15 Settembre, 2002
Agnadello. Breve storia del comune.
Un'etimologia popolare fa derivare il toponimo Agnadello da "Acquadello", cioè paese dell'acqua, con riferimento ai numerosi fontanili che caratterizzano la zona.
Agnadello. Breve storia del comune.
Etimologia del nome e origine del paese
Un'etimologia popolare fa derivare il toponimo
Agnadello da "Acquadello", cioè
paese dell'acqua, con riferimento ai numerosi
fontanili che caratterizzano la zona.
Secondo alcuni studiosi di toponomastica,
invece, "Agnadello" deriva dal
latino "Agnadellum", diminutivo
di "Agnano", a sua volta derivato
dal gentilizio romano "Annius",
con il suffisso -anus della formazione prediale.
Il significato letterale del nome Agnadello
sarebbe perciò: "piccolo podere di Annius".
Secondo altri, invece, deriverebbe da "
acmen (variazione di acumen)-agmen ",
vocabolo tardo-latino che significa altura,
sommità o forse da" amnis " ( fiume
).
Agnadello si trova nel territorio denominato
“ Gera D’Adda “ : "Gera" ( che
anticamente si diceva anche Ghiera o Ghiara
) significa "ghiaia", dal latino
"glarea", in dialetto "gèra".
La zona è chiamata così perché è formata
da uno strato di ghiaia portata dall'Adda;
il nome del fiume è di origine celtica e
significa " acqua corrente ".
La Gera d'Adda fu popolata fin dalla preistoria;
i primi resti di vita umana che gli archeologi
hanno trovato risalgono al Mesolitico.
Allora, nella zona, gli uomini vivevano cacciando
e avevano stanziato accampamenti stagionali
lungo le sponde del Serio, presso l'attuale
Castelleone. Durante il Neolitico si incominciò
a praticare l'agricoltura ma le attività
fondamentali rimasero inizialmente la caccia
e la pesca, infatti la nostra zona era allora
ricca di foreste popolate da molti animali
selvatici e solcata da fiumi pieni di pesci;
proprio i corsi d'acqua furono le prime vie
di comunicazione.
Poi giunsero i Liguri (una popolazione proveniente
dai Balcani) che praticarono un'agricoltura
arretrata, vivendo soprattutto di pesca e
di caccia all'orso, al lupo, al cervo, al
cinghiale. Essi si fermarono qui fino al
termine dell'età del bronzo ma lasciarono
scarse testimonianze della loro presenza.
I glottologi hanno rilevato nel nostro linguaggio
parole liguri, tra le quali barca, viola,
resina, malva, baita passate senza cambiamenti
nell'italiano, palta (fango), magiostra (fragola)
ancora presenti nel dialetto.
Nel VI secolo a.C. arrivarono gli Etruschi
alla ricerca del ferro; essi, infatti, erano
abili nel lavorarlo.
I Galli o Celti , sopravvenuti nel V secolo
a.C., trasformarono la zona praticando un'agricoltura
più avanzata ed incentivando il disboscamento.
Fondarono villaggi e strade che diedero inizio
ad uno sviluppo commerciale.
Nel I secolo a.C. i Romani, sconfitti i Galli,
conquistarono la regione, fondando centri
come Arzago e Misano; effettuarono la centuriazione
e resero ancora più efficienti l'agricoltura
e il commercio.
Caduto l'Impero Romano, a causa delle invasioni
barbariche, la popolazione del nostro territorio
diminuì moltissimo; i campi rimasero incolti,
i boschi ricrebbero, le acque dell'Adda e
del Serio senza più argini allagarono i campi,
formando il Lago o Mare Gerundo. Il lago
era in realtà una palude che si estendeva
sulla parte più bassa dei territori costeggianti
l'Adda e il Serio, alimentata dalle inondazioni
dei fiumi e dalle numerose risorgive.
La fantasia popolare narra che un tempo nelle
acque del Lago Gerundo viveva un drago di
nome Tarantasio che, avvicinandosi alle rive,
faceva strage di uomini e soprattutto di
bambini e che“ ammorbava “ l’aria circostante
con il suo alito asfissiante. Pare che la
popolazione di Lodi fosse molto provata dall’azione
di questo drago ma, come spesso accade, la
leggenda nasceva da un fatto reale.
In questo territorio, infatti, ci sono giacimenti
di gas metano, con esalazioni naturali che
si incendiavano con i fulmini , durante i
temporali e a quel tempo questo fenomeno
fece pensare all’ alito di un drago.Il mostruoso
rettile, sempre secondo i racconti popolari,
fu ammazzato da uno sconosciuto eroe che
prosciugò anche il lago. Questo valoroso
altri non era che il fondatore dell’illustre
famiglia dei Visconti di Milano che, dopo
tale prodezza, adottò come suo stemma l’immagine
del biscione che inghiotte il bambino.
Tra leggenda e storia è certo, tuttavia,
che il lago sia realmente esistito in quanto
è menzionato in molti documenti antichi.
Per quanto riguarda la derivazione del toponimo
Gerundo, è opinione comune che esso derivi
da "gèra" (ghiaia), mentre Valerio
Ferrari, esperto conoscitore del territorio
cremasco, ritiene che la sua etimologia sia
da cercare nel termine " gyrus"
cioè " spira, curva " con riferimento
ai meandri fluviali.
Proprio su un'"isola" di questa
palude sorse il nostro paese, costituito
come comunità da famiglie romano-longobarde.
Dopo il mille, l'insediamento di abbazie
cluniacensi nella zona incentivò la bonifica
del territorio: a poco a poco sparirono le
paludi e i boschi, sostituiti da campi coltivati.
Il più antico documento in cui è citato il
nome di Agnadello risale probabilmente al
1046 ed è rappresentato da un decreto in
lingua latina inviato dall'imperatore Enrico
III al vescovo Ubaldo di Cremona.
In tale documento sono nominati i paesi della
nostra zona e Agnadello è citato con il nome
di "Castrum Agnanellum".
Nel 1300 iniziarono varie opere di canalizzazione
delle acque di molte delle rogge presenti
ancora oggi nella nostra zona. Le violente
liti sulle acque, dovute all'universale fabbisogno
di questo bene prezioso, coinvolsero tutti
i comuni del territorio aumentandone i dissidi.
Questo continuò fino al secolo successivo
quando, sotto il dominio dei Visconti e degli
Sforza, si diede inizio alla realizzazione
del grande progetto per una maggiore distribuzione
delle acque del fiume Adda.
Nel 1414 Agnadello venne concesso in feudo,
insieme con Pandino, Misano e Crema, a Giorgio
Benzoni, successore dei fratelli Paolo e
Bartolomeo Benzoni, proclamatisi Signori
di Crema il 12 novembre 1403.
Poco tempo dopo, nel 1423, tutto il territorio
della Gera d'Adda passò al Ducato di Milano
sotto il dominio della famiglia Visconti,
dominio che durò fino al 1447.
Per quasi tutta la seconda metà del XV secolo
la Gera d'Adda fu conquistata alternativamente
ora dalla repubblica di Venezia, ora dal
Ducato di Milano degli Sforza.
Nel 1500 il re di Francia Luigi XII, con
l'aiuto della repubblica di Venezia, invase
e conquistò con le sue truppe il Ducato di
Milano; Cremona e la Gera d'Adda passarono
sotto il potere dei Veneziani.
Le mire espansionistiche di quest'ultimi
però, li posero ben presto in contrasto con
i loro alleati Francesi. A metà del mese
di aprile del 1509, re Luigi XII dichiarò
guerra a Venezia.
La battaglia di Agnadello
Un evento storico molto rilevante verificatosi
ad Agnadello fu la battaglia combattuta il
14 maggio 1509 tra la repubblica di Venezia
ed i Francesi.
L'esercito della repubblica veneziana era
composto da 2.000 uomini d'armi, 3.000 cavalieri
e 30.000 fanti con 29 cannoni d'assedio e
120 cannoni da campo. Le milizie erano comandate
da Nicolò Orsini e da Bartolomeo D'Alviano.
L'esercito francese era formato da 2.000
uomini d'arme, 18.000 fanti, 600 cavalieri
e 67 pezzi grossi d'artiglieria.
I Francesi marciarono verso Treviglio che
era occupata da una cospicua guarnigione
di Veneziani. Attraversarono l'Adda a Cassano
con 600 fanti ed alcune centinaia di cavalieri
ed occuparono prima Rivolta, poi puntarono
decisamente su Treviglio; cinsero d'assedio
la città ed incominciarono ad abbattere le
mura con l'artiglieria pesante. Ben presto
la città si arrese. A presidiare Treviglio
rimasero solo 1.600 fanti, mentre il grosso
dell'esercito francese rientrò a Milano per
attendere l'arrivo di Luigi XII dalla Francia,
il quale vi giunse il 1° maggio 1509.
La Gera d'Adda rimase così praticamente del
tutto sguarnita.
I Veneziani, accortisi di questo fatto, decisero
allora di contrattaccare per riconquistare
nuovamente i territori perduti e, da Fontanella,
dove erano accampati, marciarono verso Rivolta
e la occuparono. Poi si spostarono velocemente
verso Treviglio; là giunti, bombardarono
le sue mura per un giorno intero, fino ad
aprire una breccia e, malgrado, l'eroica
difesa dei Francesi e dei Trevigliesi, ben
presto la città capitolò e si arrese.
Treviglio fu completamente saccheggiata ed
in parte incendiata: non furono risparmiate
cose e neppure persone. Il sacco di Treviglio
fu però un grosso errore del comandante Bartolomeo
d'Alviano, perché molti dei suoi soldati
abbandonarono l'esercito per andare a vendere
gli oggetti depredati.
L'8 maggio il re Luigi XII partì da Milano
per andare in aiuto a Treviglio. L'esercito
era diviso in tre parti: l'avanguardia comandata
da Carlo D'Amboise; la battaglia comandata
dal re e la retroguardia comandata dal maresciallo
Gian Giacomo Trivulzio. Giunto a Cassano
il re fece costruire due ponti sull'Adda:
sul primo passò la cavalleria, sull'altro
la fanteria. I Francesi si accamparono a
tre chilometri dai Veneziani e il re fece
distruggere i ponti sull'Adda per impedire
defezioni e fughe dei suoi soldati.
L'11 maggio i Francesi riconquistarono Rivolta
e la saccheggiarono. Nel frattempo l'esercito
veneziano lasciò Treviglio per dirigersi
verso Pandino e preparare le difese contro
il nemico.
Il re Luigi XII, avvisato dalle spie delle
intenzioni dei Veneziani, partì immediatamente
da Rivolta verso Pandino per giungere al
borgo prima dei suoi avversari.
Anche l'esercito veneziano era diviso in
tre parti: la prima antiguardia, la seconda
battaglia e la terza retroguardia, comandata
da Bartolomeo D'Alviano e costituita da 500
cavalieri e 10.000 fanti.
Nel primo pomeriggio del 14 maggio l'avanguardia
dell'esercito francese comandata dal signore
di D'Amboise, giunse presso Mirabello, una
cascina fuori Agnadello dove era già accampata
la retroguardia dell'esercito veneziano.
I Francesi allora incominciarono a sparare
con l'artiglieria; il comandante dei Veneziani
mandò dei messaggeri a Pandino per chiedere
aiuto al resto dell'esercito e nel frattempo
preparò i soldati al combattimento.
Da Pandino gli fu ordinato di non attaccare
ma di retrocedere e di ricongiungersi a loro.
Nonostante gli ordini ricevuti l'Alviano
attaccò battaglia.
Inizialmente il combattimento fu dominato
dai Veneziani fino a quando non giunse il
grosso dell'esercito francese comandato dal
re; le sorti della battaglia allora cambiarono
ed i Veneziani si ritirarono verso un luogo
più favorevole a posizionare la loro artiglieria
( luogo dove oggi sorge la cascina Mirabellino
); ma accortisi di questa intenzione, i Francesi
li precedettero e giunsero per primi sul
posto. Verso le ore 16, inoltre, si scatenò
un nubifragio spaventoso che contribuì ad
accrescere le difficoltà della fanteria veneziana
impantanata e circondata dalla cavalleria
nemica. Dopo tre ore di battaglia le truppe
francesi ebbero il sopravvento e infransero
le difese dei Veneziani gridando:" Vittoria!
Vittoria! ". A questo grido molti Veneziani
ruppero le fila, fuggirono e la disfatta
fu totale. La battaglia durò dalle ore 14
fino alle 18; alla fine sul campo si contarono
14.600 morti.
Il bottino ricavato fu cospicuo e molti furono
i prigionieri, fra i quali anche il comandante
Bartolomeo D'Alviano, ferito da un colpo
di lancia, che rimase agli arresti in Francia
per quattro anni.
In seguito alla vittoria della Francia, tutta
la Gera D'Adda fu dichiarata contea e data
in possesso ad un nobile francese di nome
Arturo Gauffier conte di Estampes, nel 1516.
Attorno al racconto della battaglia, sorsero
anche delle leggende. Da ricordare, in particolare,
quella secondo cui la Madonna, invocata dal
re dei Francesi, sarebbe intervenuta a suo
favore facendo nevicare benché fosse maggio,
ostacolando così le manovre dei Veneziani,
e anche un'altra che parla di un cannone
d'oro sepolto nella zona .
Nel luogo dove si svolse la vicenda, il re
Luigi XII fece erigere una cappellina dedicata
a "S. Maria della Vittoria", contenente
un bell'affresco raffigurante Maria, il Bambino
e i Santi, attualmente conservato nella chiesetta
seicentesca della cascina "Costa vecchia"
( oggi detta Costa Cremasca ), situata poco
distante.
La cappella di Luigi XII, chiamata comunemente
" dei Morti della Vittoria" divenne
luogo di devozione per gli abitanti di Agnadello
e dei paesi circostanti.
Note Storiche sulla Battaglia di Agnadello
a cura dell'Assessorato alla Cultura e Sport
La leggenda del cannone pieno di monete d'oro
Alla battaglia di Agnadello è legata una
popolare leggenda. Si racconta, cioè, che
Luigi XII in un momento di paura per l'alternarsi
delle sorti della battaglia avesse promesso
oltre che di costruire un santuario alla
Madonna, di interrare nel luogo della battaglia
un cannone con la bocca ripiena di monete
d'oro. La fantasia e le voci hanno portato
alcuni a ricerche, altri addirittura a scavi
notturni sperando di trovare tale nascosto
tesoro. Attenzione però: la leggenda narra
anche di fantasmi di soldati uccisi nella
famosa battaglia che, di notte e in giorni
di grandine, si risvegliano e vagano nelle
campagne in cerca di vendetta. La fortuna
potrebbe risolversi in paura!!!
Il luogo dei "Morti della Vittoria"
Sorse, in territorio di Agnadello, nel luogo
dove il re durante la battaglia aveva tenuto
la maggior parte dei pezzi d'artiglieria
e non molto distante dalla roggia che segnava
il confine tra il Ducato di Milano e la repubblica
di Venezia, una chiesetta dedicata a "Nostra
Signora della Vittoria".
La chiesa di Luigi XII doveva essere un edificio
forse anche un po' più largo della chiesa
cremasca attuale, ma non molto di più. A
questa cappella accorrevano molte persone,
in particolar modo di Agnadello. Con la morte
di Luigi XII ( 1513 ), la disastrosa sconfitta
dei Francesi a Pavia il 24 Febbraio 1525
e la cattura, a Pizzighettone, del loro re
Francesco I, terminava, solo sedici anni
dopo la battaglia di Agnadello, il dominio
francese in Italia: cominciava da allora
un periodo di oltre centocinquant'anni, durante
il quale nessuno, all'infuori dei poveri
abitanti dei paesi vicini, si preoccupò di
curare la chiesetta, che, man mano, andava
in rovina sotto gli occhi dei contadini del
luogo, che non avevano i mezzi per restaurarla.
Durante tutto il '600, il luogo dei "Morti
della Vittoria", paludoso nelle campagne
e boscoso sulla costa, divenne ritrovo per
i briganti che infestavano la Gera d'Adda.
Visto il cattivo stato della chiesetta della
Madonna della Vittoria e del suo dipinto,
Agostino Premoli, Vescovo di Concordia (presso
Venezia) ma cremasco di nascita, pensò di
salvare l'antica immagine della Madonna posta
nell'abside, collocandola in una nuova chiesa.
Fu così che, essendo proprietario del terreno
detto oggi "Costa Cremasca", fece
ristrutturare ed ampliare un elegante oratorio
cinquecentesco dedicato a San Marco, già
esistente sul suo terreno, facendovi trasportare
l'antico affresco della Madonna della Vittoria.
Il vecchio dipinto, che ancora oggi si può
vedere nella chiesa presso la Costa Cremasca,
non rimase comunque intero: per trasportarlo
nella nuova chiesa dovette essere tagliato.
Attualmente al centro dell'affresco c'è Gesù
Bambino, tra le braccia di Maria Vergine,
mentre ai lati compaiono le figure di altri
Santi.
Continuò così la venerazione alla Madonna
della Vittoria e numerose erano le grazie
che i fedeli ricevevano: nella chiesa fatta
costruire dal vescovo Agostino Premoli, si
possono ancora vedere molti quadri votivi
fatti da coloro che le avevano ottenute.
Il recupero dell'antico luogo di culto
Successivamente, anche se la venerazione
a questo luogo non venne mai meno, nella
cappella dei Morti della Vittoria non veniva
più celebrata la messa domenicale dal momento
che il sacerdote del luogo, venne trasferito
alla chiesa delle Cascine Gandini.
Intorno al 1866 fu eretta una grossa parete
e sopra di essa venne dipinta l' immagine
della Vergine del Rosario da un mediocre
pittore, che ben presto però sbiadì.
Intanto per la grande insistenza degli abitanti
di Agnadello e della Costa Cremasca e anche
per l'interessamento di Padre Marcellino
Moroni (1827-1908) si riprese a celebrare
nel luogo la messa domenicale.
Durante il suo breve soggiorno ad Agnadello,
Padre Marcellino fece effettuare alcuni restauri
che si conclusero il 16 giugno 1871. Sempre
nello stesso anno il sacerdote fece costruire
un tabernacolo nel luogo dell'antica chiesa,
in territorio di Agnadello, sulla cui parete
fece dipingere dal valente pittore Ogliari
(sec. XIX) di Trescore Cremasco, una copia
dell'antica immagine della Madonna della
Vittoria. Continuarono così, grazie soprattutto
allo zelo di Padre Marcellino, il culto alla
Madonna della Vittoria e la celebrazione
annuale della festa.
Nel 1909 si compiva il quarto centenario
della battaglia di Agnadello e la ricorrenza
del fatto non passò inosservata. Il 14 maggio
di quell'anno appariva sull' "Unione"
di Milano un articolo sulla chiesa della
Madonna della Vittoria. In agosto, poi, per
opera della parrocchia della Costa Cremasca,
la solita festa annuale dedicata alla Vergine
della Vittoria venne celebrata con particolare
solennità. Nell'anno 1925 l'allora parroco
di Agnadello Don Ernesto Tabaglio, affidò
al mastro Luigi Fontana di Vailate i lavori
di restauro della piccola cappella fatta
costruire da Padre Marcellino.
Gli anni che vanno dal 1943 al 1945, nell'infuriare
della seconda guerra mondiale, vedono la
cappella della Costa Cremasca e quella nel
territorio di Agnadello, meta di parecchi
pellegrini dei paesi limitrofi.
Nel dopoguerra il luogo dei Morti della Vittoria
venne a poco a poco dimenticato.
Solo all'inizio degli anni settanta, grazie
all'interessamento di alcune persone agnadellesi
e del parroco Don Luigi Possenti, si ripensò
a questo posto.
Agli inizi del 1975 si iniziarono i restauri
della cappellina del territorio di Agnadello:
davanti all'affresco del pittore Ogliari
fu applicato un pannello di legno sopra il
quale venne dipinta dal pittore Domenico
Colpani di Fornovo, la Madonna con il Bambino.
La rinnovata cappella fu inaugurata solennemente
nel mese di maggio dello stesso anno. Il
culto alla Madonna della Vittoria veniva
così rinnovato.In ricordo degli avvenimenti
successi, la comunità locale festeggia ancora,
sul posto, il giorno dedicato alla Madonna
della Neve che ricorre il 5 agosto.
Il luogo dei Morti della Vittoria è uno dei
siti più caratteristici del cremonese ed
è ritornato ad essere un elemento molto caro
al cuore degli agnadellesi; ancora oggi sulla
croce di ferro posta sull'argine della vicina
roggia, vengono appesi indumenti e bende
come domanda di grazia per malattie ed altro,
che vengono bruciati periodicamente. Questo
rituale risalirebbe addirittura ad un'antichissima
usanza celtica, legata al culto delle Divinità
delle Sorgenti e delle Acque.
Nei secoli successivi...
Dopo le vicende della battaglia, il nostro
territorio, annesso a quello di Milano, rimase
sotto il dominio di Luigi XII, re di Francia.
Con la sua morte, nel 1513, il trono passò
al giovane Francesco I che, avendo un gran
desiderio di emulare il suo predecessore
nelle imprese guerresche, scese ben presto
in Italia per riprendersi il Ducato di Milano
che gli Svizzeri , nel frattempo, avevano
affidato a Massimiliano Sforza, figlio di
Ludovico il Moro.
Per riuscire nell'impresa il sovrano francese
cercò l'alleanza dell'antica nemica Venezia,
usando come moneta di scambio proprio la
Gera d'Adda e altre città della Lombardia.
A Melegnano ( chiamato, a quei tempi "Marignano")
i Francesi alleati con l'armata veneziana
agli ordini di Bartolomeo D'Alviano ( lo
stesso comandante che combattè nella battaglia
di Agnadello) ottennero un'importante vittoria
contro le truppe svizzere assoldate da Massimiliano
Sforza. Per ricordare i numerosi caduti in
questa dura battaglia, a Melegnano si celebra
annualmente la Festa detta del Perdono (
da ciò ha origine la frase:"Il perdono
è a Melegnano", rivolta ad autori di
azioni non giustificabili).
Con questa vittoria la Francia riprendeva
il dominio sul Ducato di Milano (1515).
La pace, tuttavia, in questi territori che
rivestivano un certo interesse strategico,
non fu duratura: solo un anno dopo, infatti,
l'imperatore Massimiliano d'Austria condusse
un'offensiva contro i Francesi, proprio nella
nostra zona, riuscendo a impossessarsi di
Milano che fu affidata al potere di Francesco
Sforza (ultimo figlio di Ludovico il Moro)
.
I Francesi rimasero accampati a Cremona,
mentre a Milano erano concentrate le forze
asburgiche.
Nel frattempo sul trono di Spagna era salito
il giovanissimo Carlo I d'Asburgo ( nipote
dell'imperatore Massimiliano) che, in breve
tempo, riunì sotto la sua corona enormi territori,
facendosi proclamare imperatore con il nome
di Carlo V . E' curioso notare che dalle
nostre parti è molto usuale la frase"
ai tempi di Carlo Cudiga o Codiga "
( detto anche Carlo Ü ) per indicare qualcosa
di vetusto e non adatto ai tempi attuali,
ma è interessante scoprire che il personaggio
citato non è altri che Carlo V, così chiamato
per la cotica rossa sulla nuca e sul collo
tipica di molti tedeschi.
Il re di Francia Francesco I si scontrò duramente
con questo giovane potente e ambizioso e
la lunga contesa fra i due sovrani ebbe come
campo di battaglia l'Italia.
In questo periodo la Gera d'Adda era terra
di nessuno ma ciò equivaleva dire" terra
di tutti".
Periodicamente, infatti, vi giungevano a
fare razzie fanti e cavalleggeri di diverse
fazioni e bisognava essere pronti a lasciarsi
depredare dal padrone di turno ( italiano,
spagnolo, tedesco o francese) pena la distruzione
o la morte.
La guerra tra Spagna e Francia ebbe una svolta
decisiva con la battaglia di Pavia (1525)
che portò le forze di Carlo V alla vittoria
e affermò la dominazione spagnola in Italia.
Per tutti i paesi della nostra zona il periodo
successivo fu ancora molto difficile perchè
fu il luogo della ripresa delle ostilità
fra gli Spagnoli e gli Sforza di Milano.
Con la morte degli ultimi eredi degli Sforza,
il Ducato di Milano , del quale faceva parte
il nostro paese, divenne una provincia dell'Impero
di Spagna.
La dominazione spagnola perdurò per tutto
il XVII secolo, portando i paesi della Gera
d'Adda a una grave decadenza economica per
le pesanti tasse a cui erano sottoposti.
Il peggio toccò alle classi sociali più deboli
che vedevano assottigliarsi ogni giorno il
reddito familiare.
La Guerra dei Trent'anni (1618-1648) interessò
anche la nostra regione, con saccheggi e
distruzioni.Nel 1630-31, l'Italia settentrionale
fu colpita da un'epidemia di peste che ridusse
drasticamente la popolazione del territorio
di Milano.
Anche Agnadello ne fu colpito: una via del
paese, infatti, si chiama via Lazzaretto
e la chiesa di S. Bernardino venne utilizzata
come ricovero per gli ammalati. Terminata
l'epidemia, allo scopo di disinfettare, le
pareti interne dell'edificio furono ricoperte
di calce, facendo scomparire quasi totalmente
gli affreschi quattrocenteschi preesistenti.
L'avvento del nuovo secolo, il 1700, portò
in Lombardia dei cambiamenti: nel 1714 Milano
passò dal dominio spagnolo a quello austriaco
e accolse le riforme imposte dal nuovo regime.
Verso la metà del secolo furono ridefiniti
i confini fra lo Stato di Milano e Venezia.
I confini furono indicati con cippi riportanti
la data del 1758.
Verso la fine del '700, le vicende della
vicina Francia ( la rivoluzione nel 1789
e l'ascesa di Napoleone nel 1796) coinvolsero
di nuovo il nostro territorio.
Nell'Italia settentrionale, conquistata da
Napoleone, sorse la Repubblica Cisalpina,
con Milano come capitale.
Dopo la caduta di Napoleone, la Lombardia
( che faceva parte del regno Lombardo- Veneto)
ritornò nuovamente sotto il dominio austriaco.
Le successive Guerre di Indipendenza videro
ancora la nostra zona teatro di imprese militari.
Nel 1859 la Lombardia ottenne finalmente
la libertà dall'Austria.
Da un vecchio dizionario geografico risulta
che a quell'epoca Agnadello faceva parte
del VII distretto di Pandino nella provincia
di Lodi; contava 1343 abitanti e aveva un
consiglio comunale.
Dal 1861 ( anno dell'unità d'Italia ) la
storia del nostro paese entrò a far parte
di quella nazionale.
Subito dopo, la geografia delle province
lombarde cambiò: il lodigiano fu aggregato
al milanese, mentre la maggior parte del
distretto di Pandino, passò alla provincia
di Cremona.
Gli anni trascorsi sotto le varie dominazioni
hanno lasciato parecchi ricordi fra i quali
l'origine di alcuni cognomi locali che sono
di provenienza straniera e diversi legami
fra il nostro dialetto e le altre lingue.
E' facile notare infatti come alcuni termini
dialettali, diversi dai corrispondenti in
italiano, derivino da parole straniere; le
affinità maggiori sono con la lingua francese,
sia per i suoni che per i vocaboli.
Tipicamente francesi sono i suoni dialettali:
" Ö " ," Ü " e la pronuncia
della lettera " Z " che sia in
dialetto che in francese ha il suono della
lettera " S " nella parola "ROSA".
Comune di AGNADELLO (CR) - Via Dante, 57,
Tel ( centralino ) 0373 976192 - Fax 0373
976283 -
Per saperne di più clicca qui:
http://www.comune.agnadello.cr.it/news/leggi_area.asp?ART_ID=1671&MEC_ID=133&MEC_IDFiglie=152
 
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