13 aprile 2007, ore 21
presso Centro Pastorale di Cremona,
via S. Antonio del fuoco, 9a
Giustizia e pace si abbracceranno
Il movimento americano per la pace in Iraq, Afghanistan
e … ovunque vi sia guerra.
Testimonianza di STEPHANIE WESTBROOK
STEPHANIE WESTBROOK è presidente di “U.S. Citizens for Peace and
Justice” (Statunitensi per la pace e la giustizia), un movimento che in
America e nel mondo si oppone alla guerra e sostiene il ruolo della politica e
della diplomazia internazionale nella prevenzione e soluzione dei conflitti.
Difende i diritti umani, diffonde la cultura della pace e pratica la
nonviolenza.
Chiede il disarmo nucleare, anche unilaterale, l’eliminazione delle armi
chimiche e di distruzione di massa.
Promuove il ruolo attivo dei cittadini nella difesa della democrazia e della
giustizia sociale.
organizzano: Acli, Emergency , Pax Christi, Rete Lilliput, Centro Pastorale
Diocesano
Testimonianze del movimento statunitense per la pace
di Stephanie Westrook
“Il risultato delle ultime elezioni per il rinnovo del Congresso degli Stati
Uniti è anche il frutto dell’impegno delle numerose realtà che costituiscono il
movimento per la pace statunitense. Un movimento che in qualche modo è rinato
dopo l’11 settembre e che ha anche importanti radici in altri momenti della
storia americana.
È difficile, per chi non viveva negli Stati Uniti, capire la paura
paralizzante che ha colpito la maggior parte degli statunitensi dopo l’11
settembre con l’effetto di inibire qualunque pensiero critico nei confronti
delle decisioni dell’amministrazione Bush. Ma proprio le persone più
profondamente segnate dalla tragedia dell’attacco terroristico, cioè le famiglie
delle vittime, hanno cominciato a manifestare pubblicamente la loro idea che
alla violenza non si dovesse rispondere con altra violenza. All’inizio si
trattava di poche persone, ma con una forte credibilità, alle quali si sono
aggiunti i pacifisti storici.
Tuttavia è stata la minaccia della guerra all’Iraq che ha mobilitato un
maggiore numero di persone e ha innescato la creazione di tanti nuovi gruppi
nazionali e locali. Oggi la più grande rete pacifista, “United for Peace &
Justice”, conta oltre 1300 gruppi in tutti i cinquanta stati, impegnati contro
le guerre in Afganistan e in Iraq e l’occupazione della Palestina. Inoltre
trattano vari argomenti legati alle problematiche della guerra, tra cui il
reclutamento, la spesa militare, la corsa agli armamenti come anche i temi della
giustizia sociale e dei diritti umani.
Il movimento nel suo insieme raccoglie varie realtà quali le donne di “Code
Pink: Women for Peace”, gruppi religiosi come “Faithful America” e “Tikkun
Community” e il movimento studentesco del “Campus Anti-War Network”. E ancora
una volta, le persone più coinvolte direttamente sono state quelle che hanno
portato una voce credibile che nessuno poteva ignorare, cioè le famiglie dei
militari, i reduci delle guerre in Afghanistan e in Iraq e i militari stessi.
Più recentemente e per la prima volta si sono aggiunti al movimento i militari
in servizio, dei quali oltre 1700 hanno firmato l’”Appeal for Redress”, vale a
dire un appello al Congresso per il ritiro dall’Iraq.
Intorno al movimento sono nati inoltre diversi Think Tank che danno un
appoggio fornendo gli elementi necessari per diffondere informazioni e incidere
sull’opinione pubblica. Esperti come il Colonello Ann Wright, l’ex agente della
CIA Ray McGovern, lo storico Howard Zinn, il regista Robert Greenwald e la
giornalista Amy Goodman partecipano attivamente alle varie iniziative del
movimento.
I metodi utilizzati spaziano dalle manifestazioni di massa, alla presenza
nelle scuole per contrastare il reclutamento, all’aiuto ai soldati che rifiutano
di combattere, a incontri e dibattiti, ad azioni di lobbying presso il
Congresso. Su quest’ultimo si concentra attualmente l’impegno del movimento per
esigere dal nuovo Congresso a maggioranza democratica azioni concrete per
fermare la guerra attraverso il controllo dei finanziamenti.
Cresce il numero di persone consapevoli dell’esigenza di contrastare la
militarizzazione della cultura, dell’economia e della società statunitense e
cresce la loro partecipazione attiva nel movimento e nella vita democratica del
paese. Cresce anche il numero di persone disposte a sacrificarsi e a rischiare
di più per un cambiamento profondo dell’attuale politica americana”.