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 Lettere a Welfare

15 Settembre, 2002
Gianni Risari abbandona il PD
Con una lunga lettera indirizzata ad Annamaria Abbate ed agli amici del PD

Care amiche e cari amici del partito democratico,

vi rubo qualche minuto d'attenzione per raccontarvi alcune delle ragioni che mi hanno portato a ritirare la mia adesione al PD e dunque a rinunciare a responsabilità in organismi dirigenti del partito. Eviterò in questo modo di partecipare alla riunione provinciale e di intervenire nel dibattito rischiando di farlo deviare dall'ordine del giorno che so importante anche per l'imminenza della campagna elettorale.

Ho partecipato attivamente alla fase costituente dei comitati Prodi, dell'Ulivo, dell'Unione. Sono stato tra i costituenti del partito popolare e della margherita, ho accettato con scarsa convinzione, ma con coerenza di comportamenti alla fase di chiusura dei partiti, DS e margherita, per confluire in un unico partito. Non ho condiviso l'accelerazione impressa al processo costituente, all'indomani della generale sconfitta elettorale alle elezioni amministrative, quando abbiamo eletto un segretario senza un programma e senza un congresso. Ero infatti convinto e lo dissi a molti amici, che quella scelta avrebbe portato alla definitiva caduta del governo Prodi e non solo alla disfatta dell'Unione, ma pure dell'Ulivo e alla conseguente perdita di rilevanza politica della componente "cattolico democratica", alla stregua dell'esperienza dei cristiano sociali nei DS, con tutto il rispetto per le persone ed il loro ruolo. Mai abbiamo ipotizzato una tale conclusione della nostra tradizione ed esperienza politica. Così come dicevamo che mai saremmo confluiti in un partito socialdemocratico e questo che cosa è? Lo vedremo alle prossime elezioni Europee. Riguardo ancora alla fase politica precedente la crisi, immaginare che i partiti che sostengono un governo precario continuino a farlo, mentre i leader dei principali partiti della coalizione lavorano ad un'intesa per escluderli non solo dal governo che sostengono, ma pure dal parlamento, era politicamente folle o cinicamente calcolato.

Lo si è fatto e il governo Prodi è caduto quando gli Italiani cominciavano a dire: "però, Prodi avrà anche una maggioranza risicata, ma sta dimostrando capacità di tenuta." E si annunciavano provvedimenti a favore dell'aumento dei salari.

Certo, il Killer ha un nome questa volta, ma lo scenario è stato ben preparato, più della volta precedente, quando sono stato testimone oculare del "delitto", politico.

Dopo di che arriva Veltroni che non ho mai dubitato fosse lì pronto per il dopo Prodi.

Non il mandante, per carità, ma pronto certamente. L'ho detto in tempi non sospetti in piazza Duomo a Crema di fianco a lui, venuto a sostenere la mia campagna elettorale. Di questo gli sono ancora grato (assieme a Pizzetti che favorì l'iniziativa) e lo ritengo un buon politico, ma è la proposta, non la persona, che non posso più condividere. Prima della questione così detta cattolica o dei temi eticamente sensibili, pur importante, c'è dell'altro e altrettanto decisivo. Dirò solo l'essenziale per non annoiare oltre misura.

La questione elettorale: Veltroni è per il modello alla francese, cioè semi presidenziale, dove il parlamento perderebbe la centralità che la costituzione italiana oggi gli attribuisce. Io sono per riforme che modifichino i regolamenti parlamentari, riducano ad una le camere e riducano il numero dei parlamentari, ma mantenendo al parlamento la centralità nell'assetto istituzionale.

Veltroni e il PD sono per leggi elettorali che forzino verso il bipartitismo anglosassone, io sono per governi di coalizione che si basino su programmi contrapposti resi stabili da regole come la sfiducia costruttiva e lo sbarramento d'ingresso.

Veltroni e il PD optano per una metodologia leaderistica, all'americana, dove primarie e sondaggi sostituiscono la partecipazione autentica delle persone alle decisioni attraverso organizzazioni democratiche, i partiti. Per cui tutto lo sforzo che vedo fare in sede locale per l'organizzazione del partito come se fosse la riedizione riveduta e corretta del vecchio PCI e della vecchia DC con tanto di sezioni, circoli, apparati, stati maggiore, ecc., oltre a non condividerla perché vecchia e superata, la ritengo una sorta di "divertimento" che forse servirà a chi ambisce ricoprire ruoli di terza o quarta fila e che purtroppo temo ben presto deluderà quanti cercano una svolta davvero innovativa nel modo di far politica. Un'organizzazione, in sede locale, che ripete modelli vecchi, con correnti già organizzate e pronte alla battaglia interna. Un'organizzazione più vecchia ed appesantita, rispetto all'organizzazione che ci si era dati nella Margherita. Il modello Veltroni è comunque un altro, è quello di un "leaderismo deamicisiano" per il pubblico e centralista per gli addetti ai lavori. Ma in un partito leaderistico e personalizzato quest'organizzazione è un di più, un retaggio ottocentesco, direbbe qualcuno. In questa prospettiva saranno sempre più determinanti soldi, apparati di professionisti dell'immagine, sondaggisti ed attori televisivi. La conclusione, l'aveva già preannunciata il popolare Guido Bodrato in numerosi editoriali sul Popolo qualche anno fa e l'aveva profetizzata Luigi Granelli in un intervento al congresso del PPI che elesse Castagnetti, la conclusione è la deriva plebiscitaria della democrazia italiana.

Vorrei che qualcuno mi spiegasse perché mai noi, che abbiamo contestato questa visione della politica difendendo la Costituzione e con essa una visione democratica e liberale della società, opponendoci alla visione da televendita impersonata da Berlusconi, dovremmo ora farla nostra. Non mi si dirà che la colpa è tutta di Bertinotti e della sinistra massimalista. Va bene che siamo in campagna elettorale, ma affermare che andiamo alle elezioni da soli per essere meglio noi stessi e poi, per qualche voto in più, venire a teorizzare addirittura la castrazione chimica per i pedofili per farsi poi dire dal senatore Marino, PD e chirurgo di fama internazionale, presidente della commissione sanità del senato, che non serve allo scopo, è davvero il colmo.

Il PD corre, anzi avrebbe voluto, correre da solo, ma ammesso che lo facesse davvero, poi, con chi farebbe le alleanze? Silenzio assordante.

Solo alla fine, ma ci sarebbe dell'altro, vengo alle scelte che mi han fatto tirare le somme.

Di Pietro e i radicali.

Il primo è il prototipo di un giustizialismo che se a malapena può essere tollerato in momenti eccezionali come una medicina inevitabile, diventa la malattia del sistema giuridico in periodi di normalità democratica. Per me un innocente in galera è un delitto e uno stato che non difenda la presunzione di innocenza non può dirsi democratico. La carcerazione preventiva, fuori dalle eccezioni previste dalla legge, è un'infamia paragonabile alla tortura. Giustificare continue eccezioni in nome di campagne di pulizia morale ecc. mi ricorda regimi contro i quali chi ci ha conquistato dato le libertà democratiche ha lottato duramente anche rimettendoci la vita. Dunque, l'accordo con Di Pietro, privilegiandolo rispetto ad altri, è insopportabile.

I secondi, i radicali. Sono stato deputato relatore della legge sull'editoria in commissione cultura e in aula alla Camera. Per settimane ho lottato per arginare l'impressionante regalo di miliardi che vien dato a Radio radicale, modo surrettizio di sovvenzionare un partito che poi si dichiara contro il finanziamento pubblico ai partiti. Non solo, ma ho dovuto ricattare Pannella perché Radio radicale mettesse in regola i lavoratori, tutti in nero o precarissimi, poi si fanno paladini della giustizia giusta. Infine, li ho avuti avversari per la legge di riforma del sistema scolastico, i più tenaci avversari della riforma Berlinguer. Vedete che non ho ancora citato alcun tema eticamente sensibile. Perché venendo a questi davvero io non riesco davvero a capire come sia possibile rimanere in un partito che garantisce soldi, spazi pubblicitari e posti certi in parlamento a persone che hanno non un'idea della vita differente rispetto alla mia, ci mancherebbe, ma radicalmente contraria. E non mi si venga a dire che hanno accettato il programma.

Al di là del fatto che è così generico da poter essere sottoscritto anche da Berlusconi, ma davvero qualcuno è disposto a credere che dei parlamentari radicali non troveranno le ragioni per sostenere la loro coerenza rispetto all'incoerenza di tutti gli altri? Così come sostenere che il problema si risolve in quanto loro avranno solo 9 parlamentari e i cattolici 100 è una tesi addirittura patetica, anche se si pensa che al Senato un voto o due potrebbero essere ancora determinanti.

Mi si obbietta che la modernità ha le sue esigenze, che i giovani non capiscono, che la televisione esige ecc. Attenzione, recenti sondaggi stanno smentendo questa tesi e non è un caso che i giovani scelgano partiti con identità marcate. Riguardo poi ai tanto amati Stati Uniti, i temi etici e persino religiosi sono alla ribalta e in modo, dico io, davvero preoccupante. Sicuri che quello sia il modello da imitare?

Per queste ed altre ragioni ritengo per me concluso il processo politico iniziato con l'Ulivo e, quindi, non potrò continuare la mia collaborazione alla costituzione del Partito Democratico, anche se molte idee le condivido, come pure confermo la mia stima per moltissime donne e uomini che ne fanno parte, persone con cui, sia a livello locale che nazionale ed europeo, ho condiviso impegni e responsabilità. Mi auguro e da parte mia non mancherà la volontà, di poter collaborare, fin dall'impegno nel mio comune a Crema, alla buona amministrazione delle nostre comunità, alla ricerca di quel bene comune che dovrà essere sempre l'orizzonte del nostro impegno politico.

Con amicizia.

Gianni Risari

Crema, 29 Febbraio 2008 


       



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