15 Settembre, 2002
Cara Italia, ci devi dare una mano
Serbia al bivio. conversazione con Ivan Vejvoda, guru europeista - I Dss di Kostunica tagliati fuori dalla partita politica
«Finalmente una buona notizia. Era ora che si facesse chiarezza».
Non si dispera il professor Ivan Vejvoda, di fronte alla presunta, e
da molti temuta, «crisi al buio» della Serbia. Certo i serbi
torneranno alle urne, questo raccontava ieri la cronaca politica
belgradese, appena un anno dopo la faticosissima formazione del
governo di coalizione. E l'undici maggio, probabile data
dell'appuntamento alle urne, giunge appena tre mesi dopo la vittoria
di Boris Tadic nel ballottaggio delle presidenziali. Un altro voto,
un altro - l'ennesimo - referendum sul destino serbo.
Più netto che mai: «L'Europa o l'isolamento» sintetizza da Belgrado
Ivan Vejvoda al telefono con Il Riformista . Vejvoda - intellettuale
di riferimento del movimento democratico già ai tempi
dell'opposizione a Milosevic - la battaglia europeista la porta
avanti da protagonista sin dai tempi in cui era il principale
consigliere sulle questioni europee del mai abbastanza rimpianto
Zoran Djijncic, illuminato primo ministro ucciso esattamente cinque
anni fa. Da allora sul percorso europeo la Serbia procede a fatica.
Ma secondo Vejvoda l'implosione dell'alleanza tra i Ds, partito
europeista del presidente Tadic, e i nazionalisti del DSS di
Kostunica - annunciata sabato dal premier e formalizzata ieri -
rappresenta «la salutare conclusione di una sorda crisi sull'Europa
che stava paralizzando il nostro governo. E che aveva congelato la
nostra scelta europeista. Quando Kostunica annuncia che il governo
si spacca sul Kosovo - spiega Vejvoda- dice il falso. Le priorità di
questo governo dovevano essere due: fare il possibile per
conservare - con tutti i mezzi pacifici e legali a disposizione - la
sovranità sul Kosovo e tenere la barra diritta sull'Europa.
L'impegno sul Kosovo i Ds lo hanno rispettato. Ma non possiamo
condizionare la nostra scelta europea alla questione kosovara. La
scelta oggi non è Kosovo o Europa ma Europa o isolamento».
In realtà questa scelta la Serbia l'ha fatta già otto anni fa quando
ha cacciato Milosevic secondo Vejvoda. Ma ambiguità e fragilità
della classe politica, oltre a un rapporto morboso con la propria
storia la ripropongono ogni volta come una condanna. Anche se la
Serbia - Vejvoda ne è convinto «dal punto di vista della sua
sociologia politica più profonda ha accettato tanto il percorso
europeista quanto l'amputazione» Vejvoda è di quei serbi, e sono
davvero la maggioranza (anche se silenziosa perché pochi osano dirlo
ad alta voce), che sanno benissimo che il Kosovo è perduto da
quando, all'indomani della guerra, è finita la sovranità effettiva.
E si lascia addirittura scappare che sarebbe stato tutto più
facile «se la questione fosse stata risolta dal Consiglio di
Sicurezza dell'Onu» ovvero esplicitamente «se la Russia avesse
votato a favore dell'indipendenza kosovara». Lo strappo sarebbe
stato doloroso ma più netto «e si sarebbe voltato pagina più
rapidamente» Le cose comunque non sono andate poi così male. Al
netto della infiammata retorica sottolinea Vejvoda «Belgrado ha
confermato la scelta di una gestione pacifica della questione. E a
tre settimane dalla dichiarazione d'indipendenza il Kosovo gode di
una insperata stabilità». Sebbene Vejovoda sia convinto che l'Europa
avrebbe potuto giocare con più accortezza la carta del negoziato,
non si sente di condannarla: «L'Europa ci ha aperto le porte da
tempo, poi certo ci sono stati passi indietro e ripensamenti.» Ed è
un'Europa che ieri si è detta pronta (dal Quai d'Orsay alla Slovenia
presidente di turno) a farsi il più possibile «attraente» per
l'elettore serbo.
Un modo come un altro per fare il tifo a favore del partito di Boris
Tadic. «La partita è a due: i Ds del presidente contro i radicali di
Nikolic, come nel ballottaggio presidenziale di un mese fa. Il
quadro politico in Serbia ha subito una netta polarizzazione e
questo ha tagliato fuori il partito Dss di Kostunica. Il premier ha
provato a reagire spostandosi più vicino ai nazionalisti. Ma oggi i
sondaggi gli danno il 5-6%, quindi tutto al più il dubbio è se sarà
il junior partner dei nazionalisti o degli europeisti. Ma
difficilmente potrà risultare decisivo».
Neanche l'Europa lo sarà ma qualcosa, oltre a tifare, può fare per
incidere sulla gara. Vejvoda elenca i punti con con grande
chiarezza: «Innanzitutto può finalmente dare il via libera all'Asa
(Accordo di Stabilizzazione e Associazione, passo cruciale nel
percorso verso l'adesione ndr ) che aspettiamo da tempo. Sarebbe un
gesto di straordinaria importanza. Poi potrebbe fare passi avanti
sulla liberalizzazione dei visti». Questione quasi ignorata dalla
nostra Europa ma che in Serbia è - prima ancora del Kosovo - il
principale motivo di alienazione soprattutto per i più giovani e i
più europeisti, umiliati ed offesi dalla porte sbarrate di una
Europa che a loro viene negata. Vejvoda conosce le diffidenze della
Ue, le paure sull'immigrazione ma propone quale gesto di apertura
quasi uno spot per l'Europa: «Visti liberi per due mesi questa
estate». Una proposta che - al pari di un piano di infrastrutture
capace di integrare concretamente la Serbia al resto d'Europa (in
primis il completamento dell'autostrada che collega il sud del paese
alla Grecia) Vejvoda affiderebbe volentieri all'Italia. Perché è
innanzitutto al nostro paese e al nostro governo dimissionario che
il Professore si sente di chiedere una mano. «L'Italia, sotto il
governo Prodi ha fatto tutto il possibile per comprendere le
difficoltà della Serbia. Più di altri paesi ha fatto sentire in
Europa la voce di coloro che credono nel percorso d'integrazione.
Per questo l'Italia deve prendere l'iniziativa per aiutarci a
rendere irreversibile la nostra scelta europea».
 
Fonte Il Riformista
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