15 Settembre, 2002
Il "Piano Regionale Salute Mentale 2003-2005" di Luigi Benevelli
Al riguardo, va ricordato che la Regione Lombardia con il pssr 2002-2004 si è discostata dalle indicazioni che hanno ispirato la legge nazionale di riforma dell'assistenza....

Il "Piano Regionale Salute Mentale 2003-2005"
(bozza 1 settembre 2003)
note di commento di Luigi Benevelli
Il documento di "Piano Regionale salute
Mentale 2003-2005" redatto dalla Direzione
Generale Sanità della Regione Lombardia,
è un atto di recepimento della legge regionale
31/97, del p.o. nazionale "Tutela della
salute mentale 1998-2000", della legge
328/2000 di riforma dell'assistenza e si
pone a completamento del percorso indicato
dal pssr lombardo 2002-2004.
Al riguardo, va ricordato che la Regione
Lombardia con il pssr 2002-2004 si è discostata
dalle indicazioni che hanno ispirato la legge
nazionale di riforma dell'assistenza del
2000 perseguendo una propria linea autonoma
di revisione delle politiche di welfare nella
direzione, come scrive Franco Rotelli (2002)
di un "Welfare dei consumatori-utenti
di aziende e organismi erogatori di prestazioni,
tariffate, numerate, quantificate, acquisibili
ovunque sul mercato pubblico e privato (…)".
Al modello lombardo è possibile opporre"un
sistema effettivo di Welfare delle autonomie,
delle autonomie locali, municipale, di comunità.
Un sistema cioè in cui lo sviluppo doveroso
dei servizi incorpori (molto di più di quanto
è avvenuto finora anche laddove essi sono
stati effettivamente realizzati) protagonismo
e risorse degli utenti, reti sociali, legami
sociali e operi per ricrearli invece che
eluderli".
Contenuti
Il Piano Regionale Salute Mentale lombardo
assembla una grande varietà di contributi,
elaborazioni e proposte protocolli e linee-guida,
alcuni dei quali di valore, che danno corpo
a un lavoro di integrazione teso a realizzare
nei servizi gli assunti della "psichiatria
di comunità", in una direzione quindi
diversa da quella del welfare del consumatore
che ispira il pssr 2002-2004. E' diffusamente
sottolineata la dimensione comunitaria dei
servizi, la loro declinazione nella varietà
delle situazioni locali, con un forte spinta
al raccordo con la medicina di base, i piani
di Distretto socio-sanitario, i Piani di
zona (questi ultimi figli della 328/00),
la partnership di utenti, famiglie, volontariato,
cooperazione sociale, le risorse locali del
privato profit e non-profit.
Mi soffermerò sulle parti e le questioni,
a mio avviso, più problematiche e critiche.
Gli elementi di novità e maggior interesse
della proposta di piano sono i seguenti:
Il Dipartimento di Salute Mentale
Il Dipartimento di Salute Mentale (DSM) per
essere tale, deve essere in grado di "fornire
adeguati interventi ospedalieri per l'acuzie,
interventi territoriali, garantendo anche
l'assistenza domiciliare, e interventi riabilitativi
(semiresidenziali e residenziali) secondo
gli standard stabiliti dalle norme regionali
del 1995, il DSM può essere o tutto pubblico,
o tutto privato. Il DSM diventa un dipartimento
gestionale , secondo il documento del Piano
di organizzazione e Funzionamento delle Aziende
Sanitarie (POFA) della regione Lombardia.
Al dipartimento di tipo gestionale è attribuito
un budget unico. Il DSM opera per funzioni,
con il superamento della logica per strutture
della programmazione regionale lombarda 1995-1997,
ma anche di quella del p.o. nazionale 1998-2000;
la funzione della "presa in carico"
per la gestione delle situazioni gravi è
differenziata da quelle dell'"assunzione
in cura" e della "consulenza".
Ne è a capo un Direttore, supportato da un
Comitato Tecnico, e non più dalla Conferenza
di Servizio.
Il Piano conferma la collocazione del DSM
dentro l'Azienda Ospedaliera, ma con una
forte proiezione esterna alla ricerca di
un radicamento nei territori di competenza
della ASL, nella sua nuova versione lombarda,
dei Comuni, attraverso i Piani di Zona, fino
alla famiglia e alle reti delle relazioni
informali in cui sono immerse le vite quotidiane.
Il DSM opera su ambiti provinciali, su dimensioni
sovrapponibili a quelle della ASL (che potrebbero
quindi non corrispondere a quelle dell'Azienda
Ospedaliera da cui vede assegnato il budget,
da cui, pare di capire, continuerebbe a dipendere).
Il DSM si occupa della salute mentale adulti,
si deve raccordare con UONPIA, SERT, servizi
per disabili e anziani non autosufficienti,
servizi specialistici ospedalieri, Dipartimento
ASSI e Medicina di base delle ASL, altri
gestori, servizi sanitari del Dipartimento
Amministrazione Penitenziaria (DAP). L'equipe
psichiatrica svolge funzioni cliniche e terapeutiche,
assistenziali, di integrazione dell'approccio
multiprofessionale, di intermediazione (case
management).
L'organismo di coordinamento per la salute
mentale presso la ASL
Proprio in ragione della spinta verso la
comunità locale, il Piano prevede l'attivazione
dell' "Organismo di coordinamento per
la salute mentale, da istituirsi da parte
della ASL, d'intesa con le Aziende Ospedaliere
che insistono sul suo territorio, coinvolgendo
altri erogatori accreditati, Comuni e terzo
settore. L'organismo possiede una struttura
organizzativa propria, definisce un regolamento
relativo sia alla composizione e rappresentanza
delle diverse articolazioni, sia all'organizzazione
delle attività e al calendario delle riunioni".
Tale organismo diventa il vero motore delle
politiche di salute mentale ("analisi
dei bisogni del territorio, controllo e verifica
delle attività erogate, la definizione di
previsioni di spesa (budget), gli inserimenti
in strutture residenziali, l'organizzazione
di programmi innovativi (…), la promozione
di programmi di prevenzione e di educazione
e gli interventi di rilievo sociale").
Ne fanno parte il direttore del DSM e i responsabili
delle strutture complesse del DSM, il direttore
del Dipartimento ASSI e il Direttore del
Dipartimento Servizi Sanitari di Base dell'ASL,
i rappresentanti delle strutture private
accreditate, delle associazioni di tutela
dei malati e dei familiari, dirigenti comunali
designati dalla Conferenza dei Sindaci della
ASL. L'Organismo di coordinamento predispone
il Piano Territoriale per la salute mentale
che ha cadenza triennale, organizza annualmente
la Conferenza Territoriale per la salute
mentale, attiva i Tavoli a livello dei distretti
socio-sanitari che a loro volta elaborano
Intese Distrettuali di programma fra ASL,
Aziende ospedaliere, Comuni, Associazioni,
Enti riconosciuti (e fra gli esempi sono
citati il Giudice Tutelare competente per
territorio, i rappresentanti dei tutori dell'
ordine pubblico e della polizia locale, i
rappresentanti degli Istituti scolastici
per le problematiche relative alle fasce
di età giovanile ecc.). Come si vede, grande
è l'enfasi sulla partecipazione e la integrazione
di tutti i possibili soggetti delle attività
finalizzate alla salute mentale. Per quanto
riguarda la gestione dei possibili percorsi
territoriali delle situazioni più complesse
e difficili, il DSM indica un referente prescrittore/responsabile
del piano di trattamento individuale.
In nome della libertà di scelta dell'utente/cliente,
è possibile che un progetto di presa in carico
sia assunto da un DSM diverso da quello competente
per territorio. In tale caso il "gestore"
ne dà notizia alla ASL che trasmette l'informazione
all'Organismo di coordinamento.
La riorganizzazione dell'offerta residenziale
Un capitolo rilevante riguarda la proposta
di riorganizzazione dell'offerta residenziale
nella direzione della differenziazione delle
Strutture Residenziali sulla base del livello
di intervento terapeutico e riabilitativo
da una parte e del grado di intensità dell'assistenza
dall'altra. Ne consegue che:
1. Gli attuali CRT diventano Comunità Riabilitative
ad Alta Assistenza (CRA) con una degenza
della durata massima di 18 mesi per quanto
riguarda l'età, possono accedere solo persone
con età inferiore ai 50 anni.
2. Le attuali Comunità Protette ad alta protezione
diventano Comunità Protette ad Alta Assistenza
(CPA) con una degenza massima di 36 mesi
3. Le attuale Comunità Protette a Media Protezione
diventano Comunità Protette a media assistenza
(CPM)
4. Alle CPA e CPM si accede con età inferiore
ai 65 anni.
5. Le attuali Comunità Protette a bassa protezione
diventano Casa famiglia, Casa alloggio, Appartamento
autonomo
6. Sono previste inoltre Comunità Riabilitative
a Media Assistenza (CRM), vale a dire di
nuovi servizi residenziali capaci di operare
a costi più bassi.
7. Sono adottati nuovi criteri di ammissione
alle Strutture residenziali, in base alla
diagnosi (escluse demenza primaria a grave
ritardo mentale) ed all'età.
La nuova classificazione nasce dall'esigenza
di differenziare fra di loro strutture che
tendono a fare le stesse cose allo stesso
modo ed anche da quella di ridurre la spesa
per la residenzialità protetta. Pertanto
cambiano anche i criteri di finanziamento
con una quota fissa a giornata a remunerazione
dell'offerta assistenziale e una quota variabile
in ragione dell'intensità del progetto di
trattamento.
Per ogni utente inserito in una struttura
residenziale deve essere elaborato un Progetto
terapeutico-riabilitativo (PTR) coerente
e funzionale al Piano di Trattamento Individuale
(PTI).
La bozza di piano tratta dell' intervento
precoce nelle psicosi, dell'inserimento lavorativo,
degli interventi per i casi di "doppia
diagnosi" per i quali è necessario sviluppare
un forte raccordo con i SERT, i servizi per
i disabili con ritardo mentale e disturbi
dello sviluppo, i servizi per gli anziani
non-autosufficienti, del trattamento dei
distrbi da ansia, depressione, comportamenti
alimentari..
v Specifici capitoli sono dedicati alla "psichiatria
di consultazione" in Ospedale, alla
qualità e alla promozione della qualità,
alla formazione e a Carcere e OPG. Nello
specifico si rimanda all'accordo quadro fra
Regione Lombardia e Ministero della Giustizia
dl 3 marzo 2003. Come noto, tale accordo
non prevede il sostegno di nuovi finanziamenti
ed affida la gestione dei problemi generali
e di salute, anche mentale, della popolazione
dei detenuti e degli internati all'Assessorato
alla Famiglia della Regione Lombardia.
v Per quanto riguarda il finanziamento, le
risorse impegnate nel lavoro di salute mentale
sarebbe stato il 4% del Fondo Sanitario Regionale
nel 2002 e la percentuale dovrebbe salire
al 4,2% per l'anno in corso. Sono previste
risorse aggiuntive di 51,5 milioni di € per
l'anno 2004 e di 67 milioni di € per il 2005
a sostegno delle innovazioni previste dal
Piano.
Osservazioni e proposte
1. Premessa
Il Piano, nella sua redazione del settembre
2003, entra nel merito dei vari ambiti delle
attività di salute mentale destinate alla
popolazione adulta e contiene linee-guida
e indicazioni molto interessanti. Il Piano
riconosce che la "questione salute mentale",
ma nemmeno quella "assistenza psichiatrica"
che ne costituisce un rilevante capitolo,
può trovare adeguate risposte entro l'Azienda
Ospedaliera lombarda. Di qui la scelta di
assegnare un ruolo particolarmente significativo
alla nuova ASL, disegnata dal pssr 2002-2004,
indicata come il soggetto che progetta e
costruisce le politiche sanitarie, come l'Azienda
capace di confrontarsi con le comunità locali
e i loro governi e di promuovere l'integrazione
fra sanità e assistenza. Ma la spinta ad
attribuire compiti e funzioni decisive per
il lavoro di inclusione, mantenimento ed
esercizio dei diritti di cittadinanza, va
oltre l'ASL e, nel caso della salute, anche
mentale, in carcere e OPG, fa intervenire
l'Assessorato regionale alla famiglia. Tale
sforzo appare interessante, ma, per dare
efficacia al lavoro dei nuovi DSM necessiterebbe
di una chiara definizione dei livelli di
responsabilità e di governo, a partire dalla
ricostituzione dell'ufficio Psichiatria presso
la Direzione Generale dell'assessorato regionale
alla sanità. Di seguito le considerazioni
critiche di maggiore importanza:
1. Mancano i dati sulla condizione attuale
delle attività di salute mentale in Lombardia
Colpisce il fatto che manca un rendiconto
chiaro, area per area, dello stato di servizi
di salute mentale dopo la chiusura dei manicomi.
Questo, in considerazione soprattutto dell'enfasi
posta sulla dimensione "locale"
e "comunitaria".
E' vero che ogni Azienda ha il suo Direttore
Generale, fiduciario della Giunta Regionale;
ma è anche vero che i Direttori Generali
non rispondono alle comunità locali. Frequentemente
questo determina tensioni anche negli assetti
dei servizi. Chi sa come stanno le cose in
quella determinata area? Il sistema informativo
regionale ha dei dati che si riferiscono
però alle prestazioni, non ai percorsi di
salute
2. Il "governo" delle attività
per la salute mentale
Nella bozza di Piano, il DSM è formalmente
confermato come centro di governo dell'uso
delle risorse e delle competenze professionali.
Ma, per fare le cose di cui è titolare, deve
contrattare, confrontarsi con, rispondere
a una molteplicità di soggetti (cito Direzione
Generale dell'A.O. e dell'ASL, Dipartimento
ASSI, Dipartimento Medicina di Base, Conferenza
dei Sindaci ). Ad essi vanno aggiunti altri
interlocutori con cui deve discutere e concordare
percorsi e programmi di lavoro: UONPIA, SERT,
UVG, servizi disabili, servizi sanitari dell'amministrazione
penitenziaria e OPG, strutture operative
del privato sociale e dei gestori accreditati,
volontariato, associazioni, gestori dei Piani
di Zona e di quelli di Distretto, Tavoli
tecnici per le intese territoriali ecc..
Esemplare al riguardo è la questione "budget"
del DSM, con gli obiettivi incorporati da
realizzare: esso è contrattato con l'A.O.;
pertanto il Direttore del DSM ne risponde
al Direttore Generale dell'A.O.; tuttavia,
l'analisi dei bisogni, la verifica delle
attività, la definizione delle linee strategiche,
la predisposizione del Patto Territoriale
per la salute, quindi il rapporto fra obiettivi,
risorse, tempi, sono messe in capo all'Organismo
di Coordinamento dell'ASL, di cui il DSM
è solo uno dei componenti, e nemmeno il più
importante.
E' interessante notare come un documento
di programmazione della Regione Lombardia,
partendo dalla valutazione attenta dei problemi,
finisca coll'indicare che, a partire dalle
esigenze del lavoro per la salute mentale,
varrebbe la pena di rimettere insieme le
funzioni delle Aziende Ospedaliere e delle
ASL, tornando indietro rispetto alle scelte
della legge regionale 31/97, manifesto ideologico
della giunta Formigoni. Ma cercare di rimettere
e tenere insieme ciò che è stato diviso,
senza una svolta radicale nel sistema, comporta
la produzione di una enorme confusione di
tavoli, trattative, protocolli, grandi difficoltà
nella costruzione delle scelte e nella loro
gestione efficiente.
La confusione nasce dal fatto che non ci
sono più responsabilità definite ed assegnate
con chiarezza: negli scenari tratteggiati
dal Piano. di quante cose e a quanti interlocutori
dovrà rispondere il Direttore del DSM? Tutto
questo non solo è incompatibile con una organizzazione
del sistema delle responsabilità che si vuole
ispirata all'aziendalismo, ma è in grado
di produrre guasti gravissimi nell'efficacia
del lavoro professionale. Si consideri inoltre
che non esistendo una "cabina di regia"
a livello dell'amministrazione regionale
(si continua a ritenere non utile la ricostituzione
dell'Ufficio Psichiatria presso la Direzione
Generale dell'assessorato alla sanità), il
compito di sbrogliare la complicata matassa
è assegnato a quelli che sono i funzionari
periferici della giunta regionale, ossia
i Direttori Generali delle Aziende Sanitarie,
e ai Sindaci. Pochissimi di questi soggetti
hanno mostrato sinora attenzione e rispetto
ai problemi della salute mentale.
Per tali ragioni, la Regione dovrebbe indicare
incentivi e sanzioni per chi (Direttori Generali
delle A.O. e delle ASL) non ha dato corpo
agli obiettivi del Piano. In caso contrario,
il Piano non sarebbe vincolante per la stessa
amministrazione regionale, quindi totalmente
inefficace come norma di indirizzo e programmazione..
3. gli ambiti territoriali
I servizi di salute mentale che si ispirano
ai principi della psichiatria di comunità
per poter favorire buoni trattamenti, il
lavoro di inclusione, la lotta allo stigma
comunità devono essere fortemente radicati
nelle realtà locali.
Il Piano fa propria in molte parti questa
"sensibilità" (ne è esempio l'enfasi
sul Distretto Socio sanitario). Tutto questo
richiede CPS con ambiti di riferimento che
consentano e facilitino l'ascolto, l'esplorazione
e la valorizzazione dei milieu di vita, la
presa in carico, l'integrazione degli interventi.
La proposta delle macro-aree, pare motivata
dalla necessità di favorire la "libertà
di scelta" amplifica invece gli ambiti
territoriali e pone a riferimento delle UOP
lombarde non l'A.O., ma l'ASL. Ciò comporta
che quando i DSM appartengono a più A.O.
che insistono negli ambiti di una sola ASL,
o concordano fra di loro strategie, pratiche,
scelte o si mettono in concorrenza fra di
loro, salvo trovarsi tutti insieme ai tavoli
dell'Organismo di coordinamento. Il rischio
di caos è molto alto. Sembra insomma che
questa proposta più che tentare di risolvere
i problemi che ci sono, finisca col complicarli,
anche in tema di azzonamenti.
4. il finanziamento del Piano
E' riconosciuto che il sistema di finanziamento
in vigore sulla base delle prestazioni è
incompatibile con gli obiettivi dichiarati
dal Piano. Di qui l'apertura di spiragli
di interessanti novità, ma non è esplicitato
chi gestirà le scelte in ordine ai progetti
sperimentali, chi li deciderà ( e qui ritorna
la proposta di costituzione dell'Uffico Psichiatria
presso la Direzione Generale dell'Assessorato
alla Sanità).
Va evitato che per quanto riguarda il "coordinamento
delle risorse", si tenti di scaricare
sui Comuni i costi dell'integrazione socio-sanitaria.
5. diritti, qualità, formazione
La questione dei diritti di cittadinanza
delle persone con disturbi mentali e delle
loro famiglie andrebbe posta al centro del
nuovo sistema; in elaborazioni che sono proprio
di questi giorni tale assunto è pienamente
recepito: costituisce il secondo obiettivo
di 5 obiettivi enunciato nella proposta del
documento di programma dei candidati alla
lezione negli organismi direttivi della Società
Italiana di Psichiatria (Bologna, ottobre
2003). La questione è stata sollevata e trattata
con forza nel Forum Salute mentale (Roma
16 e 17 ottobre 2003).
Al riguardo, entrando nello specifico di
ciò che accade nei servizi di salute mentale,
credo che nessuno possa più permettersi di
ignorare il problema delle contenzioni. Riporto
per intero il capitolo della piattaforma
del Forum:
"La contenzione
La buona pratica non parte da un gesto generoso
del medico verso la persona sofferente, gesto
che può essere tradito mille volte al giorno
da un dolore più o meno nascosto, da una
aggressività con o senza giustificazione,
da una violenza che ferisce. La buona pratica
è il risultato di una volontà collettiva
di partire comunque dal rispetto e dalla
libertà della persona che spesso proviene
da una storia in cui questo rispetto e libertà
sono venuti meno o non sono mai esistiti.
La buona pratica cresce e si sviluppa attorno
a questo nucleo centrale, da cui si dipana
ogni altro intervento.
La contenzione blocca questo sviluppo nell'atto
stesso che parte dal massimo dell 'umiliazione
e della mortificazione della persona e ripropone
la copertura della nostro incapacità ad affrontare
diversamente la sofferenza e la violenza,
con una risposta irresponsabile di violenza
e di difesa di sé, di violenza da parte del
più forte, di chi è in condizione di porre
una distanza fra sé e l'altro: il ruolo,
le regole, l'istituzione, il potere.
Contro tutto questo si è lottato per anni
e si è dimostrato possibile perseguire altre
strade con il supporto di operatori/trici
formati e motivati che reggano l'impatto
senza ferire, senza umiliare, con la costruzione
di un ambiente e di un clima non violento,
libero nel suo complesso, che fa capire come
altri passi siano possibili e della stessa
natura.
La contenzione blocca ogni passo successivo.
Contamina e rafforza il sopravvivere di vecchie
tradizioni nelle case di riposo e nei servizi
per anziani, negli istituti per handicappati,
nei reparti di geriatria, di medicina per
facilitare l'immobilità, per preservare dal
danno, alla fine per semplificare il lavoro
di medici e infermieri".
La contenzione umilia chi la subisce, ma
anche chi la fa.
Nelle attività di assistenza psichiatrica
in epoca pre-psicofarmacologica è stato possibile
occuparsi ed assistere i pazienti psichiatrici
senza legarli, mentre il massiccio ingresso
degli psicofarmaci nei trattamenti psichiatrici
non ha eliminato le pratiche delle contenzioni
e dell’isolamento né sembra aver modificato
significativamente la situazione. Situazioni
simili dal punto di vista clinico e dei comportamenti
della persona ricoverata trovano risposta
diversa a seconda dei contesti istituzionali
e degli operatori. Tenere le porte dei reparti
chiuse a chiave, legare le persone e tenerle
in isolamento per minuti, ore, giorni, è
una scelta che dipende dalle culture professionali
locali, dalle caratteristiche personologiche
degli infermieri e dei medici, dalle relazioni
interpersonali e di potere all’interno delle
squadre che si avvicendano nei turni di servizio,
dai rapporti fra medici e non-medici negli
staff.
Contenzioni e isolamento costituiscono un
aspetto sgradevole, di particolare asprezza,
sensibilità e criticità della qualità dell’accoglienza
e dei trattamenti nelle strutture di assistenza
psichiatrica, una questione alla quale è
opportuno portare grande attenzione. In Italia,
non essendovi più l’alibi del “queste cose
si facevano in manicomio”, è ancora più doveroso
oggi riproporre la questione all’attenzione
delle Aziende Sanitarie, degli operatori,
degli utenti e delle loro organizzazioni,
dei movimenti per i diritti civili.
Per far uscire alla luce del sole e per affrontare
responsabilmente la “questione contenzioni"
è necessario che anche la Regione Lombardia
promuova una indagine per raccogliere dati
su tutto il territorio circa il numero, la
durata, le motivazioni delle contenzioni
meccaniche e dell’isolamento, le ragioni
degli infermieri e dei medici, l’esistenza
o meno di regolamenti scritti adottati dal
DSM o dagli SPDC, il numero e la qualità
degli incidenti a carico del paziente e del
personale (infortunio sul lavoro) conseguenti
alla gestione della contenzione, i vissuti
di chi subisce tali trattamenti.
Dall’indagine si potranno ricavare dati utili
per la predisposizione di programmi di formazione
di base e permanente per tutti gli operatori
della salute mentale perché cessi l'uso delle
contenzioni.
Dobbiamo essere consapevoli della asprezza
di un argomento che, come sappiamo, non riguarda
solo la storia e l’attualità dell’assistenza
psichiatrica italiana: non dobbiamo dimenticare
infatti, per parlare delle sole strutture
sanitarie, che le contenzioni sono largamente
in uso anche in altre attività di assistenza,
dalle corsie degli Ospedali per acuti ai
reparti di lungodegenza ed alle RSA.
La questione del contenere non riguarda i
singoli casi, ma il clima più globale di
intervento, le scelte e le impostazioni terapeutiche
di base e, in fondo, lo stato d’animo dell’operatore.
Questi, prima di tutto, deve essere non legato
egli stesso: non legato a schemi precostituiti
e ad abitudini rigide e tramandate; deve
sapere riconoscere l'ambito del suo operare
e, senza rifugiarsi nell’evitamento. Tenere
le porte dei reparti chiuse a chiave, legare
le persone e tenerle in isolamento per minuti,
ore, giorni, è una scelta che dipende dagli
ambiti strutturali (vivibilità degli spazi
di vita per i pazienti e di lavoro per gli
operatori, numero degli operatori) e dalle
culture professionali locali, dalle caratteristiche
personologiche degli infermieri e dei medici,
dalle relazioni interpersonali e di potere
all’interno delle squadre che si avvicendano
nei turni di servizio, dai rapporti fra medici
e non-medici negli staff.
La psichiatria di comunità, anche a fronte
della sfida lanciata dalle proposte Burani
Procaccini che ripropongono culture e armamentari
di una "psichiatria correzionale"
che tanti disastri ha provocato, ha oggi
il dovere di porre la questione all’attenzione
di Regioni, Aziende Sanitarie, operatori,
utenti e loro organizzazioni, movimenti per
i diritti civili: il saper "fare a meno
delle contenzioni" deve diventare parametro
prioritario della valutazione di qualità
dei servizi e dei conseguenti riconoscimenti
“aziendali” (leggi incentivazioni).
Conclusione
In una situazione generale molto difficile
per tutti i sistemi di welfare, comunque
caratterizzati, ritengo si debba tenere ben
presente la necessità di evitare di "scassare"
i servizi esistenti, di tutelarne la capacità
di funzionare. Per tali ragioni, i percorsi
organizzativi e gestionali indicati dal Piano
Regionale sono a mio avviso molto preoccupanti.
Non possiamo permetterci di disfare i servizi
a dimensione pubblica che, efficienti o meno,
sono e saranno sempre per loro natura e ineludibile
cultura orientati altrimenti: da un'etica
pubblica e da una solidarietà che quand'anche
mal praticate, li fonda comunque, ne giustifica
l'esistenza e quindi non possono mai uscire
definitivamente da essi pena la loro stessa
autodistruzione.
Luigi Benevelli Mantova, 20 ottobre 2003
Luigi Benevelli, 61 anni, medico psichiatra,
parlamentare PCI dal 1983 al 1992,
già responsabile del Dipartimento di Salute Mentale
dell'Azienda Ospedaliera di Mantova.
La redazione di welfare cremona news ringrazia.
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