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15 Settembre, 2002
Del merito e dell’eguaglianza (di Maurizio Tiriticco)
La relazione che il ministro Gelmini ha tenuto presso la VII Commissione della Camera come contenuti e toni è molto diversa da quella che tenne la Moratti dopo il suo insediamento.....

La relazione che il ministro Gelmini ha tenuto presso la VII Commissione della Camera come contenuti e toni è molto diversa da quella che tenne la Moratti dopo il suo insediamento. Le differenze si notano, soprattutto perché manca l’arroganza che ha caratterizzato tutto il decisionismo morattiano e viene sottolineata una disponibilità al confronto e ad un produttivo dialogo con tutte le forze politiche e con le stesse componenti della scuola.

Nella relazione della Moratti era evidente una precisa volontà riformatrice e c’era in nuce tutta quella politica del Punto e a capo che ha costretto la nostra scuola ad un quinquennio di profonde incertezze e sofferenze. In quella relazione si sosteneva, tra l’altro, che le cause degli insuccessi dei nostri giovani sono totalmente imputabili alla scuola stessa. Secondo la filosofia della Moratti, la nostra scuola avrebbe preteso – in forza di un malinteso principio di eguaglianza - per lo meno dal secondo dopoguerra ed, in modo più marcato, dopo l’avvio della scuola obbligatoria decennale, di imporre a tutti gli alunni gli stessi contenuti di studio e gli stessi obiettivi di apprendimento, senza minimamente tener conto delle differenze che corrono tra alunno e alunno. Da questa analisi discendevano due scelte: la prima era quella di un abbandono definitivo della politica dei Programmi ministeriali; la seconda quella di optare per quella personalizzazione che – ben lontana dal personalismo di un Maritain e di un Mounier che è stato ed è tutt’altra cosa – si tradusse in quei Piani di studio personalizzati che hanno gettato nell’angoscia la gran parte dei nostri insegnanti.

La Moratti, quindi, avviò un processo che aveva una sua piena legittimazione per quanto concerneva l’abbandono della pratica dei Programmi ministeriali. Infatti, il novellato Titolo V della Costituzione (legge Cos. 3/01), recependo l’avvio del processo autonomistico (legge 59/97, dlgs 112/98 e dpr 275/99), imponeva l’abbandono di tali programmi in forza del fatto che tutta una serie di poteri erano ormai passati dallo Stato alle Regioni, agli Enti locali, alle Istituzioni scolastiche autonome. Oggi allo Stato spetta solo la competenza di dettare norme generali e livelli essenziali di prestazione; tutto il resto compete ad altri soggetti. La scelta, quindi, di varare delle Indicazioni nazionali era più che legittima! La critica alle Indicazioni, quindi, fu tutta incentrata sui contenuti, non sulla legittimità della scelta. In effetti, le Indicazioni finirono con il costituire uno strumento “legale” per attuare pienamente quel disegno secondo cui occorre personalizzare i processi di apprendimento per piegare il servizio pubblico dell’istruzione a quelli che sono i desiderata degli alunni e delle loro famiglie!

Si trattava di un disegno che scardinava totalmente quello che è invece, il fine primario di un processo di apprendimento, soprattutto al livello di una istruzione obbligatoria, che è quello di permettere a ciascuno alunno – nessuno escluso – di raggiungere quegli obiettivi culturali e di cittadinanza che sono assolutamente necessari per l’inclusione in un dato assetto sociale. Il che non significa affatto livellare gli insegnamenti! Forse la Moratti non sapeva che dagli anni Settanta in poi l’insegnare/apprendere secondo la metodologia del curricolo significava appunto, ed in primo luogo, curvare i “livelli di partenza” di ciascun alunno a quegli obiettivi che, comunque, non possono non essere raggiunti da tutti. Mettere al centro la Persona significa, certamente, aiutarla a sviluppare al massimo le sue potenzialità, le sue capacità e le sue attese, ma senza cedere sul terreno di quelle competenze che gli garantiranno un positivo accesso al mondo degli studi ulteriori e del lavoro.

Richiamare certe posizioni della Moratti non vuole affatto essere pretestuoso perché i toni e le argomentazioni usate dalla Gelmini sono profondamente diversi. Detto questo, però, c’è un’affermazione della Gelmini su cui occorre riflettere: quando osserva che “l’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada, è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. Diamo a ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto”.

E’ un passo in cui, anche se con toni assolutamente diversi, riemerge, però, un adagio che già conosciamo. Ricordiamo che la stessa Moratti aveva scomodato Don Milani quando afferma che “non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. E’ ovvio che i percorsi vanno differenziati, ma ciò non significa che vanno differenziati gli obiettivi che bisogna raggiungere. Ciò vale non solo per l’istruzione obbligatoria, ma anche per i percorsi che sono finalizzati ad obiettivi diversificati e specialistici. Il chirurgo è tenuto a raggiungere determinate competenze pur attraverso percorsi ampliamente personalizzati, ed eserciterà le competenze raggiunte con tutta la specificità delle sue personali caratteristiche, attitudini, motivazioni. La stessa cosa vale per il cuoco e per l’avvocato, per l’acconciatore e per l’architetto.

Rispolverare un adagio ormai largamente spuntato e falso, secondo il quale la nostra scuola si è preoccupata soltanto di passare come un bulldozer sulla testa dei nostri poveri bambini è scorretto e pericoloso. E’ scorretto perché non corrisponde al vero, è scorretto perché potrebbe aprire il varco ad un’ipotesi di Sistema di istruzione in cui a ciascuno si dà quello che chiede e non quello di cui ha effettivamente bisogno. Le stesse ricerche Ocse-Pisa e Iea-Pirls – che il Ministro cita – non sarebbero possibili se non si effettuassero su indicatori relativi ad obiettivi che si ritengono largamente comuni e che nulla hanno a che fare con la Personalizzazione. Vorrei solo pensare che una deriva di questo tipo non sia stata neanche avvertita dal nostro giovane Ministro che nella sua relazione si è dimostrato complessivamente disponibile ad aperture e ad approfondimenti.

Se poi compariamo la succitata affermazione del Ministro con un altro dei passaggi più forti e più convinti del suo discorso, quello del merito e dell’eccellenza, la mia apprensione cresce. Nessuna obiezione sulla definizione di merito che il Ministro riprende da un passo di Roger Abravanel: “La meritocrazia è un sistema di valori che promuove l’eccellenza delle persone indipendentemente dalla loro provenienza sociale, etnica, politica ed economica”. E’ più che corretto che il signor Abravanel faccia affermazioni di questo tipo, in quanto esperto della McKinsey & Company, una delle più importanti società di consulenza manageriale.

Ma l’attenzione e la preoccupazione di un educatore vertono soprattutto su quell’indipendentemente, un avverbio assolutamente ininfluente al fine di un corretto management, ma determinante ai fini di un’azione educativa. La provenienza sociale, etnica, politica ed economica condiziona pesantemente lo sviluppo o meno del merito. Il merito non è un dato di fatto, è una faticosa conquista! Quale insegnante non si propone che ogni suo alunno persegua e raggiunga il merito? Se “l’equazione del merito – dice ancora Abravanel – è intelligenza più impegno”, chi sollecita l’intelligenza, chi l’impegno se non l’insegnante, o il genitore, ovviamente se è in grado di farlo?

Compito del Sistema educativo nazionale di istruzione e formazione non è quello di censire e legittimare i meriti, ma di sollecitarli e promuoverli. Il Ministro afferma che “il merito non è una fonte di diseguaglianza, ma al contrario uno strumento per garantire pari opportunità, e dunque la più alta forma di democrazia”. Non è forma di diseguaglianza, certamente, ma solo a condizione che tutti siano veramente meritevoli! Ma nessuno è capace e meritevole solo per diritto di nascita! Lo diventa per… dovere di istruzione! Ed ora un’amara constatazione: il Ministro dimostra tanta preoccupazione per il merito e poi con il decreto legge 97/08 del suo Governo viene rinviata all’anno accademico 2009/10 quella tanto attesa valorizzazione della qualità dei risultati scolastici ai fini dell'accesso ai corsi di laurea universitari! Un vulnus per i nostri candidati al prossimo esame di Stato!

Ed infine un’ultima notazione! Il Ministro afferma che “non basta elevare l’obbligo scolastico ed è negativa la scorciatoia di semplificare i processi di apprendimento”. Ma l’innalzamento dell’obbligo di istruzione non deve essere una semplificazione al ribasso. E’ una sfida che ci impone una società sempre più complessa e difficile, che ci impongono l’Unione europea e tutti i Paesi ad alto sviluppo, ed i nostri stessi giovani nel momento stesso in cui esprimono i loro bisogni in quelle forme che tutti condanniamo e di cui, forse, non hanno neanche perfetta consapevolezza. Ben venga il merito, ma che non sia tale solo perché è di pochi, contrapposto al demerito dei molti! Una società veramente democratica – che il Ministro stesso auspica – è quella che offre a tutti quelle diversificate opportunità perché ciascuno raggiunga il suo “merito”! Forse è utopia! Ma è l’educazione stessa che è utopia! Se così non fosse, sarebbe semplicemente un ennesimo strumento di selezione sociale! Quello che Althusser paventava!

Roma, 12 maggio 2008

Maurizio Tiriticco

 


       



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