da poter asserire che, in taluni casi, è improprio affermare che il cittadino sia veramente libero di poter scegliere); tempi d’attesa quindi ancora lunghi, troppo lunghi, che, se da un lato confermano il fallimento dello specifico obiettivo postosi dal legislatore regionale, dall’altro non può impedire a CGIL-CISL-UIL di rivendicare interventi strutturali solleciti affinché i tempi di risposta siano drasticamente ridotti.
CGIL CISL UIL assumono la centralità del territorio e del distretto quali assi strategici della propria iniziativa politico rivendicativa.
Per centralità si intende il luogo nel quale si intercettano i bisogni, si interpretano le domande di assistenza e si individuano le fonti del disagio, si incontrano la programmazione sociale e quella sanitaria; cioè è indispensabile spostare il baricentro della cura e prevenzione in ambito ospedaliero all’ambito territoriale, diventando questo l’elemento su cui operare una vera e propria svolta.
Nel contesto generale il Distretto e il Medico di Medicina Generale diventano funzionali e strategici per una sanità sempre più efficiente: il Distretto quale punto centrale di risposta alle diverse istanze; ed il M.M.G. quale primo filtro degli interventi, filtro che però necessita di maggiore organicità e di maggiore presenza nell’arco dell’intera giornata, anche per evitare il ricorso, quasi sistematico, al Pronto Soccorso al primo malore non interpretabile dallo stesso cittadino. Per questo sarebbe auspicabile, e magari incentivabile, la costituzione di Associazioni Locali fra i M.M.G. affinché la loro coordinata presenza possa coprire il servizio durante tutte le ore del giorno per poter offrire una prima risposta anche alle urgenze. Sul tema CGIL-CISL-UIL offrono alle Rappresentanze Sindacali dei M.M.G. la possibilità di un confronto utile alla disamina delle proposte.
Va comunque migliorato il rapporto fra M.M.G. e Paziente; non sono rari infatti i casi segnalati che lamentano la superficialità dell’informazione medica o, addirittura, la contrarietà del M.M.G. ad attivare i processi di richiesta sui voucher sanitari o sugli stessi ricoveri nelle R.S.A.. Appare quindi sempre più urgente un processo di informazione e di sensibilizzazione dei M.M.G. affinché il diritto di cittadinanza del singolo sia davvero affermato e rispettato.
Un analogo ragionamento può essere fatto in difesa del paziente ricoverato, che è fragile nella sua debolezza e il più delle volte non conosce la prassi, i meccanismi e i protocolli tipici del ricovero; è necessaria una maggiore consapevolezza dei cittadini anche perché diventa difficile rivendicare diritti in assenza di informazione e di conoscenza. Da questo nasce la richiesta che in tutti i luoghi di cura, pubblici o privati che siano, si instauri veri processi di umanizzazione e venga consegnato al paziente, all’atto del ricovero (specialmente se programmato) una sorta di memorandum contenente – anche in forma sintetica – il compendio delle regole che lo stesso paziente deve rispettare e dei diritti che il personale sanitario deve riconoscere al ricoverato.
Ma se il ricovero comporta problemi e difficoltà, specialmente personali ed individuali, spesso i problemi maggiori per il paziente e per la sua famiglia si verificano all’atto della dimissione dall’ospedale o dall’I.D.R., quando cioè, a volte, la necessità di cure domiciliari specialistiche post-ricovero non è garantita o non viene attivata dalle istituzioni. È questo un problema di grande rilevanza che, quando si verifica, mette in ginocchio il paziente e la sua famiglia ai quali deve essere data una risposta certa ed efficace, soprattutto dettata dall’urgenza, inquadrabile nella cosiddetta ospedalizzazione domiciliare o nel voucher sanitario che, però, deve avere caratteristiche di riconoscimento immediato; o, nel caso concreto in cui l’A.D.I. non intervenga, in un ricovero in R.S.A. con costi a carico della stessa A.D.I. limitatamente alle somme stanziate e non spese.
Da ultimo un accenno ai voucher. Senza entrare nel merito della specifica politica istitutiva (anche perché sono innumerevoli le prese di posizioni su tale tematica espresse da CGIL-CISL-UIL), restano ben presenti alcuni problemi legati al diritto: c’è scarsa informazione e, conseguentemente, scarsa consapevolezza dei propri diritti da parte della collettività. Il ruolo svolto dal M.M.G. a volte è insufficiente ed anche quello degli operatori dei vari distretti non sempre è lineare e omogeneo. Indubbiamente l’ASL di Cremona deve farsi carico del problema sensibilizzando maggiormente l’utenza e tutti gli operatori del settore.
Come pure l’ASL di Cremona deve farsi carico di porre in essere seri controlli sui pattanti e sul rispetto delle regole condivise affinché si eviti che il personale delle RSA (qualora pattanti) risulti lo stesso che deve garantire i servizi sanitari legati al voucher: tale furbizia va indubbiamente scoraggiata nell’immediato, anche per tutelare la bontà dei servizi originariamente erogati che in ogni caso non devono diminuire per quantità e qualità.
In conclusione di questo capitolo si propone un ragionamento sull’Ospedale di Soresina. Evidentemente non va smantellata la struttura. Anzi, la stessa, ad avviso di CGIL-CISL-UIL, deve essere riqualificata e riconvertita in country hospital – ovvero in ospedale di comunità – riservato a patologie da controllo e gestito da personale non medico, al quale devono affiancarsi i M.M.G.: ciò evidentemente permetterebbe una gestione efficace, ma anche sicuramente economica. A ciò si deve prevedere un rafforzamento del Polo Poliambulatoriale Specializzato e garantire i ricoveri per la riabilitazione.
C- La famiglia
Parlare di welfare locale senza pensare a politiche e scelte di sostegno alla famiglia sarebbe sbagliato.
In una società – come quella attuale – che muta rapidamente e profondamente e propone nuovi modelli e punti di riferimento che devono trovare una loro giusta dimensione sociale senza discriminazione alcuna, il ruolo della famiglia resta importante e determinante.
Vanno messe in campo quindi politiche di sostegno alle vecchie nuove forme familiari, politiche che spesso possono essere considerate una doverosa compensazione alla scarsa attenzione che da troppi anni lo Stato a loro riserva.
E ciò in un quadro complessivo profondamente mutato se rapportato a quanto si poteva paragonare solamente venti-trenta anni fa.
Oggi, il nucleo familiare è molto più ridotto; il numero complessivo dei figli si è notevolmente assottigliato e la donna, diversamente dal passato, accede al lavoro in una percentuale sicuramente più elevata per rivendicare un diritto al lavoro che si traduce in un diritto ad avere servizi che aiutino nell’inserimento lavorativo e anche per poter garantire le risorse economiche appena sufficienti per il normale sostegno della sua famiglia.
Oltre a tutto ciò la presenza di famiglie di immigrati extracomunitari induce ad una riflessione sulla multiculturalità e sull’influenza che traduce nel concetto stesso di famiglia.
Serve quindi un sistema ricettivo ed educativo della prima e primissima infanzia che consenta alla coppia di poter lavorare. Vanno perciò rivisitate le esperienze del passato per offrire posti in nido o micronido e nelle scuole materne. In tal senso sono auspicabili politiche delle Autonomie Locali sinergiche e collaborative, anche sul versante economico per offrire un servizio di qualità.
Anche per questo, ma non solo per questo, vanno monitorate le esigenze, vecchie o nuove che siano, delle famiglie, con l’obiettivo di giungere ad una lettura precisa (e costantemente aggiornata) delle nuove povertà e delle emarginazioni, in lento ma costante aumento.
Le Amministrazioni locali dovrebbero avere maggiore attenzione su alcune problematiche:
- attivare una corretta attenzione ed individuare le soluzioni migliori per quanto riguarda i tempi del lavoro e della città che quasi sempre penalizzano la lavoratrice-madre, ma ancor di più quando il nido, la scuola materna o la scuola elementare hanno modalità di accesso incompatibili con gli orari di lavoro dei genitori;
- vanno sostenuti gli stanziamenti già previsti per i sussidi energetici;
- vanno sicuramente aumentate le risorse destinate alle attività sportive dei minori;
- vanno contrastati, per sostenere al meglio il reddito reale, tutti i tentativi che da tempo si sono attivati in una spirale inflativa di inusitata aggressività; con ciò vanno stipulati accordi con le parti produttive affinché diventi possibile:
- rilevare e denunciare gli aumenti spropositati del valore delle merci;
- colpire gli aspetti speculativi sul versante dei prezzi;
- evitare che gli aumenti delle tariffe superino il tasso d’inflazione programmata.
D – I trasporti
Pur avendo momenti di enorme caduta, sia dal punto di vista dell’efficienza sia dal punti di vista dell’efficacia, lo specifico servizio, i suoi pregi (pochi) ed i suoi difetti (tanti) sono spesso riconducibili a decisioni che non competono il tavolo negoziale cremonese.
Tuttavia mai bisogna scoraggiarsi o, peggio ancora, arrendersi alle decisioni e alle scelte politiche imposte da altri.
In un tale contesto è giusto prendere atto che il servizio di trasporto urbano, così come è impostato, non è apprezzato; il gradimento potrebbe giungere solo al perfezionamento del semplice binomio: utilità e funzionalità; in poche parole il servizio dev’essere calibrato soprattutto per chi in definitiva lo dovrebbe utilizzare.
Sul trasporto extraurbano l’orizzonte poi è ancora più desolante; basti pensare al binario unico, alla vetustà dei mezzi “trenitalia”, alla rete stradale indubbiamente carente.
CGIL-CISL-UIL ritengono che all’Amministrazione Provinciale, in una logica concertativa con le Parti sociali, rivendichi a livello regionale una maggiore attenzione per questo territorio (con riferimento al programma triennale del servizio ferroviario), anche con l’estensione della tessera gratuita ad una platea più vasta, che rientri comunque nelle fasce deboli della popolazione
Per quanto riguarda pendolari e studenti sarebbe opportuno individuare agevolazioni in riferimento alle condizioni economiche.
E – La casa
Si potrebbe quasi affermare che la “casa” in quanto tale non è un problema in questa Provincia in quanto buona parte di chi abita, lo fa in una casa di proprietà.
Ma se , come detto in precedenza, il welfare deve prendersi cura degli strati più deboli della popolazione, allora diventa sin troppo semplice:
- rivendicare il rifinanziamento in toto del Fondo Sostegno Affitti;
- favorire le politiche di sviluppo abitativo (edilizia sovvenzionata, agevolata e convenzionata) individuate dai singoli comuni, con priorità a quelle che dichiarano la propria disponibilità all’individuazione di aree per la costruzione di case da riservare a canone moderato;
- approvare un programma che individui il superamento di tutte le barriere architettoniche, specialmente negli alloggi e negli edifici ”pubblici”, e l’installazione – laddove sia possibile – dell’ascensore: e ciò per agevolare soprattutto la popolazione anziana, parte preponderante nell’occupazione degli alloggi pubblici;
- chiedere una adeguata attenzione alle problematiche abitative degli immigrati, oggi ancora sicuramente visti con diffidenza e il più delle volte sottoposta a chiari ricatti economici del mercato occulto;
- intervenire con specifici deterrenti fiscali atti a scoraggiare il mantenimento di alloggi vuoti;
- incentivare fiscalmente quei soggetti che, prima di affittare l’appartamento, dovessero decidere di porre in essere un sostanziale recupero edilizio.
F – La scuola
Come per i trasporti, non è semplice rivendicare miglioramenti, in quanto buona parte della legislazione sfugge alla contrattazione locale.
Questo però non impedisce a CGIL-CISL-UIL di giudicare come profondamente sbagliata la recente riforma del cicli scolastici, che porterà ulteriori difficoltà e contraddizioni dal Centro alla Periferia e considerare come assolutamente iniquo il riservare così tanta attenzione al cosiddetto “Buono Scuola” per chi frequenta la scuola privata e nel contempo impoverire il sistema scolastico pubblico così pesantemente penalizzato.
Tutto questo, anche se denso di gravi preoccupazioni, non impedisce ancora a CGIL-CISL-UIL di richiedere, in prima analisi ai Comuni e alla Provincia, un progetto complessivo di adeguamento alle norme di sicurezza e di ristrutturazione, laddove necessita, di tutte le scuole della Provincia.
Per favorire le famiglie in cui entrambi i genitori sono impegnati in attività lavorative è importante operare affinché si realizzino ovunque i modelli didattici che prevedono i tempi allungati, stimolando una fattiva collaborazione tra scuole e Amministrazioni locali tenendo conto che il decreto attuativo della riforma Moratti farà scoppiare inevitabilmente un ulteriore problema provocato dalla cancellazione del tempo pieno nelle scuole elementari.
Tutte le attività che le scuole e i comuni organizzano per le comunità devono inoltre essere adeguatamente supportati da servizi (mense e trasporti) con particolare attenzione alle famiglie in difficoltà sociale.
Alla stessa stregua, dev’essere garantita la presenza degli scolari e degli studenti alle attività sportive, ed anche ciò con particolare importanza verso chi ha di meno.
Un ultimo accenno ai libri di testo, che comunque devono essere garantiti a tutti nelle forme che la legge prevede, soprattutto a quelli con minor possibilità economiche.
G – Le risorse umane
In un sistema orientato alla qualità, che comunque ha i suoi riflessi sul welfare locale, le risorse umane rappresentano un investimento sul quale far convergere progetti per la loro crescita professionale.
Per il Governo, invece, il personale rappresenta un costo da comprimere, un capitolo di spesa sul quale produrre economia: ne è un esempio la forte ostruzione in essere al rinnovo dei contratti di lavoro dei pubblici dipendenti.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro è elemento di qualità del sistema anche nella prospettiva di un contratto unico del settore privato-sociale, quale strumento per garantire i diritti dei lavoratori e dei cittadini garantendo livelli omogenei di assistenza e di fruizione delle prestazioni con caratteristiche uniformi su tutto il territorio nazionale.
Diventa allora necessario valorizzare ancor di più contrattazione aziendale che, intervenendo sull’organizzazione del lavoro, diventa strumento per una migliore e più potenziata erogazione dei servizi, per l’individuazione degli sprechi; cioè crei uno stimolo intelligente alle politiche del personale.
5 – Conclusioni
In onestà si ritiene che le presenti proposte possano essere considerate come un apporto autonomo ed importante al dibattito e configurabili come richiesta forte per il miglioramento complessivo del welfare locale.
Su tali proposte CGIL-CISL-UIL si dichiarano da subito disponibili al confronto con qualsiasi soggetto istituzionale, pubblico o privato che sia.
Con una certa urgenza, perché la cura e l’attenzione verso il prossimo, specialmente quello più debole e fragile, è più efficace se maggiormente tempestiva.
Cremona, 16 ottobre 2003.-

 


       



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