15 Settembre, 2002
La libertà di stampa e il nome “inequivoco” del popolo della pace
“A quanto pare, ci sarebbe anche la libertà di mandarci tutti quanti a… scopare il mare”
Libertà di stampa: poter stampare impunemente in prima pagina “Vispe
Terese, cioè le Simone”, intendendo le due volontarie dell’associazione ICS
che avevano rischiato la vita per aiutare inermi civili iraqeni già prima di
essere state rapite da terroristi che nessuna “vispateresa” aveva mai
difeso. Libertà di stampa è poter deridere “papà Sgrena, bella figura di
ferroviere comunista” che “ondeggiava la barba antica”, dare dei casinari
ai no global, etichettare come cattoflagellanti dei sinceri cristiani. C’è
pure la libertà di non sapere (oddio, basterebbe un rapido giro in internet…)
chi (e che musica!) c’è dietro i nomi “inequivoci” come per esempio
quello dei Parto delle Nuvole Pesanti. E, a quanto pare, ci sarebbe anche la
libertà di mandarci tutti quanti a… scopare il mare.
Sono proprio felice che Enrico Pirondini, direttore del quotidiano La
Provincia, abbia la libertà di scrivere e far stampare tutto ciò. E spero
che nessuno gli vada a dire che tutto questo non se lo poteva permettere. Come
no. Tutta questa libertà gli è consentita persino dalla Carta Costituzionale
per la quale si adoperarono anche i comunisti (con e senza barba) quando non
erano impegnati a mangiare i bambini. Dico solo che sarebbe un mondo migliore
dove obbrobri simili non vengono nemmeno pensati.
Io, modestissima formichina dell’informazione virtuale, ho sempre pensato
che un giornale come La Provincia avesse una funzione molto speciale, in
virtù della sua larghissima diffusione, della sua grande storia; che fosse una
sorta di “quasi istituzione”: una grande responsabilità.
Mettiamo che tutti i proprietari e tutti i collaboratori de La Provincia
abbiano le stesse idee politiche del direttore Pirondini. Resterebbero comunque
(almeno) due questioni aperte. 1) Come ci si sente “rappresentati” da un
direttore che usa un linguaggio da bordo strada al posto del ragionamento per
esprimere un suo disaccordo politico? 2) Come ci si sente rappresentati da un
direttore che non porta (non esprime attraverso il linguaggio usato) alcun
rispetto per quella parte dei lettori che la pensano diversamente? Che ci dice,
direttore? “Se non vi piace il mio giornale, compratevene un altro”?
Farà la felicità del consiglio di amministrazione… Noi, popolo della pace,
ci rimetteremo ben poco.
Siamo - chi in un modo chi in un altro - dei “formatori”: siamo genitori,
nonni, educatori, informatori… Abbiamo in mano il più potente mezzo di
comunicazione locale su carta stampata che insegna ai nostri figli che è lecito
pubblicamente mandare a … “scopare il mare” quelli che si uniscono sulle
pubbliche piazze per manifestare le proprie convinzioni e speranze.
Quando il fine politico fa piazza pulita dei capisaldi dell’etica, si rompe
qualcosa di prezioso. Non è male quell’adagio popolare: “chi rompe, paga”.
M.T.
 
L'editoriale
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